Congedo dai genitori - Abschied von den Eltern - del tedesco Peter Weiss è un gioiello, piccolo e compatto, sulla maturazione dell'autore stesso e sul suo progressivo distacco dalle costrizioni della vita familiare verso il raggiungimento di un'autonomia personale come uomo e come artista. Il libro, pubblicato nel 1961, quando Weiss aveva quarantacinque anni, trae spunto dalla morte del padre, avvenuta a Gent un paio d'anni prima, e di poco successiva a quella della madre. Il decesso di entrambi i genitori segna così la chiusura definitiva di un capitolo della sua vita e, con le formalità che l'evento gli impone di sbrigare, lo spinge a rivedere tutto il proprio passato, cercando il filo rosso che l'ha attraversato, in un'oscillazione continua "tra ribellione e sottomissione", fino a farlo diventare ciò che è diventato.
Il testo di Peter Weiss è interessante anche e soprattutto dal punto di vista formale. Il linguaggio è cristallino, minuzioso e preciso nelle descrizioni e anche nel trattare le situazioni più difficili o più scabrose - come, per esempio, le prime esperienze erotiche di natura incestuosa con la sorella Margrit o gli approcci sessuali di Max B., di vent'anni più grande di lui, con cui condividerà l'appartamento a Praga - non scivola mai nel pruriginoso per titillare la curiosità o la morbosità del lettore o nel patetico. Non è reticente, non indietreggia davanti a nulla, ma quel che racconta è privo di qualsiasi compiacimento. Mi verrebbe da dire che c'è qualcosa di francese in un linguaggio di questo tipo. Inoltre tutto il testo è organizzato in un unico blocco: è un paragrafo che comincia alla prima pagina e si chiude solo alla fine, senza nessuna interruzione in capoversi, quasi a sottolineare che una volta che la memoria e il meccanismo di scavo interiore sono azionati devono per forza arrivare alla loro naturale conclusione, trascinando con sé ricordi e riflessioni in un andirivieni tra presente e passato e mantenendo viva l'attenzione di chi legge.
La biografia di Peter Weiss ha dei tratti che per alcuni versi potremmo definire tipici. La famiglia è una buona famiglia borghese, il padre è un industriale - ed è ebreo, dettaglio non trascurabile per il successivo svolgersi degli eventi -, ed è una vita molto regolamentata quella che ci si aspetta dal giovane Peter, tormentato invece da un senso ineluttabile di inadeguatezza e di "inappartenenza" - Unzugehörigkeit, in tedesco, è infatti uno dei termini più ricorrenti in queste pagine - che cerca di esprimere attraverso la pittura prima e la scrittura poi. In un certo senso Peter Weiss è vittima dell'eterno conflitto tra la personalità pragmatica, rappresentata dal padre, e quella artistica, che invece corrisponde più alle sue intime esigenze. Per dare un esempio dell'asciutta precisione con cui l'autore descrive questo fenomeno, ecco le sue parole: "Anch'io ero considerato una parte di quella totalità rappresentativa. Il quadro della totalità era determinato una volta per tutte. Il pezzo che io ero in quella casa era stato ripulito e riparato, la sporcizia che continuava a posarsi su di me veniva eliminata in continuazione. Non ci si chiedeva mai da dove venisse quell'imbarazzante sudiciume che sgocciolava fuori da me, ci si limitava a strofinarmi, spazzolarmi e lucidarmi, instancabilmente, affinché non si vedesse la macchia della vergogna". Eppure il disagio che segna tutta la sua adolescenza e la sua prima giovinezza non è sufficiente a indurlo alla ribellione definitiva e all'affermazione della propria individualità, tanto che a più riprese, come una bestia da soma, viene condotto dal padre a lavorare in fabbrica come apprendista. La vita, insomma, è una cosa seria e un mestiere (un vero mestiere) lo deve pur imparare.
Ci sono però una serie di eventi che, a poco a poco, provocano dei piccoli smottamenti nell'esistenza della famiglia e, quindi, dello stesso Peter Weiss. Innanziutto la morte della sorella Margrit, con cui hanno inizio sia il declino dell'unità familiare che "i miei tentativi di liberarmi dal mio passato". E poi la lenta ascesa del nazismo e le prime persecuzioni degli ebrei: in quel momento il giovane Peter si rende pienamente conto di che cosa significhi essere figlio di un padre ebreo, conosce la violenza sotterranea che solca la società, e questo non fa che aumentare il suo senso di estraneità, falliti i tentativi di fingere di essere forte pur appartenendo alla schiera dei deboli. A questo punto decide di "fare dell'inappartenenza la sorgente di una nuova indipendenza". Quando la situazione diventa insostenibile, non gli resta che emigrare, prima in Cecoslovacchia - dove a Praga studierà per un anno all'Accademia di Belle Arti - e poi in Svezia - dove il padre riavvierà la sua attività costruendo una nuova fabbrica tessile. Un'emigrazione descritta da lui stesso in questi termini: "Per me l'emigrazione fu soltanto la conferma di un'inappartenenza che avevo conosciuto sin dalla più tenera infanzia".
All'arrivo in Svezia Weiss scopre che la madre ha distrutto tutti i suoi dipinti: "Con le sue stesse mani aveva annientato il mondo figurativo dei miei anni giovanili: le danze macabre, le fini del mondo e i paesaggi da sogno. Con questo annientamento si era liberata dalla minaccia che questi quadri avevano esercitato sull'atmosfera ordinata di casa sua". E' l'atto estremo - e più concreto non potrebbe essere - di quell'insanabile opposizione tra i due mondi di cui s'è detto prima. All'autore non resta altro che entrare nella fabbrica paterna, dove si sentirà un corpo estraneo, martoriato da "un'ottusa insoddisfazione e da vaghi sogni". Non resterà a lungo così, perché a poco poco sgorga un grido di definitiva ribellione, suscitato da un sogno in cui incontra un suo alter ego che gli indica la via da percorrere. "Ero in cammino, in cerca di una vita autonoma" - Ich war auf dem Weg, auf der Suche nach einem eigenen Leben. Con queste parole si chiude l'autobiografia di Peter Weiss: il congedo dai genitori (e da tutto ciò che rappresentano) e il viaggio verso l'autonomia individuale (che è anche il suo percorso artistico) hanno inizio. La ribellione ha avuto la meglio sulla sottomissione.