13:56 in Dissezioni | Permalink | Comments (2)
Sei al centro di un circolo luminoso, proiettato da un faro. Vedi solo a breve distanza da te. Oltre i margini di questo cerchio si estende lo spazio buio. Non sai quanto è vasto: potrebbe essere minuscolo tanto che basterebbe un passo per superarlo, potrebbe essere immenso e in questo caso non smetteresti mai di camminare prima di arrivare alla fine. Se limiti lo sguardo allo spazio luminoso riesci anche a fingere che al di là non ci sia tutta quell'oscurità, ma se pensi di essere al centro di un'area così circoscritta, inghiottita da tutto quel buio, cercherai di restare il più possibile immobile e guardare il meno possibile al di là. In realtà non ti viene nemmeno in mente che, man mano che ti sposti, il cono di luce dovrebbe spostarsi con te. Poco te ne importa. La paura di quello che potresti trovare o non trovare ti fa muovere il più lentamente possibile. E soprattutto non riesci a dimenticare né il cerchio di luce né il buio intorno.
18:29 in Dissezioni | Permalink
14:09 in Dissezioni | Permalink
Il consolatore arriva quando meno te lo aspetti. O forse arriva quando te lo aspetti, ma inconsapevolmente, oppure quando è qualcosa in te che lo aspetta ed è tutto teso con imminenza d'attesa, ma non sai che è quella la sua funzione. Lo scambi per qualcos'altro. Sei lì che ti stai facendo i fatti tuoi e lui appare dal nulla. Magari in un pomeriggio apparentemente immobile. D'un tratto ti sembra che la tua vita stia cambiando, ma in realtà non sta cambiando nulla, perché non è quello lo scopo del consolatore. Solo con il tempo saprai a che cosa serviva il consolatore: lenire con un po' di balsamo i tuoi punti dolenti, farti sentire ancora vivo e desiderato, dirti che tutto andrà bene quando tu pensi che le cose stiano andando per il verso storto, traghettarti al di là di un temporaneo periodo di crisi che tu, nel tuo smarrimento, scambi per catastrofe. E quando passa la crisi che cosa fa il consolatore? Chi è lui per te? Forse non è nessuno. Non è certo un messaggero del cielo. Non è nemmeno una delle sorelle della misericordia di cui cantava il buon vecchio e triste Leonard Cohen. Il consolatore è solo un uomo come tutti gli altri. E' entrato in bilico nella tua vita, ma è entrato nel momento giusto. Quello in cui la porta era socchiusa, uno spiraglio era aperto e bastava un alito di vento a spingerlo dentro. Se fosse passato un altro giorno, magari quello in cui avevi riso tutto il tempo, non ti saresti nemmeno accorto che era lì e che ti guardava. Più malinconico lui di te, non avrebbe trovato lo spazio per rispondere, con la sua voce flebile, al tuo "Entra pure". Del consolatore, soprattutto, non si parla. Non si parla con nessuno. Il consolatore resta in ombra: gli altri non sanno che lui c'è. La sua azione deve avvenire in silenzio affinché lo si possa cancellare quando di lui non c'è più bisogno. Ma chi consola il consolatore? Quando poi cala la notte e il consolatore si aggira nel bosco buio, solo con una torcia in mano perché in tutta quell'oscurità non distingue più nulla, nemmeno la più piccola foglia, se non a sprazzi e con intermittenza. Chi consola il consolatore che ostinato continua a camminare in cerca di una radura? Chi consola il consolatore?
18:06 in Dissezioni | Permalink
E' una sfida tra me e lui - il mio cane nero -; una gara a chi corre più forte. Vince, di volta in volta, chi non si ferma. Se, stanco della corsa, mi siedo per riposare e recuperare fiato lo sento galoppare finché non mi raggiunge. Allora mi rialzo e riprendo a correre finché non lo semino e lui si confonde in un puntino nero, lontano all'orizzonte. Sono ancora l'inseguito e le mie azioni sono ancora reazioni, non iniziative. Ma almeno non resto seduto, paralizzato, pensando che comunque mi balzerà addosso e mi sbranerà. Corro. Non so dove, so per fuggire da chi, ma correre mi pare già un progresso.
01:27 in Dissezioni | Permalink
(1° movimento)
Quando la mattina mi sveglio riaffiori alla superficie della mia coscienza come un'isola che ogni notte sprofondasse in fondo al mare per risalire a galla il giorno dopo. E dire che c'è stato un tempo, lontanissimo, in cui al risveglio la mia mente era così spoglia da costringermi a uno sforzo per ricordarmi che qualcuno era con me. Presenze brevi: ero troppo giovane e troppo preso da me perché concedessi loro di entrarmi davvero dentro e superare la soglia della coscienza vigile. Adesso la mia mente compie lo sforzo inverso, senza voglia né convinzione getta ghiaccio sui miei furori, si dice che deve mantenere l'equilibrio ed esercitare un minimo di freddezza. Eppure sa di essere ormai un sasso che rotola giù lungo un pendio, acquistando velocità. Sdoppiata, si osserva e assiste alla propria rovina, ma non può veramente fare nulla per intervenire e modificarne il corso. Ma quando la tensione si fa troppo forte provo a indossare di nuovo i vecchi abiti del disincanto dicendomi che mi sto illudendo, ma li sento stretti. Ho conosciuto le seduzioni del cinismo, ma non hanno funzionato e ora so che cosa voglio perché l'ho trovato. So di essere come il bambino che, a forza di cadere, allunga le braccia non appena rischia d'inciampare, ma che ha anche imparato a non opporsi più al bisogno di correre. E quando io, esausto per la battaglia e per gli ostacoli - tutti interiori - che ho scavalcato, vorrei accasciarmi, mi basta uno sguardo, ricambiato, per rialzarmi e riprendere la corsa: in quel momento non esiste più ghiaccio che raffreddi i miei furori e non c'è più modo di fermare il sasso che rotola giù.
(2° movimento)
Le nostre parole sono una piccola nave che aggira uno scoglio. Lo scoglio è il tabù. A volte rimane sullo sfondo, come una presenza sinistra che riusciamo quasi a dimenticare, mentre altre volte - come un magnete - attrae a sé la nostra fragile imbarcazione, con forza irresistibile. Non è la sua presenza reale che conta, ma il suo valore di simbolo: questo sì, lo possiamo cancellare, prenderci un attimo di pausa e volgere lo sguardo altrove. Come oggi, per esempio: diamogli le spalle, non lasciamo che getti un'ombra sulle nostre parole finalmente sorridenti. Il mare è liscio come olio, il sole è a picco e la luce si riflette in infinite schegge sull'acqua. E' bello starsene così: perché dirigere la nostra piccola nave in prossimità di quello scoglio? Se solo potessi prendere in mano il timone e portarla via da lì. C'è un porto che aspetta.
23:23 in Dissezioni | Permalink
Arrivare secondi. Arrivare proprio un attimo dopo che il vincitore solleva il trofeo verso il cielo. Guardarlo da lontano mentre tutti lo festeggiano e allontanarsi piano piano, con lo sguardo basso verso terra, pensando che nemmeno stavolta abbiamo tagliato il traguardo al momento giusto. Arrivare pensando di essere arrivati primi e poi sentirsi dire che non era quello il premio che credevamo di vincere e che comunque il premio è destinato a qualcun altro, che lo conquisterà anche se non arriverà primo. E allora non importerà essere arrivati primi o secondi, perché comunque avremo corso nella gara sbagliata, quella a cui nemmeno dovevamo partecipare. Saperlo o non saperlo sarà stato indifferente.
Oppure arrivare trafelati alla stazione, dopo una giornata afosa, affaticati e con la lingua penzoloni e vedere il nostro treno che si allontana senza di noi. E intanto sapere che il treno successivo sarà per una destinazione che non è la nostra. Mentre quello ancora successivo, quando entrerà in stazione, sarà già così affollato da non permetterci di salire. Anche quello ripartirà senza di noi, anche se era il treno giusto e noi, stavolta, eravamo arrivati puntuali. Restare ad aspettare che arrivi il treno giusto senza sapere quando arriverà e se arriverà. Sedersi su una panchina a capo chino, intrecciare le mani, guardare i treni degli altri passare e non sapere quanto tempo ancora dovrà trascorrere prima di poter dire: ecco, finalmente anche noi possiamo viaggiare.
Ma soprattutto: essere stanchi di ritirarsi in buon ordine. Essere stufi di deporre le armi ancor prima di avere ingaggiato la vera battaglia. Provare l'amarezza e la rabbia di chi rinuncia prima che gli sia stato detto che non ha alternativa se non rinunciare. Ribellarsi innanzitutto alla propria inclinazione per la disfatta, ormai così automatica da non essere più nemmeno una scelta, ma una sorta di passione morbosa. Imparare a odiare. Odiare il nemico pur non conoscendolo. Stringere i denti e applicarsi a detestare l'avversario da sconfiggere. Perché se gli concediamo la vittoria ancora prima di avere lottato non significa che siamo più buoni, ma semplicemente che odiamo più noi stessi e la nostra felicità di quanto dovremmo odiare chi non ci consente di raggiungerla. Due avversari avremo da affrontare in battaglia, dunque: quello reale e quello interno, che è la nostra tentazione di sfuggire alla stessa battaglia. Coltivare la spietatezza nei confronti degli estranei, perché l'alternativa sarebbe praticare la spietatezza nei nostri stessi confronti.
Pensare per una volta: morirai tu affinché noi possiamo vivere - e non viceversa.
Dire io, incondizionatamente io.
15:51 in Dissezioni | Permalink
Sono un aeroplano, ma ho un'anima. Vorrei volare, perché mi hanno costruito per questo. Sono rimasto a lungo in un hangar, tanto da aver dimenticato come si fa a volare. Ero soggetto a una manutenzione minuziosa che si smarriva nei dettagli delle mie componenti meccaniche. Ero diventato - a forza di essere accudito così - solo la somma delle mie parti: non ero più un velivolo, non ero più nulla. Tutto era perfetto, scintillante e inutile. O almeno così sembrava. Ma io sono un aeroplano, anche se ho un'anima - e non è solo di metallo. Vorrei volare. Per una volta vorrei volare e dimenticare le disposizioni di sicurezza. Ignorare lo spettacolo degli assistenti di volo che agitano le braccia come mimi stanchi, stracciare il foglio che illustra le misure di emergenza. Spiccare il volo senza che più nulla freni il mio viaggio, acquistare sempre più velocità, sfidare anche la resistenza dell'aria. Volare, nient'altro che volare: per questo sono stato progettato e questo voglio fare. A chi obietta che, in questo modo, potrei schiantarmi rispondo che è meglio schiantarsi che non aver mai volato.
23:25 in Dissezioni | Permalink
mi stai incollata addosso come una seconda pelle, così aderente a me che a volte sembri addirittura la prima e non una diversa da quella originaria. ma proprio quando con un gesto brusco credo di averti scollata e strappata via - tanto che provo un senso di profondo sollievo e il sangue ristagnante riprende a diluirsi e a scorrere veloce nelle vene - mi volto di scatto, mi guardo allo specchio e vedo che sei ancora lì, identica a prima: un altro strato o forse lo stesso. devo ricominciare, ancora, ancora e ancora. se non ricominciassi, l'avresti vinta tu: avresti ragione, non saresti più né una seconda, né una prima pelle, bensì la mia carne vera.
19:46 in Dissezioni | Permalink
"Ti lascio immaginare cosa succederebbe
se tu volessi bere, se tu volessi nuotare,
se tu volessi l'ultimo centimetro di cima
del monte che ti pare
per farne niente o per otturare
un buchetto qualsiasi in fondo a un mare"
Lucio Battisti, La sposa occidentale (testo di Pasquale Panella)
"Mi hai portato in cima alla montagna - disse - e ora non devi scomparire. Non posso, di punto in bianco, lanciarmi nel vuoto fingendo di saper volare. Non ho messo le ali, nonostante te. Riaccompagnami, perché non saprei tornare a valle da solo. Non so più nemmeno come ci sono arrivato qui."
Ma non fece in tempo a pronunciare queste parole che, voltandosi, si accorse che era rimasto solo. Il suo accompagnatore, che lui aveva seguito bendato (o accecato), non era più lì. Chissà, forse stava portando qualcun altro sulla vetta di un'altra montagna.
Non potendo né volare né restare immobile a guardare nel vuoto che gli si spalancava davanti e smarrito il senso di meraviglia per quello spettacolo, è dovuto tornare sui suoi passi e ripercorrere, a ritroso, l'impervio sentiero che l'aveva condotto fino a lì.
"Che strana sensazione - si disse poi -: se prima, pur salendo, mi pareva di avere il passo leggero, adesso, scendendo, mi pare di avere scarpe di piombo. E poi prima ci sono salito quasi spontaneamente, seguendo te. Ora, invece, devo riflettere su dove posare i piedi".
Ma non questo lo preoccupa, ora: si chiede piuttosto se troverà il coraggio per tentare un'altra ascesa.
Lo troverà.
14:14 in Dissezioni | Permalink