L'idea è, a suo modo, semplice e geniale ed è la struttura portante del nuovo romanzo di Daniel Pennac, Journal d'un corps, pubblicato da noi con il titolo (che a me non piace) Storia di un corpo. A me non sarebbe mai venuto in mente di leggerlo, perché Pennac è proprio estraneo alla traiettoria dei miei interessi, se non fosse proprio per l'argomento scelto e per il mondo in cui è stato trattato. L'ossessione per il corpo, la scoperta in prima persona dei meccanismi del suo funzionamento - e del progressivo decadimento dellamacchina corporale -, il rapporto di azione e reazione tra psiche e corpo, sono tutti aspetti che affascinano anche me. La genialità della trovata di Pennac consiste nell'avere messo al servizio di questa esplorazione del corpo strumenti che hanno una lunga tradizione nella letteratura francese: innanzitutto il diario - il journal a cui si riferisce il titolo originale dell'opera - e poi la sua pubblicazione da parte di Pennac che finge di essere amico di chi gliel'ha affidato, ovvero Lison, la figlia ed erede dell'estensore del diario. Un manoscritto ritrovato, in un certo senso.
Ma il diario dell'io narrante è sui generis. Benché cominci a tenerlo nel 1936, all'età di dodici anni, e continui fino alla morte, a ottantasette, non è un "diario intimo", uno di quelli in cui si registrano le proprie emozioni o gli eventi della propria vita privata, ma è un testo che si concentra sul corpo del protagonista e tutto ciò che avviene durante la sua vita è filtrato attraverso il prisma del corpo stesso. Ogni evento è osservato, annotato e chiosato solo nella misura in cui ha dei riflessi sul corpo dell'io narrante e sulle sue funzioni, anche quelle apparentemente più banali e, forse, più disgustose - , ma appunto per questo motivo altrettanto enigmatiche. Un proposito che nasce dall'iniziale estraneità del giovane io narrante nei confronti dell'immagine del suo corpo, contraddistinta da una sorta di imbarazzo che lo coglie quando, nudo davanti allo specchio, deve farsi forza per non distogliere lo sguardo. Tutta l'esistenza scritta di quest'uomo ha quindi per obiettivo di dare voce al silenzio del corpo, tanto per citare il titolo di una raccolta di aforismi di Guido Ceronetti dedicata allo stesso tema, e di farlo con un senso di incessante stupore che si trasmette anche a chi legge.
Coprendo oltre settant'anni - con numerose interruzioni, a volte anche di lunga durata, dovute a eventi imprevisti, lieti e meno lieti, che fanno posare la penna all'autore del diario -, Pennac ha dovuto probabilmente porsi il problema del tono e dello stile. In soldoni, è difficile che un ragazzino di dodici anni abbia la stessa capacità analitica e di scrittura di un uomo maturo. Per rimediare a quello che poteva diventare un problema ha quindi fatto ricorso a un piccolo escamotage, dando al suo io narrante una biografia particolare. Sin da piccolo, infatti, viene educato da un padre scampato alla prima guerra mondiale, ma gravemente malato, che gli offre un'istruzione di livello superiore a quella dei suoi coetanei, instillando in lui il gusto per la curiosità e l'apprendimento. Il dodicenne che tiene il diario del suo corpo è, perciò, un ragazzino atipico, già in grado di usare un linguaggio molto preciso, quasi notarile. In questo modo, pur senza eliminarlo del tutto, il sospetto di implausibilità viene un po' attenuato.
Man mano che il protagonista invecchia, si abbattono su di lui una serie di magagne e di défaillances fisiche, cosicché il suo diario diventa anche il pretesto per registrare le varie malattie che lo colpiscono, con la descrizione minuziosa (e incuriosita) dei sintomi che le caratterizzano, con il loro decorso e le loro cure, il dolore che provocano e la sensazione di un progressivo abbandono di controllo dello "spirito" sulla "carne" (mentre, al contrario, in gioventù era quasi il corpo ad agire in anticipo sul pensiero che lo comandava). Il libro diventa quindi, con il passare degli anni, più malinconico. Forse si potrebbe osservare che, per il desiderio di dire il più possibile, Daniel Pennac rende la vita particolarmente difficile al suo personaggio, facendogli piovere in testa - oltre alle varie malattie - anche una serie di lutti e di disgrazie.
Ciò nonostante, non si esce dalla lettura di Journal d'un corps con la sensazione di essersi immersi in un delirio solipsistico o autoreferenziale, ma tutt'altro. E' un romanzo popolato di persone - amici, parenti, amanti, una moglie amata fino al momento della morte -, descritte in modo molto affettuso e anch'esse nella loro concretezza corporea, perché il corpo comprende di necessità anche i corpi degli altri (e il rapporto che il narratore ha con essi). Come se non bastasse, poi, questo romanzo di Pennac contiene una serie di osservazioni sommamente citabili, tanto che potrebbero quasi essere estrapolate per ricavarne un volume di aforismi sul corpo, tradizione anche questa molto francese. Eppure, di fronte alla morte, l'io narrante si abbandona a una confessione: "Aspirando a dire tutto, ho detto così poco! Ho a malapena sfiorato questo corpo che volevo descrivere." Dopo decenni di attenta osservazione, il corpo resta un continente ancora largamente inesplorato.