Sul Corriere della Sera di ieri è apparso un fondo interessante di Guido Ceronetti, a cui è stato dato il titolo “Troppa economia ferisce la psiche”. Ceronetti, con il suo stile tipico, sostiene che la pletora di notizie (per lo più catastrofiche) sull’economia che invadono i notiziari e i giornali in questo periodo ha un effetto deprimente sulla psiche umana. E’ vero che la “depressione” - aggiunge - è la cifra dominante della nostra epoca e dell’Occidente, ma “questo vomitare ininterrotto stampato e mediatico, economia-economia, questo non occuparsi d’altro delle classi dirigenti, questo sparare addosso alla gente con fucili automatici che c’è una crisi inaudita, mai vista finora, colossale, irrimediabile, ovviamente planetaria, in quale ideale pattumiera finisce - se non l’anima umana, la sostanza mentale, il corpo eterico, col fine (forse è questo il suo fine, perché niente è pura superficie) di farli a brandelli?”. L’insistenza a tambur battente su quest’unico tasto ha un impatto soverchiante sugli individui e, alla fin fine, non serve ad altro che a ricondurli alla percezione della loro impotenza. A poco a poco, il singolo individuo si sente piccolo e inutile come un verme e ha la sensazione di non potere fare nulla per rimediare alla situazione. Non può nemmeno sottrarsi a questa gragnola di informazioni: è costretto ad assorbirle e a ficcarsi bene in testa che lui conta meno di niente. Con il suo linguaggio teologico, Ceronetti mette in evidenza uno dei meccanismi che generano la depressione. La depressione è anche - come ha mostrato empiricamente lo psicologo americano Martin Seligman - “impotenza appresa”. A forza di constatare che, in una determinata situazione, non può fare nulla per modificarla a proprio vantaggio, l’individuo diventa sempre più depresso. L’idea è che quanto minore diventa il controllo dell'individuo sulle proprie azioni e la possibilità di determinarle, tanto più grave si fa la depressione. Quando - per restare all’esempio italiano - leggiamo che il debito pubblico è di millenovecento miliardi di euro, è inevitabile che avvertiamo la nostra assoluta impotenza nell’intraprendere checchessia per migliorare la situazione. Impotenza che aumenta quando vediamo che qualsiasi iniziativa non fa che incidere in misura irrilevante sulla diminuzione di quella somma ingente. Eppure leggiamo commenti di insigni economisti - spesso in contraddizione tra di loro - che propongono varie ricette fingendo che la prospettiva di una riduzione si possa realizzare in un tempo alla portata della percezione ed esperienza umane. Altrimenti l’effetto è di quando leggiamo della “morte del sole”: un fenomeno troppo in là nel futuro perché ci preoccupi davvero. Temo invece che, malgrado le ricette e le proposte, la riduzione del debito pubblico italiano rischi di diventare davvero qualcosa che s’inserisce nello stesso orizzonte temporale della morte del sole e che tutto il nostro dibatterci e agitarci sia, comunque, vano e, per l’appunto, depressogeno.
Prosegue Ceronetti: “Il nostro rapporto con il mondo numerico è fatto dalle piccole cifre. Anche un ministro dell’Economia, che ha la sartoria dei miliardi in dollari e in euro, quando spende da uomo qualunque conta i centesimi nel portamonete, può arrivare a cento euro quando gli si presenta un conto di ristorante. [...] Il vero mercato, per tutta la gente [...], il mercato che lascia l’anima vivere, è il mercatino ortofrutticolo, o la fiera mensile dell’antiquariato. Le cifre spasmodiche delle Borse, invece, sono percentuali di morte, necroeconomia.” E aggiunge: “E dappertutto dove il leviatano fetentissimo della necroeconomia alza la testa spaventosa, la Depressione miete vittime a milioni”. Che cosa fare? Ceronetti giunge alla mia stessa conclusione: “E non c’è difesa”. Mi sembra l’unica risposta - per niente ottima, per niente consolante, ma realistica - a un amico che si lamentava perché, in questo periodo di grande crisi mondiale, la televisione pubblica trasmette solo repliche di vecchi film in bianco e nero o telefilm d’annata perché “è estate”. Se anche venisse aumentato il carico delle cannonate catastrofiste, che cosa cambierebbe, per noi “piccoli uomini”? Niente. Avremmo solo più carburante per le nostre depressioni. Anzi, per la Depressione, come la chiama - teologicamente - Ceronetti.