Annuncio con dolore la morte di Franco Battiato. Dopo un primo ascolto del suo nuovo cd di inediti, Apriti Sesamo, ho pensato di essere stato troppo drastico. Meglio sospendere il giudizio? Allora l'ho riascoltato cinque o sei volte, integralmente, ma la mia opinione non è cambiata. Non c'è un singolo brano che mi convinca del tutto, ma spira ovunque un'aria di già orecchiato e di rimasticatura. L'impronta è nettamente battiatana, quindi musicalmente non è del tutto sgradevole, ma è evidente che ormai la sua ispirazione è in picchiata. C'è molta maniera e molto mestiere e, grazie alle sue abilità di arrangiatore, Battiato piazza qui e là qualche passaggio ben riuscito, ma questi si contano sulle dita di una mano - potrei facilmente elencarli - e non bastano a salvare i trentasei minuti e trentasei secondi dell'album.
L'aspetto che però mi lascia più perplesso, di questi dieci pezzi, sono i testi. Non voglio sindacare sulla visione del mondo e sulle fisse che da anni Battiato ci propina a ogni pié sospinto - morte, reincarnazione, trascendenza, regressione a presunti stati di esistenza anteriori e perfetti, lo sfacelo del mondo contemporaneo -, ma il guaio è che nei testi non trovano adeguata espressione artistica. Quello che resta è un tono predicatorio e sapienziale che allude a rivelazioni talmente profonde (e imprecise) da sconfinare nell'ineffabilità: la poesia e il genio linguistico che caratterizzavano i testi di un tempo sono ormai evaporati, cedendo il passo a una sciatteria che batte e ribatte su una manciata di aggettivi, tutti imperniati sulla dicotomia oscurità-luce e sull'esaltazione della magnificenza degli insegnamenti misterici, espressa sempre in termini tanto assoluti quanto vaghi: magnifico, irresistibile, inaccessibile, pura, impenetrabile, intensa, impervia, immensa. Mi spiace dirlo, ma quando sento certe frasi dall'intento solenne, con chiara allusione a dottrine esoteriche, a me viene la ridarella. E non tanto per le dottrine a cui rimandano, che a me sembrano comunque "pappa" e "lusso spirituale" - tanto per citare la Cultura di destra di Furio Jesi -, ma soprattutto per la goffaggine stessa della loro formulazione: "l'oscurità è ostile a chi ama la luce", "i giorni come onde ci sovrastano (...) le cattive notizie ci sommergono", "ciò che deve accadere, accadrà, perché è già accaduto", "viviamo nell'impermanenza, nell'incertezza della vita condizionata", "vorrei tornare indietro nella mia casa d'origine / dove vivevo prima di arrivare qui sulla Terra", "il vento mi porta improvvise allegrie", "un raggio di luce attraversò un cielo nero e minaccioso (...) qualcosa di metafisico era accaduto". Per un po' ho pensato che questo lento degrado della scrittura dei testi dipendesse da Manlio Sgalambro, ma ora ho il fondato sospetto che questo scivolamento sia soprattutto da attribuire a Battiato stesso, ogni volta che vuole inserire a forza i suoi insegnamenti misterici nei testi.
Nessuna sorpresa neanche per quanto riguarda l'uso del "riciclo" e del pastiche a cui Battiato ci ha abituato da anni. Anche in Apriti Sesamo ci sono citazioni - da Santa Teresa d'Avila a Dante (uno scontato "fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza") - e temi musicali ripresi da altri compositori. Il brano con cui è stato lanciato l'album, Passacaglia, è interamente costruito sulla Passacaglia della vita di Stefano Landi (e, per inciso, la parte più brutta del testo è quella aggiunta da Battiato), ma ci sono anche passaggi da Orfeo e Euridice di C.W.Gluck (in Caliti junku) o da Sherazade di Rimskij-Korsakov (in Apriti Sesamo). Non mancano nemmeno i soliti inserti nell'inglese un po' legnoso di Battiato: in Testamento osservo con una certa irritazione la frase "we never died, we were never borne", scritta proprio così, con una "e" di troppo, la cui traduzione in italiano è messa in esergo su una facciata del libretto pieghevole che accompagna il disco, come una sorta di aforisma sapienziale che lo riassuma tutto.
Dicevo che tra tutti questi nuovi pezzi non ce n'è uno che mi colpisca in toto e in modo particolare. L'unica eccezione è forse Aurora, che mantiene un buon equilibrio tra testo e musica. In questo caso, però, il testo non è né di Battiato né di Sgalambro, ma è la traduzione italiana di una poesia del poeta arabo-siciliano Ibn Hamdis. E' anche l'ottava traccia del cd e a me viene ogni volta voglia di togliere il cd dal lettore a questo punto. Le ultime due canzoni - Il serpente e Apriti Sesamo - sono le mie "sfavorite", anzi a dirla tutta le trovo proprio inascoltabili. Il serpente - il cui inizio ricorda fin troppo Haiku - è l'ennesima variazione sul tema "il denaro-è-lo-sterco-del-demonio", declinata stavolta così: "il denaro striscia come il serpente nelle città d'occidente" - il male tentatore, insomma -, ma "per fortuna sta nascendo un uomo nuovo". La solita brodagli anti-occidentale, insomma. Non è malaccio La polvere del branco, se si ignora gran parte del testo (tranne un passaggio felice: "ci crediamo liberi, ma siamo prigionieri / che remano su navi inesistenti"), grazie anche all'apertura musicale in coda, dopo i versi "millions and millions of shadows", che riesce a dare l'idea di una folla in cammino verso il nulla (e in questo senso ricorda un po' L'esodo). Discreta anche Quand'ero giovane, con l'idea di introdurre l'organo Hammond come citazione musicale di quel passato rievocato nel testo. Qui c'è pure uno spassoso riferimento a un Battiato che, uscendo dai locali negli anni settanta, vede le code di macchine davanti al Monumentale e al Parco Ravizza e commenta: "la merce era il sesso, compravano sesso, e spesso diverso". Eri con me ha un testo pietoso, ma si riscatta con la ritmica, soprattutto del ritornello, così percussiva da assomigliare a una marcetta di guerra o tribale. Ma tutto questo non basta a salvare un disco che evidenzia la crisi d'ispirazione di cui soffre Battiato dai tempi di Dieci Stratagemmi: forse è normale per chi in passato ha dato tanto, forse troppo.
La copertina è inguardabile: sembra un cd per bambini. "Eri con me" la canta anche Alice nel suo ultimo cd: un pezzo che si distingue per l'assurdità del testo - che pare una parodia - e la banalità melodica. Una nenia imbarazzante.
Posted by: fuchsia | 07/11/2012 at 20:59
Già, ho dimenticato di dirlo: la canzone era destinata in origine ad Alice.
Ma, vedi, Fuchsia, quel che deve accadere accadrà, perché è già accaduto. Del resto, siamo detriti, rettili... pardon, relitti umani.
Posted by: Stefano | 08/11/2012 at 08:28