Siccome è appena passato Natale, fuori piove e l'anno declina assai poco dolcemente, è l'ora di tirare qualche bilancio.
Il 2013 è stato un anno orribile, ma mi consolo pensando che finisce meno peggio di quanto fosse cominciato. Non m'interessano i grandi affreschi sociali o geopolitici, beninteso, ma parlo solo di me. Questo è stato per me l'anno del rallentamento delle funzioni vitali. Mi viene da ridere, se considero le premesse di me che scrivo, ma nel 2013 ho visto diminuire d'intensità il mio entusiasmo - o quel che ne restava - per le cose. Dopo la malattia di mio padre (e la relativa stabilizzazione che ne è conseguita, da qualche mese a questa parte) è come se avessi anch'io tirato i remi in barca. Da un certo punto di vista, questo evento mi ha reso ancora più acutamente sensibile alla precarietà di ogni cosa. Da un lato mi spinge a immergermi ancora di più nel presente spremendolo il più possibile e gettando un velo nero sull'idea stessa del futuro. Fatico persino a immaginarmelo, ed è come se la mia mente calasse una saracinesca per impedirmi di pensarci, o di pensarci troppo. Perché, se ci penso, a prevalere è soprattutto il senso di una minaccia incombente: per quanto ottimismo residuo riesca a mettere in campo, ho la consapevolezza che l'entropia farà il suo corso, con la decadenza che inevitabilmente si trascina dietro.
Quest'anno, quindi, ho fatto di meno rispetto agli altri anni. Ho viaggiato di meno: solo un fine settimana a Londra, una sorta di fuga in aprile, e sei giorni in tutto come vacanze estive, tra la fine di agosto e l'inizio di settembre, con l'orecchio sempre attaccato al telefono un paio di volte al giorno per verificare che a casa dei miei genitori tutto seguisse più o meno il suo corso regolare. Dal punto di vista "culturale" - usiamo questo termine così tronfio - ho combinato poco o nulla: nessun teatro, quasi nessuna mostra, nessun concerto (ricordo persino di aver svenduto, sconsolato, a un bagarino il biglietto per il concerto di Asaf Avidan, tanto quella sera ero depresso e disincline ad agitarmi in mezzo alla folla dell'Alcatraz), ma sempre tanti libri e tanta lettura, diventata ormai una sorta di coperta di Linus, un vizio compensatorio.
Più o meno come il sesso, che ha acquisito ancora più del solito la funzione di ansiolitico, potenziata dal pensiero (più o meno inconsapevole) nel retro della mia mente che è meglio approfittarne finché ce n'è, perché poi - inattesa e improvvisa - potrebbe capitare una catastrofe. E poi, per parafrasare Gertrude Stein, un cazzo è un cazzo è un cazzo - e, quindi, è sempre meglio di nessun cazzo - o, come suggerisce un vecchio adagio, è meglio avere rimorsi che rimpianti. Dal punto di vista più strettamente amoroso ho tenuto fede a un impegno preso con me stesso e, così, ho abbandonato il proposito di scoprirmi troppo con qualcuno di cui avrei potuto innamorarmi - o incapricciarmi, se non vogliamo esagerare con i paroloni - quando costui ha mostrato verso di me una gentilezza di troppo in un momento in cui ero più vulnerabile illudendomi che non fosse dettata solo da un'estemporanea compassione. E, come mi ripeto ormai spesso, piuttosto che scrivere ancora una lettera (o una mail, o un messaggio) d'amore, mi mozzo da solo tutte le falangi. Sono rimasti invece gli amici (pochi) di sempre, a cui non sono abbastanza grato per il fatto di avermi sopportato finora, e mi piacerebbe pensare che questa fine d'anno me ne abbia portato in dono un altro.
Il fatto che poi io scriva tutto questo sul blog, abbandonato da mesi, potrebbe far credere che io abbia intenzione di rianimarlo, dopo tanto tempo. Gli eventi lo avevano travolto e hanno soprattutto annientato un'altra illusione: che le parole possano in qualche modo sopperire alle carenze della realtà, che possano davvero essere un balsamo che lenisce le escoriazioni, che possano sul serio essere consolazione per gli animi esacerbati. L'altra sera ho riletto un po' di cose che avevo scritto in passato e ho avuto la sensazione che fossero state scritte da un altro e che, soprattutto, fossero parole al vento. Se io abbia voglia di spargere altre parole nel vento, ormai, è dubbio. Però questo consuntivo avevo voglia di farlo.