Tra i dilemmi in cui si può dibattere un non più giovane omosessuale c’è questo: è meglio innamorarsi e, non ricambiati, struggersi per questo innamoramento senza mai nemmeno riuscire a portarsi a letto l’oggetto del proprio innamoramento oppure, dopo esserselo portato a letto - e magari più volte -, doversi rassegnare al fatto che innamorato di te lui non lo sarà mai? Insomma, meglio qualcosa - una specie di premio di consolazione - quando in realtà si aspira a un “di più” oppure meglio niente del tutto quando non si può conseguire il primo premio, il podio, nella competizione amorosa, perché qualunque cosa “di meno” renderebbe ancora più pungente la sensazione della mancanza? (Poi - è evidente - uso i termini “innamoramento” e “innamorarsi” come una sorta di stenografia dei sentimenti, vocaboli a cui ogni lettore potrà attribuire un senso secondo la propria esperienza, una maggiore o minore profondità o serietà, anche quando forse dovrei parlare di “invaghimento” o “incapricciamento”). Oppure - per la pace della propria mente - c’è anche una terza via: finire a letto con gente di cui mai ci s’innamorerebbe e che mai s’innamorerebbe di te, traendone reciproco e momentaneo soddisfacimento - più o meno, è comunque soggettivo -, ma senza strascichi emotivi, senza cascami di desideri irrisolti: macchine non più desideranti, ma unicamente copulanti. (Infine, ci sarebbe un problema alla base di tutte queste considerazioni: il punto non è soltanto innamorarsi o non innamorarsi, scopare o non scopare, essere o non essere ricambiati, ma essere all’altezza dei propri innamoramenti.)
Comments