Inizio oggi, con queste parole, una categoria che nasce morta, destinata a esaurirsi quando si esauriranno i ricordi, già scritti, che sto per riprodurre. E' il ricordo di un'ossessione - o, meglio, di un innamoramento vissuto come ossessione, come una serie di immagini che s'imponevano alla coscienza riluttante rendendole impraticabile ogni altro contenuto. Un'ossessione che mi comprimeva il cervello che, come un topo impazzito, cercava vie di fuga in un altrove inesistente: un futuro immaginario, un luogo lontano. I ricordi che, numerati ma senza altre modifiche, riprodurrò in questa categoria furono scritti nella primavera del 1998, quando ancora non avevo conosciuto M.S. ma già si era esaurita questa ossessione che durò dal 1991 al 1995, raggiungendo il suo climax nei primi mesi del 1994. D. è testimone che fu vero tormento. Funzionò, tuttavia, come un potente vaccino: da allora ho perso la facoltà di innamorami e di illudermi in quel modo. E, soprattutto, vista a distanza di dieci anni, tutta la storia - che non fu una storia, ma un unilaterale monologo davanti a un muro bianco, silenzioso - mi pare la conferma della famosa frase con cui Aldo Busi apre il suo Seminario sulla gioventù:
"Che resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? Niente, neppure una reminiscenza. Il peggio, una volta sperimentato, si riduce a un risolino di stupore, stupore di essercela presa per così poco, e anch'io ho creduto fatale quanto si è poi rivelato letale solo per la noia che mi viene a pensarci. A pezzi o interi, non si continua a vivere ugualmente scissi? E le angosce di un tempo ci appaiono come mondi talmente lontani da noi, oggi, che ci sembra inverosimile aver potuto abitarli in passato".
Non si potrebbe dire meglio. Che abbia inizio, dunque, la catartica danza...