Tutti i problemi che l'Italia sta avendo - anche il resto d'Europa, ma l'Italia in misura maggiore - s'intensificheranno nei prossimi anni. Bisogna corazzarsi, stringere i denti e chinare la schiena per cercare di resistere all'impatto della tempesta. Non soltanto c'è la crisi economica, non soltanto la produttività non cresce e, anzi, è in picchiata, ma il paese sta a poco a poco invecchiando. Si lavora di meno un po' perché c'è (per ora?) meno lavoro - e meno lavoro in settori innovativi che possano servire da volano per rilanciare l'economia - e un po' perché quelli che invecchiano si ritirano a vita privata. Qualcuno lamenta il fatto che nei paesi occidentali e in Italia si nasce poco, rallentando così il ricambio generazionale e restringendo la quantità di persone che lavorano (ma qualcun altro potrebbe obiettare: perché fare figli, se poi anche le opportunità professionali si riducono sempre di più? A meno che non accettiamo la premessa che un cervello giovane è mediamente più creativo e innovativo di un cervello logorato dall'età). Su questo non ho un'opinione ben precisa. Da un lato è vero che, mancando forze fresche, difficilmente il paese potrà risollevarsi e difficilmente si troverà chi, lavorando, potrà mantenere il sistema di welfare per la piattaforma sempre più ampia di chi non lavora più. La piramide, alla cui base c'era la popolazione attiva e al cui vertice c'erano gli individui in quiescenza - come si dice in burocratese -, si sta ribaltando: provateci voi a far restare in equilibrio una piramide sulla sua punta! D'altro canto non mi sembra neanche una tragedia la prospettiva che tra qualche decennio la popolazione dell'Italia si riduca a poco più di quaranta milioni d'individui (perché sono queste le proiezioni che ho letto da qualche parte), anche se io non sarò più qui a constatarlo di persona perché farò parte di quei venti milioni di scomparsi. Però, prima di arrivare a quel risultato finale, dovremo attraversare un periodo, chissà quanto lungo, di progressiva diminuzione dei giovani e di aumento degli anziani inattivi, che ovviamente richiederanno sempre più cure per via dell'allungamento della vita media. Il passaggio sarà quindi graduale. Che fare nel frattempo? Esisteranno le risorse necessarie per garantire ancora a lungo i livelli di welfare che tutti oggi considerano scontati e dovuti? Sarà possibile tirare una coperta sempre più stretta? Con queste premesse, a me pare ovvio che c'impoveriremo: un dato di fatto che molti preferiscono non vedere, fingendo che malgrado tutto potremo mantenere anche in futuro lo stesso stile di vita ignorando questi cambiamenti demografici, come se nel frattempo nulla fosse successo. Oppure giungerà il momento in cui verranno incentivati i suicidi o verrà invocato lo sterminio della massa di inattivi per alleggerire il peso su chi è invece ancora attivo? Quando vedremo lo stato reale delle risorse a nostra disposizione assisteremo forse a una competizione sempre più aspra per accaparrarsele? La questione non è se la tempesta si abbatterà su di noi, ma quando e con quale potenza.
una soluzione può essere quella di incentivare immigrazione qualificata e meno; quello che più o meno stanno facendo tutti gli stati avanzati.
ma è una soluzione che porta anche noti problemi.
Poi c'è da dire che nessun stato (tranne qualcuno tipo Corea del Nord) è impermeabile e autarchico; per fortuna. Quindi guardando la cosa in una prospettiva allargata e a lungo periodo penso che forme di compensazione da "vasi comunicanti" si avvieranno
Posted by: Yoshi | 01/11/2012 at 12:14
Ho volutamente taciuto l'ipotesi dell'immigrazione, ma sono d'accordo con te: andrebbe incentivata l'immigrazione qualificata. Solo che qui da noi si ha quasi paura a formulare questa ipotesi o a dire che, se servono immigrati, bisogna potere scegliere chi fare entrare e chi no.
Posted by: stefano | 02/11/2012 at 11:30