Sapeste quanto vi ho amato: così, gratuitamente, senza chiedervi nulla in cambio. Vi accarezzavo nei miei momenti di solitudine e pensavo che in voi avrei trovato tutte le risposte. E quando le risposte non arrivavano e, anzi, sembravano eludere le mie domande, mi dicevo che tutto sommato la sola vostra presenza era la mia consolazione. Talvolta vi guardavo e mi sembravate così belle, quasi perfette. Era commovente rifugiarmi tra le vostre braccia e fingere in questo modo di sfuggire alla crudeltà del mondo. No, sfuggivo solo alla mia responsabilità. Voi sapevate incantarmi: era sufficiente che vi ascoltassi abbastanza a lungo per convincermi che tutto quello che mi dicevate era vero. Era vero, pensavo, perché era bello. Eppure Ulisse e le sirene avrebbero dovuto insegnarmi qualcosa. Non mi veniva neanche in mente che sarebbe bastato sfiorarvi perché la vostra bellezza si sgretolasse e io ne uscissi coperto di polvere e cenere. La vostra bellezza era, spesso, la stessa dei fondali di un palcoscenico o quella illusoria delle facciate degli edifici nei teatri di posa cinematografici, dietro alle quali si spalanca il vuoto, ma che riesce a ingannare tanto bene gli spettatori. Io, davanti a voi, ero uno spettatore. Chi, diversamente da me, si fosse fermato a guardarvi superficialmente, passando poi ad altro, avrebbe sì riconosciuto la vostra bellezza, magari ne sarebbe rimasto incantato e mi avrebbe invidiato perché voi eravate sempre con me, perché io vi trattavo bene o, persino, perché eravate una mia emanazione, ma poi avrebbe continuato a vivere la sua vita. Non era innamorato di voi, infatti. E se voi eravate così belle, anch'io non potevo che esserlo altrettanto, mi rassicuravo. Io vi ho amato tanto, davvero tanto, e non è un'esagerazione dire che mi è capitato di amarvi addirittura più della mia stessa vita. Tutt'altro: potrebbe essere, questa, una descrizione veritiera e oggettiva della realtà, perché per amare voi ho trascurato la mia vita, dimenticandomi di vivere, dimenticandomi come si faceva a vivere. Ammirare la vostra bellezza era una ricompensa sufficiente, pensavo. Ma col passare del tempo ho visto con chiarezza che avevate occhi vitrei e spenti e il volto assente e inespressivo: ho avuto paura. E' stata una rivelazione. Belle e morte, mi sono detto, ecco quello che eravate. Belle e morte nonostante la vita di cui mi avevate prosciugato. Vale la pena amarvi ancora? Vorrei scrivervi una lettera e congedarmi da voi, ma è un'impresa sovrumana per me, perché mi avete accompagnato in tutti questi anni, quando non c'era nessuno, dandomi l'illusione che qualcuno si prendesse cura di me. Dovrei imparare, ora, a guardarvi con disincanto e, avendo intuito la vostra impotenza, fare affidamento su di me. Riuscirò a non amarvi più - o ad amarvi di meno - quando ho riposto tante speranze in voi? Dovrei guardarvi per quello che siete, godere della vostra bellezza senza pretendere di esserne salvato o senza chiederle di colmare il vuoto dell'esistenza. Sapeste quanto vi ho amato: ora vorrei imparare - come l'amante deluso, ma solo perché si era illuso da sé - a non odiarvi.