Alla fine degli anni sessanta la lotta armata in Germania comincia con un attentato antisemita. A darvi l'avvio non è pero la famigerata RAF - Rote Armee Fraktion -, bensì un gruppo meno noto, i Tupamaros West-Berlin, il cui guru è Dieter Kunzelmann e il cui obiettivo è portare la guerriglia urbana anche in Germania e a Berlino Ovest, città che per sua natura vi si presta in maniera particolare. L'episodio in questione è la deposizione di una bomba nel centro culturale ebraico di Fasanenstrasse a Berlino, il 9 novembre 1969. Una bomba che, fortunatamente, non esplode. La data non è casuale, perché il 9 novembre è anche la data in cui, nel 1938, in pieno regime nazista, viene dato fuoco alle sinagoghe tedesche e quel giorno del 1969, nel centro ebraico di Fasanenstrasse, si tiene una commemorazione di quell'evento di trentun anni prima. E' da qui che prende le mosse il saggio di Wolfgang Kraushaar, Die Bombe im juedischen Gemeindehaus, che tenta non soltanto di risolvere l'enigma di chi ha effettivamente posato quell'ordigno, ma ricostruisce l'humus sociale e politico in cui quell'azione terroristica s'inserisce, con il suo intrico di collettivi, "comuni", gruppuscoli extraparlamentari più o meno violenti e attività subculturali.
Ma perché scegliere quell'obiettivo, in quella data, in un paese che ancora sta facendo i conti con la shoah? E com'è possibile che stavolta l'antisemitismo spunti tra coloro che hanno militato nella sinistra extraparlamentare o nelle subculture alternative? Che cosa è successo? E' successo che, nell'immaginario di costoro, Israele, uscita vittoriosa nel 1967 dalla Guerra dei Sei giorni, sostituisce gli Usa come "nemico imperialista", mentre la Palestina diventa il nuovo Vietnam, per l'Europa e per la Germania. Poco prima della deposizione della bomba, per esempio, circola un volantino intitolato Shalom + Napalm, in cui si stabilisce questa equivalenza. Inoltre, nei mesi antecedenti l'operazione, il gruppo che ruota intorno a Kunzelmann - e che comprende Lena Conradt, Albert Fichter, Georg von Rauch, Ina Siepmann - compie un viaggio in Giordania, dove entra in contatto con gli uomini e i campi di addestramento di Al-Fatah. Non può essere del tutto un caso - sottolinea Kraushaar, riferendosi anche alle annotazioni sul diario di Kunzelmann -, se poco dopo viene deposto l'ordigno. Con il pretesto di protestare in maniera radicale contro il sionismo, insomma, l'attacco è sferrato anche agli ebrei tedeschi, riattivando un antisemitismo mai sopito: per usare un paragone di Jean Améry, l'antisemitismo è contenuto nell'antisionismo come "il temporale dentro la nuvola". Si tratta di quello che Theodor W. Adorno avrebbe definito "Schuldabwehrantisemitismus" - l'antisemitismo di difesa dalla colpa -, in cui il ruolo di vittima e carnefice è ribaltato e la colpa viene attribuita non solo a chi è innocente, ma a chi è vittima dell'attacco.
Kraushaar dà conto delle indagini e delle false piste e, allo stesso tempo, traccia un profilo dei personaggi coinvolti e del microcosmo frastagliato di associazioni e movimenti - più o meno estremistici - che si agitano in quell'epoca. Facendo un passo indietro nel tempo descrive i prodromi della degenerazione nella lotta armata, così come accenna alle successive operazioni terroristiche organizzate e perpetrate, spesso sotto l'effetto di droghe, dai Tupamaros (il cui nome, ricorda, è mutuato dai guerriglieri urbani attivi in Uruguay): la deposizione di una bomba al ballo annuale dei giudici - anch'essi tra i bersagli preferiti -, il tentativo di far saltare per aria la sede dell'El Al nell'Europa-Center di Berlino e un ordigno (che però provoca solo danni alle cose) al KaDeWe sotto Natale, per "aprire gli occhi" alla gente vittima del "terrore del consumismo". Un capitolo, poi, è dedicato alla campagna contro il primo ambasciatore di Israele in Germania, Asher Ben-Natan, a cui in quasi tutte le apparizioni pubbliche nelle università tedesche viene impedito di parlare ed esporre la posizione del suo paese: è evidente che i contestatori cercano lo scontro e non il confronto.
Nel corso della lettura del saggio di Kraushaar, poi, si profila e si precisa sempre di più il carattere di Dieter Kunzelmann, che ne esce come un personaggio spregevole anche dal punto di vista umano. Senza mai esporsi in prima persona, usa il suo ascendente per manipolare coloro che gli stanno attorno e spingerli a collaborare nelle operazioni di terrore da lui organizzate, sfruttando le loro debolezze psicologiche (come nel caso di Annekatrin Bruhn) o mettendo l'uno contro l'altro i fratelli Fichter, Albert e Tillmann. Non pago, in anni recenti Kunzelmann ha scritto un'autobiografia, ampiamente autoassolutoria, e si è costruito un'immagine pubblica accattivante, partecipando persino a famosi talk-show televisivi.
Wolfgang Kraushaar, però, segue gli strascichi di quella vicenda fino ai giorni nostri e nel 2004 contatta alcuni dei protagonisti, i quali raccontano in prima persona la loro versione dei fatti. La testimonianza più lunga e più interessante è quella di Albert Fichter che rivela di essere colui che, materialmente, ha deposto la bomba al centro culturale di Fasanenstrasse, anche se su istigazione di Dieter Kunzelmann. Segnalato - anche se per altri motivi - come terrorista e ricercato in tutta la Germania, fugge all'estero, prima in Sudamerica e poi in Svezia, fino a quando parecchi anni dopo ha l'autorizzazione a rientrare in Germania. Tutto questo è contenuto nel suo racconto, comprese le giustificazioni che a suo tempo aveva dato a sé stesso per convincersi che secondo lui l'ordigno era innocuo e non avrebbe potuto fare danni e comprese le scuse rivolte, a distanza di tre decenni, alla comunità ebraica berlinese.
Un libro estremamente denso, questo di Kraushaar, che contiene una messe di informazioni molto più vasta di quella a cui ho accennato finora. Un libro, oltretutto, che si legge quasi come un giallo - anche se a dire così sembra quasi volerlo banalizzare -, malgrado un inizio difficoltoso e una prosa, a tratti, molto tedesca, ricca di costruzioni nominali e di frasi "inscatolate" l'una dentro l'altra. E' un vero peccato che - come gli altri di Kraushaar, storico e sociologo specializzato nel terrorismo e nei movimenti di contestazione degli anni sessanta e settanta - non sia ancora stato tradotto e pubblicato in italiano. C'è qualche casa editrice in linea disposta a farsi avanti?
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