“Ciò che era cambiato e ciò in cui lui era cambiato era forse soltanto l’età. Il suo invecchiamento. La vecchiaia che si avvicinava, non ancora percepibile, ma ineludibile e impossibile da scacciare. Una paura inconfessata per la fine, per il punto conclusivo. La fine della vita o di una vita in salute. La fine della sua esistenza energica e potente. Non c’era il benché minimo segno di una qualche limitazione, né mentale né fisica, si sentiva immutatamente bene, si sentiva più giovane di vent’anni di quanto non fosse. Eppure non era più un trentenne, la sua vera età era presente nel suo corpo, ce l’aveva nella testa, negli intestini, nel muscolo cardiaco, nell’organo genitale, e si sarebbe fatta viva. Forse in maniera inattesa. In modo sorprendente in un determinato anno, in un certo mese. Oppure di colpo, un giorno. Allora sarebbe stato all’improvviso un vecchio. Un vegliardo. E non sapeva quanto tempo gli restava fino a quel finale. Sicuramente dieci anni. Con un po’ di fortuna venti. Certamente non molto di più. E poi tutto sarebbe diventato penoso. Tormentoso. La pelle flaccida, i capelli estremamente radi, qualche cuscinetto di grasso qui e là, che né la palestra né la corsa né le dure biciclettate faranno mai scomparire, un liposoma del tutto innocuo, ma brutto, che lo sfigura e lo rende sgradevole. Quando poi si fosse dato appuntamento con una donna, con una donna presumibilmente più giovane - perché aveva sempre avuto donne più giovani, molto più giovani - si sarebbe spogliato in fretta, scomparendo in bagno o nascondendosi alla svelta sotto le coperte, per sottrarsi allo sguardo sarcastico e ai commenti insolenti di lei. Avrebbero fatto l’amore, ma mostrare il suo corpo nudo, camminare per la stanza in maniera disinvolta, sarebbe stata definitivamente una cosa del passato. Sarebbe stato bramoso di guardarla, osservarla mentre attraversava la stanza, si lavava in bagno e si sedeva sull’asse del water. E avrebbe fatto di tutto per evitare che anche lei lo vedesse nudo fuori dal letto. L’avrebbe evitato senza che lei se ne accorgesse, o almeno così sperava. In nessun caso la ragazza - chiunque lei fosse - doveva accorgersi che lui si nascondeva e teneva coperta la sua nudità. Perché la nudità da nascondere non sarebbe più stata solo quel piccolo lembo tra le gambe, ma sarebbe stata tutto il corpo, la pancia e la schiena, la testa e le gambe. Con una mano, con una foglia di fico non si può coprire, ma ci vuole un accappatoio spesso in cui, fingendo di aver freddo, ci si avviluppa. E quel mese temuto, quel giorno che gli indicava la porta per il futuro che gli restava, per la fine, per il nulla, avrebbe dovuto constatare, sorpreso e umiliato, che non era più in grado di amare e che la vecchiaia l’aveva reso impotente. Probabilmente avrebbe ancora desiderato, avrebbe proteso la mano per accarezzare la pelle altrui, per afferrare un corpo, stringere un seno femminile, toccare una coscia di donna, ma tutto sarebbe rimasto privo di conseguenze. Il giorno di una penosità completamente nuova. Probabilmente avrebbe eccitato la donna, forse si sarebbe eccitato anche lui, ma in lui non si sarebbe più mosso nulla. Un’eccitazione nella testa, nella fantasia: inutilizzabile, inutile, inefficace, ridicola. Un uomo ridicolo, ecco che cosa sarebbe stato, e forse la donna avrebbe anche riso: pietosa, cattiva, arrabbiata. Allora lui avrebbe cercato di spiegare qualcosa che non aveva bisogno di spiegazioni. Avrebbe inventato qualche scusa, avrebbe accampato un problema che lo arrovellava e lo distraeva senza sosta, un affaticamento professionale, una preoccupazione familiare. Poi sarebbe andato in bagno, avrebbe chiuso la porta e si sarebbe guardato allo specchio per congedarsi da se stesso. Magari si sarebbe concesso un ulteriore tentativo o avrebbe riprovato in continuazione perché non voleva crederci. Si sarebbe preparato con cura per l’esperimento successivo, per l’ora della sua conferma virile o per l’ammissione definitiva della sua condizione, della sua vecchiaia. Prima avrebbe evitato ogni stress, non avrebbe mangiato troppo e in nessun caso bevuto. Avrebbe curato un po’ di più e con più attenzione il corpo per mascherare i piccoli difetti e i cuscinetti di grasso. Forse si sarebbe comperato delle riviste apposite per stimolarsi o avrebbe parlato con il suo medico curante e si sarebbe fatto prescrivere qualche medicinale. Ma se non avrà successo e tutti i suoi sforzi si concluderanno sempre con figure penose, allora rinuncerà, definitivamente e, spera, per sempre. Ruediger Stolzenburg abbandona il tappeto, rinuncia, si ritira da qui all’eternità ai margini del campo da gioco. E spererà di non commettere più stupidaggini, non sentire più il sangue che gli ruggisce nelle orecchie e nel corpo. E non indurci in tentazione, ma liberaci dal male. Forse i Padri della Chiesa si riferivano proprio a questa tentazione: la libido, il sesso, la brama della pelle e della carne altrui. E probabilmente erano uomini altrettanto vecchi che avevano formulato questi comandamenti e queste preghiere, e probabilmente era conficcata anche in loro la vecchia spina del paradiso o dell’inferno.”
Christoph Hein, da Weiskerns Nachlass (L’eredità di Weiskern), pagg. 36-39. Traduzione mia.