Alla fine della Seconda Guerra Mondiale Germania Occidentale, Austria e Germania Orientale affrontano in tre modi diversi la pesante eredità nazista e la responsabilità per il genocidio degli ebrei. Il saggio di Sara Lorenzini, Il rifiuto di un'eredità difficile, si concentra in particolare sul rapporto tra la Repubblica Democratica Tedesca, gli ebrei e lo stato di Israele. Un rapporto che definire tormentato è un eufemismo, tant'è che bisogna aspettare il 1990 perché la DDR riconosca lo stato di Israele, cioè l'anno in cui lo "stato dei contadini e degli operai" in terra tedesca si è votato allo scioglimento e alla fusione con la Repubblica Federale di Germania.
Secondo le spiegazioni classiche dei comunisti il sionismo, in quanto movimento nazionale volto alla creazione di uno stato per gli ebrei, non aveva ragione di essere: la questione ebraica si sarebbe risolta da sé grazie all'internazionalismo e alla solidarietà di classe, che dopo la rivoluzione proletaria avrebbero cancellato i presupposti dell'antisemitismo e della discriminazione degli ebrei. Ci sono tuttavia delle eccezioni, soprattutto dopo la "notte dei cristalli" e durante il conflitto quando ormai la persecuzione degli ebrei è manifesta, come per esempio Paul Merker, segretario del Partito Comunista in esilio in Messico, che si pronuncia a favore del riconoscimento del carattere nazionale agli ebrei, del loro diritto a costituire uno stato nazionale in Palestina e - in seguito - del dovere dei tedeschi di pagare riparazioni al popolo ebraico. Quello delle riparazioni è l'altro punto dolente, elemento di attrito costante nei rapporti tra la DDR e Israele.
A partire dal 1950 - due anni dopo la sua fondazione -, infatti, Israele avanza agli stati eredi del Terzo Reich la richiesta ufficiale della restituzione dei beni di cittadini ebrei confiscati dai nazisti e di riparazioni collettive. La DDR oppone un rifiuto netto, dichiarando in primo luogo di avere già provveduto, nell'ottobre 1949, all'istituzione di pensioni per le vittime ebraiche del nazismo - anche se, in base ai propri princìpi ideologici, le considera di "secondo ordine", perché solo "passive" e non "attive" oppositrici del nazismo - che ancora vivono in Germania Orientale. In secondo luogo sostiene di essere uno stato antifascista e, in quanto tale, di avere distrutto i presupposti dell'antisemitismo in cui gli ideologi comunisti non vedevano un elemento costitutivo in sé del nazifascismo perché per loro era il risultato di determinate strutture economiche, di quel capitalismo che inevitabilmente sfociava nell'imperialismo. La DDR, quindi, non si vede come l'erede della Germania nazista e trasferisce il suo antifascismo postulato a priori a tutti i suoi cittadini, scrollandosi di dosso la responsabilità nei confronti degli ebrei.
Nel 1952, però, la Repubblica Federale Tedesca firma gli accordi di Lussemburgo, con cui accetta di pagare risarcimenti collettivi allo Stato di Israele e questo fatto, di riflesso, complica la situazione della DDR. I pagamenti occidentali avrebbero facilitato la sopravvivenza di Israele - la cui situazione economica ai tempi era disastrosa - ribadendo il suo diritto all'esistenza (e alla rappresentanza degli ebrei) che il mondo arabo gli negava. La DDR reagisce sostenendo che quei soldi, in realtà, servono solo a finanziare l'imperialismo dei capitalisti israeliani, in combutta con la Germania Occidentale. Anche l'URSS è ostile alla concessione di riparazioni collettive da parte della DDR perché questo significa ammettere la divisione definitiva della Germania in due stati, contraria alla posizione sovietica in vigore fino al 1955.
In questo modo si sviluppa l'attrito tra la DDR e Israele. La prima non riconosce il secondo e il secondo subordina il riconoscimento della prima al pagamento di risarcimenti collettivi e all'assunzione di responsabilità in quanto stato successore della Germania nazista. Negli anni cinquanta la situazione non fa che peggiorare: se all'inizio l'URSS aveva votato a favore della risoluzione ONU del 1947 sulla creazione di due stati - uno arabo e uno ebraico - in Palestina, nella speranza di sostituire il proprio influsso alla presenza della potenza mandataria britannica, ora la sua posizione si fa sempre più filoaraba e, di conseguenza, anti-israeliana e antisionista. Nei paesi del blocco socialista gli anni Cinquanta, poi, sono segnati dalle epurazioni dei politici sgraditi al regime, il primo dei quali è Slansky in Cecoslovacchia. Tra di loro numerosi sono gli ebrei, sospettati di infedeltà e di "internazionalismo". Molti di loro riescono a fuggire in Occidente. A questo punto la DDR ufficializza il suo antisionismo e, in sua corrispondenza, si avvicina sempre di più alle posizioni degli stati arabi, nella speranza di ottenere il riconoscimento ufficiale che ancora le manca e che le è stato negato fino a quel momento in base alla "dottrina Hallstein", con cui la Repubblica Federale Tedesca dichiarava la rottura di rapporti diplomatici e commerciali con quegli stati che avessero legittimato l'esistenza della DDR.
Con il suo filoarabismo la DDR chiude più di un occhio non soltanto davanti al carattere antidemocratico e repressivo di quegli stati, ma anche davanti al loro carattere profondamente antisemita, spesso in odore di nazismo. E negli anni Sessanta la situazione non fa che degenerare. Da un lato in Israele si tiene il processo contro Eichmann, che la DDR sfrutta per ribadire il proprio antifascismo istitutivo e, soprattutto, per montare una campagna battente contro il "fascismo" della Repubblica Federale, fornendo per esempio documenti per incriminare personalità tedesco-occidentali che avevano collaborato col regime nazista senza essere poi adeguatamente rimosse. In occasione della visita di Walter Ulbricht in Egitto, questo arriva a condannare Israele negandone il diritto all'esistenza in quanto "fantoccio dell'imperialismo": è la prima volta che la DDR fa una concessione così netta all'atteggiamento di rifiuto estremo, proprio di Nasser e degli altri stati arabi (in compenso, nota Lorenzini, "nessuna attenzione venne riservata da Ulbricht al fatto che le forze armate egiziane e siriane fossero addestrate da ex ufficiali nazisti e che i lavoratori egiziani fossero oppressi e vessati").
La Guerra dei Sei Giorni nel 1967 pone il suggello definitivo alla scelta di campo, da parte delle cosiddette democrazie popolari, a favore dei paesi arabi e contro Israele, di cui vengono ignorate tutte le ragioni. La stampa della DDR si lancia in una virulenta campagna propagandistica contro lo stato di Israele e diventa, tra tutti gli stati socialisti, quello più vicino alla causa araba, "capace di spingere l'Unione Sovietica alla condanna radicale dell'azione israeliana". La distinzione tra "antisionismo" e "antisemitismo" si fa quindi sempre più improbabile e pretestuosa. Va detto che, però, la realtà all'interno della DDR è più sfumata: il ministero degli esteri, per esempio, è molto meno drastico nella sua condanna e non sottoscrive le parole di Ulbricht. Così come, nella popolazione tedesco-orientale, la simpatia per Israele è molto maggiore. In una nota Lorenzini cita il caso di una riunione sindacale a Zwickau, in cui su settanta impiegati ben sessantasette si rifiutano di firmare una dichiarazione di condanna di Israele, spiegando: "Se Nasser ha detto che vuole buttare a mare tutti gli ebrei, allora la sua politica è rivolta contro il popolo. Per questo bisogna rifiutare una protesta contro Israele".
Malgrado la posizione ufficiale la DDR mantiene un canale aperto con Israele attraverso il Partito Comunista Israeliano, che guarda con simpatia alla causa tedesco-orientale. E grazie a questo canale, nei primi anni sessanta, s'intensificano i contatti e avviene qualche scambio commerciale, benché coperto dall'anonimato assoluto. Quando a metà degli anni Sessanta, in occasione del rinnovo della Knesset, il Partito Comunista Israeliano si spezza in due tronconi - il Maki di Shmuel Mikunis e il Rakah di Meir Vilner -, i comunisti tedesco-orientali finiscono per dare l'"esclusiva" al secondo, che dopo la Guerra dei Sei Giorni non esprime alcun giudizio sull'atteggiamento arabo e si limita a condannare l'aggressività di Israele, mentre il primo critica le posizioni moscovite e difende il diritto di Israele alla difesa. Negli anni Settanta la DDR intensifica le proprie relazioni con l'OLP, impegnandosi con vigore per dare credito alla sua "lotta antimperialista": "La Repubblica Democratica discolpava i palestinesi da qualsiasi atto terroristico di cui - anche fondatamente - venivano accusati. [...] Nel corso degli anni seguenti la Repubblica Democratica dichiarò e manifestò spesso la propria solidarietà al popolo palestinese, senza dimenticare di condannare ogni volta il sionismo". Persino in occasione della strage degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 1972, la DDR attribuì inizialmente la colpa a dei "teppisti tedesco-occidentali". Nel 1988 la DDR riconosce lo stato palestinese, prima ancora che l'Unione Sovietica compia una mossa analoga.
Come si è detto, bisogna arrivare solo al 1990 perché la DDR riconosca le colpe del popolo tedesco e all'inizio di marzo, il governo di Hans Modrow dichiara la propria disponibilità al pagamento di riparazioni, individuali e collettive, alle vittime ebree del nazionalsocialismo. Posizione che verrà confermata dal governo di Lothar de Maizière, uscito dalle prime (e ultime) elezioni libere della DDR, e il 12 aprile 1990 la Volkskammer dichiara: "Chiediamo perdono a tutti gli ebrei nel mondo. Chiediamo perdono al popolo di Israele per l'ipocrisia e la cattiveria della politica ufficiale della RDT verso lo stato di Israele e per le persecuzioni e la denigrazione dei concittadini ebrei nel nostro paese anche dopo il 1945 [...] Dichiariamo di volerci impegnare per lo stabilimento di relazioni diplomatiche e di contatti a vari livelil con lo stato di Israele". All'epoca non manca qualcuno che sostiene che questa sia una posizione di comodo, assunta nella speranza che la normalizzazione dei rapporti con Israele possa garantire la sopravvivenza della DDR.
Il saggio di Sara Lorenzini è di fondamentale importanza per chi si interessa di questioni legate alla Germania, alla sua storia nel secolo scorso e alla divisione in due stati, per chi si occupa, a vario titolo, della DDR e per chi oggi segue le vicissitudini dello stato di Israele e l'ostracismo che ancora lo colpisce. L'excursus storico di Lorenzini mostra con evidenza come certi argomenti, addotti ancora oggi per colpevolizzare Israele, gettino le loro radici negli anni della guerra fredda e della divisione in blocchi, nell'ideologia comunista così come era recepita e applicata dall'Unione Sovietica. Il libro è fuori catalogo, ma si può ordinare direttamente all'editore.
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