Gli ultimi giorni in cui ero a Berlino, nemmeno tre settimane fa, meditavo di scrivere qualcosa sulla perdita del fascino esercitato dalla città su di me e su come una certa sciatteria - cifra dominante di gran parte di Berlino - cominciasse, a poco a poco, a darmi sui nervi. Poi, per l'appunto, sono passate tre settimane e anche un tempo così breve è tornato a depositare un lieve strato di meraviglia, perciò, smarrito lo slancio critico iniziale, ho rinunciato a un'impresa così vacua. In realtà, una delle ultime mattine in cui ero là, sono uscito a fare colazione, anziché farla in casa come ogni giorno, e sono andato a una specie di caffè e panetteria, come ce ne sono in Germania, all'angolo tra la Prenzlauer Allee e la Danziger Strasse. C'era un bel sole, mi sono seduto a un tavolo accanto alla vetrata aperta che dava sull'esterno e sono rimasto a guardare la città e il traffico che si animava: automobili, passanti, biciclette, tram. Chi conosce Berlino - e chi conosce in particolare quell'incrocio - sa che la Prenzlauer e la Danziger sono due strade molto ampie e a grande scorrimento: dalla posizione in cui ero io lo sguardo può spaziare e non si vede la fine di quelle arterie trafficate. In quel momento, però, è successo che ho provato qualcosa di simile alla felicità, una sorta di assurda beatitudine, come se questa consistesse nel restarmene lì seduto a non fare nient'altro che osservare ciò che accadeva intorno a me. Ah - ho pensato - restare qui per sempre: come sarebbe bello. Uno di quei pensieri che si formulano e si osano esprimere solo perché si sa che non si possono realizzare. Poi mi sono riscosso e ho guardato con maggiore disincanto quelle due strade, girando la testa a destra e poi a sinistra. Niente di che, mi sono detto. Non sono poi una grande bellezza, non c'è niente di così spettacolare, e di posti più incantevoli il mondo è pieno, altro che questo incrocio a Prenzlauer Berg. Ma a piacermi era la situazione, più che il luogo, coronata dal fatto che solitamente ho un debole per le mattine, specialmente se sono luminose. Quello che contava, in quel momento, era la mia disposizione d'animo, mentre per il resto sarei potuto essere in qualsiasi altro luogo, perfettamente equivalente alla tanto decantata Berlino, e avrei provato lo stesso fugace senso di terrena beatitudine. Perché il punto è questo: riuscire a sgusciare fuori dall'involucro di me stesso, che invece mi trascino dietro in qualsiasi vacanza, in qualsiasi soggiorno altrove. La vera vacanza sarebbe quella da me stesso, che invece mi ritrovo sempre al fianco e mi rende difficile moltiplicare quegli attimi di felicità passeggera e priva di (troppi) cascami cerebrali.
La vacanza da se stessi è un obiettivo molto ricercato. Per questo esistono numerosi farmaci che tentano di ottenere lo scopo. A volte funzionano, ma per lo più hanno effetti collaterali fastidiosi. Purtroppo non si fa abbastanza ricerca in questo campo. Forse con un approccio multidisciplinare si potrebbe evadere da sé, senza pagare un prezzo troppo alto. Combinando le tecnologie dell'informazione con la farmacologia, non mi pare ardito ipotizzare che in futuro potremo riuscire a ingannare il nostro cervello e a usarlo per il nostro piacere. Ora sembra invece che noi siamo solo strumenti di un ingranaggio che ci vuole infelici, altrimenti correremmo di meno sulla ruota. Una volta scardinato il meccanismo, quando avremo il pieno controllo della nostra natura, potremmo essere pienamente felici, gratificati, beati. Allora però diventeremmo probabilmente molto più esposti alla distruzione.
Posted by: Procellaria | 06/10/2012 at 10:59
Abito a due passi da quell'incrocio, e credo di aver capito in quale Bäckerei eri.
Mi ha fatto uno strano piacere leggere il tuo racconto, anche se per me Berlino e quelle strade rappresentano il contrario che per te in quel momento.
Forse mi ha confortato, o consolato, sapere che è possibile trovare in quel posto qualcosa di bello. Sì, mi hai spinto a sperare di nuovo che un momento simile tocchi anche a me, prima o poi.
E di questo ti ringrazio.
Posted by: Davide | 06/10/2012 at 20:09
tu pensa, anche sergio endrigo: "con tante navi che partono, nessuna ti porterà lontano da te"; come dire: un topos
Posted by: pio | 14/10/2012 at 18:27