Dagli obitori della regione intorno a Londra cominciano misteriosamente a scomparire dei cadaveri, senza nessuna ragione. Delle indagini viene incaricato il giovane tenente Gregory, che non ha fatto nulla per meritarselo né dimostra particolari talenti investigativi. Questa, nel suo nocciolo, la trama di L’indagine del tenente Gregory di Stanisław Lem. Malgrado l’argomento, però, qui abbiamo a che fare con un romanzo giallo sui generis, che usa i mezzi e i procedimenti narrativi del genere, ma per approdare a qualcosa di completamente diverso.
Ciò che Lem allestisce è un romanzo in cui le idee sono più importanti dei personaggi e, persino, degli avvenimenti che lo popolano. E’ dominato da una certa tendenza all’astrazione o, per essere più precisi, alla stilizzazione, che però non lo rende né astruso né difficilmente leggibile. E questo accade già a partire dal luogo in cui è ambientato: la Londra descritta è più un archetipo londinese che non la città vera e propria. E’ la Londra che ci immagineremmo pensando a Londra. Se chiudiamo gli occhi ci appare davanti una città grigia e piovosa, per lo più immersa nell’oscurità e nella nebbia, e dovendo tradurre il romanzo di Lem in un film non potrebbe essere che un film in bianco e nero.
L’unico che possiede qualche contorno individuale più marcato è Sciss, lo scienziato a cui è stato chiesto di collaborare alle indagini e i cui metodi fanno da contrappunto a quelli più tradizionali di Gregory. Sciss, infatti, applica le leggi della statistica e della matematica alla risoluzione dell’enigma, fino a giungere a una conclusione che sfocia nel sovrannaturale. Dopo aver dedotto, con una serie di calcoli minuziosi, che la scomparsa dei cadaveri avviene all’interno di una ben precisa area geografica in proporzionalità inversa rispetto alla diffusione dei casi di cancro, stabilisce che è una sorta di “virus”, una specie di “cancro al contrario”, che li rianima e li fa muovere. Una soluzione siffatta non può soddisfare il tenente Gregory, che ha bisogno invece di un colpevole reale, in carne e ossa. Come dice lui stesso al suo superiore Sheppard: “Come le ho già detto, credo possibile qualsiasi cosa mi risparmi la necessità di credere ai miracoli. [...] Mi occorre un colpevole, costi quello che costi”.
Sciss coglie perfettamente il punto quando, a questo proposito, dice in faccia a Gregory: “Ma un colpevole che non esiste, che non è mai esistito, è qualcosa di completamente diverso: è come se tutto l’archivio andasse a fuoco, come introdurre la confusione dei linguaggi all’interno dei suoi preziosi dossier... la fine del mondo! Per lei l’esistenza di un colpevole, che si riesca o meno ad arrestarlo, non è una questione di successo o di sconfitta, ma di ‘senso’ o di ‘non senso’ della sua professione. E poiché per lei quell’uomo rappresenta pace, conforto e salvezza, in un modo o nell’altro lo avrà. Troverà quel bastardo anche se non dovesse esistere!”. L’individuazione di un colpevole rappresenta molto di più della risoluzione di un caso - un caso per il quale, oltretutto, non si riesce neanche a trovare un movente -, ma serve a portare ordine nel caos del mondo affinché i singoli elementi non rimangano isolati e privi di connessione l’uno con l’altro. Questa esigenza di legami e strutture logiche, che si manifesta con chiarezza nel dialogo tra Sciss e Gregory, rivela più cose della mente umana, simboleggiata qui da Gregory, che non della realtà esterna. Gli episodi in sé, quindi, passano in second’ordine nell’economia complessiva del romanzo.
Alla soluzione “sovrannaturale” citata sopra, però, Lem aggiunge due altre soluzioni al mistero dei cadaveri scomparsi, ma lo fa in modo da lasciare al lettore un ampio margine di dubbio sulla loro plausibilità. La prima è la confessione di colpevolezza che un esasperato Sciss lancia a Gregory: del resto non l’aveva sempre sospettato? La seconda è una spiegazione fornita da Sheppard che, combinando una serie di coincidenze, riesce ad attribuire la responsabilità degli eventi a un camionista che, guidando la notte nella nebbia, è a poco a poco impazzito. A giustificare quest’ultima lettura dei fatti è semplicemente il modo in cui questi vengono combinati da chi li interpreta. La struttura non è interna ai fatti ma è il prodotto della mente di chi li osserva. Come osserva lo stesso Gregory nel lungo estratto che ho postato ieri, abbiamo a che fare solo con “frammenti casuali” che si combinano in diversi modi ed è spesso solo l’occhio dello spettatore ad aggregarli in figure più o meno riconoscibil: in questo senso lo sguardo dell'osservatore modifica la realtà.
Ma guarda! Un polacco che realizza una sorta di "parodia" del genere "giallo"....!
Chi ci ricorda?
Forse l'autore di "Cosmo"?
;-)
Posted by: Sebastian | 01/02/2010 at 00:15