Esco di casa alle sette di sera, dopo esserci rimasto rinchiuso tutto il giorno, e mi si para davanti una signora, tra la mezza e la terza età, un po’ in ghingheri, che senza preamboli mi dice alzando lo sguardo: “Qualcuno deve avere degli uccelli al secondo piano, perché sento sempre cip-cip, cip-cip”. Io abbozzo un sorriso, non saprei che cosa rispondere, se non che al secondo piano ci sto io e gli unici uccelli che passano da me non fanno cip-cip, ma lei è già contenta così. E’ Ferragosto, del resto: un giorno che tira fuori la follia sepolta (sepolta?) in quelli che restano a Milano.
Ieri sera, infatti, esco per andare da D., che mi ha invitato - o forse dovrei dire da cui mi sono autoinvitato - per una cena mediorientale o, come ha detto lui per canzonarmi, “palestinese”: baba ganush, tabouleh e una sorta di insalata di zucchine tagliate finissime, prezzemolo e tanto aglio da stendere un vampiro. Vado a piedi, perché sono riuscito nell’impresa di forare anche il copertone anti-foratura della bicicletta, giusto a metà agosto, quando i ciclisti sono chiusi. E l’abbonamento provvisorio con BikeMi è scaduto ieri. Non importa: raggiungo la stazione centrale, che mi sembra abbastanza animata, taglio per via Andrea Doria e mi smarrisco a osservare gli edifici ai due lati della strada.
Proprio ieri ho guardato un giallo-poliziottesco del 1975, Morte sospetta di una minorenne, girato nelle vicinanze di casa mia. L’inizio, per esempio, è una corsa in auto davanti alla Telecom di piazza Luigi Einaudi e sullo sfondo si vede il palazzaccio dell’Inps. Un’altra scena è al luna park delle Varesine, parte ora del progetto di riedificazione di Porta Nuova, con una bella prospettiva su viale della Liberazione, e mi è parso persino di riconoscere le case gialle verso piazza San Gioachimo. E una scena, infine, proprio in via Andrea Doria fino all’imbocco della metropolitana di Caiazzo. Via Andrea Doria è un deserto di cemento ed è abbastanza desolata. Persino il parcheggio davanti alla Asl è vuoto. Mi fermo davanti al numero diciassette, dove c’è un palazzone enorme, suddiviso in varie scale, color mattone, con la portineria al centro del cortile. E m’immagino come potrebbe essere vivere lì. Con le immagini del film in mente ho comunque la sensazione che tutta quella zona sia rimasta “ferma” agli anni settanta.
In questi giorni - e non soltanto ieri -, dovendo muovermi per lo più a piedi, mi abbandono ai esercizi di mindfulness sui generis. La città è quasi vuota, specie in certe zone e in certi momenti, e per non annoiarmi troppo camminando con lo sguardo puntato sul marciapiede (a volte bisogna farlo per evitare la visione molesta dei troppi esseri umani che incrociano il nostro percorso) lo alzo verso il cielo e mi concentro sui piani più alti degli edifici cui passo accanto. Osservo con attenzione i dettagli fino a perdermici, cerco di immaginarmi quello che potrebbe esserci dietro (e dentro), scruto minuzie che, normalmente, non noterei nemmeno. E’ come se il mio io diventasse ipotetico ed esplodesse in innumerevoli schegge, ognuna delle quali va abitare uno di quegli edifici reali e immaginari a un tempo. E quando cammino per questa Milano in cui i negozi sono quasi tutti chiusi, quando passo davanti alle saracinesche abbassate, provo sia un senso di malinconico abbandono - dove siete andati tutti? perché mi avete lasciato qui da solo con la mia solitudine? chi si prenderà cura di me? - che di benefico sollievo - finalmente non c’è più nessuno, finalmente la città è mia, finalmente sono solo.
Ieri sera esco da casa di D. verso le undici. Le strade, dalle parti di piazzale Loreto, non sono poi così deserte come mi sarei aspettato. In realtà c’è un ambiente molto “internazionale”, per così dire. Taglio in corso Buenos Aires, perché non ho voglia di passare ancora per la stazione centrale. E qui trovo qualche bar aperto, con i tavolini sul marciapiedi, sul bordo della strada. C’è gente seduta, che beve e chiacchiera, ma regna un’atmosfera strapaesana, un’allegria da sopravvissuti, da spiaggiati, da naufraghi buttati a riva con la risacca. Solo davanti a Grom c’è, inspiegabilmente, coda come ogni sera. Giro in viale Tunisia e ritrovo il solito deserto: affretto il passo per arrivare a casa sano e salvo. Anche questo Ferragosto me lo sono lasciato alle spalle, in maniera indolore.