A volte alcune cose accadono così in fretta e in modo così inaspettato da lasciarti con un senso d'irrealtà. Sta succedendo davvero o me lo sto sognando? Immagino come si senta, quindi, chi ne è direttamente coinvolto in prima persona, se già io, che vi assisto e basta, mi sento così. Ci pensavo ieri sera, mentre salutavo un amico - e per ora non voglio menzionarlo, per una questione di riservatezza - che a giorni partirà per stabilirsi all'estero, dove ha ricevuto un'interessante proposta di lavoro. E' avvenuto tutto molto rapidamente e nel giro di una settimana ha dovuto scegliere, fare i bagagli, smantellare la casa e salutare noi che restiamo qui a Milano. Alla fermata del tram ho avuto l'impressione che un capitolo si chiudesse. Per lui, ma anche per me. Davanti al mio sguardo interiore sono sfilate tutte le immagini delle cose che abbiamo fatto e visto e vissuto insieme in questi anni. Cose che si sono sedimentate e su cui non indugiavo molto spesso, ma che ieri sono emerse di nuovo tutte in superficie. Mentre siamo occupati a vivere, c'è tutta una quantità di vita vissuta che, nel tempo, si è addensata fino a costituire quella che chiamiamo la nostra identità e la nostra storia. Così ho provato una punta di malinconia: lo guardavo, rivedevo quel passato e mi sentivo un po' così, malinconico. Questa malinconia, però, era mista a felicità. Felicità per lui, perché finalmente ha ottenuto qualcosa di sostanzioso, perché se lo merita, dopo tanti sforzi, tanti tentativi che non andati a buon fine, tanto impegno e tanto studio. Da tempo continuavo a dirgli che le cose non sarebbero potute andare sempre storte e prima o poi sarebbe capitata l'occasione giusta: ho indovinato, senza nemmeno dover far ricorso a chissà quali doti profetiche. A questa malinconia e a questa felicità si è aggiunto però anche un inatteso moto d'orgoglio. Certo, non ho alcun merito per il suo successo, ma mi sono accorto di provare quella specie di orgoglio che un padre o un fratello maggiore maggiore proverebbe a vedere che il figlio o il fratello minore si sta affermando nel mondo grazie alle sue capacità, dopo avere assistito al loro dispiegarsi. Reazione assurda? E' probabile, se consideriamo che io sono la persona più aliena a questo genere di umori famigliari, eppure non trovo altro termine di paragone. Forse dipende anche dal fatto che ho proiettato su di lui quello che io non sono riuscito a fare e che lui, invece, ha fatto, con più perseveranza e intelligenza. E così, mentre lui prendeva il tram e io me ne tornavo a casa in bicicletta, ieri sera - ormai quasi a mezzanotte - ho pensato sì a un capitolo che si chiude, ma anche all'altro che si apre per lui, su una nuova carriera e su una nuova vita, e dentro di me, con tutto il cuore - mi si passi l'espressione vagamente da macelleria o da sala operatoria -, gli ho augurato che sia solo l'inizio di uno splendido futuro.
Romanticone :)
e vedendoli partire, come direbbe la mamma di un mio amico: "no i te li tien più!"
Posted by: Yoshi | 27/09/2012 at 18:53
E' una reazione ricca, complessa, e umana. Malinconia, felicità per lui, orgoglio per te e per voi due. Una reazione equilibrata e complessivamente di taglio positivo. Ma certo c'è anche una perdita: è un dato di realtà. Se uno tiene a una persona, non può non sentirla, né è il caso di anestetizzarsi per non sentirla.
Posted by: Aldo Brancacci | 29/09/2012 at 20:46
A volte, con masochismo di rara portata, ci si ferma a contemplare lo sfiancante catalogo dei sentieri non percorsi e occasioni sfuggite.
Si finisce per dare la colpa dei non-mutamenti a fantomatici legami familiar-affettivi; in realtà è solo il nuovo che spaventa, l'inerzia al cambiamento sedimentata nel profondo di ciascuno di noi che ci frena. La si manda sotto il tappeto -come ogni casalinga stremata dalla routine fa con la polvere- ma alla fine lì si accumula per diventare di colpo evidente con tutto il suo carico di amara frustrazione.
Si può gioire finchè si vuole per chi riesce a scrollarsela di dosso per imboccare la strada di una vita nuova, ma alla fin fine a prendere il sopravvento è sempre il rammarico di aver sprecato le proprie cartucce (soprattutto l'epifania di averne avute).
Cinismo? Egoismo? Forse solo uno schizofrenico -e vano- desiderio di liberarsi da una parte di sè.
E dire che di battaglie, nella vita di ogni giorno, se ne ingaggiano tante. Spesso occupano una vita intera. Pur senza -ma spesso lo si scopre troppo tardi- darle un senso..
Vabbè. Se considerare gli amici che ce la fanno alla stregua di figli può in qualche modo spostare la nostra attenzione e farci sentire meno colpevoli, ben venga. Secondo me è solo un modo di surrogare ad una paternità per natura negataci e in definitiva arrogarsi meriti che non ci appartengono.
Quisque faber suae fortunae... Sì, umor nero permettendo.
Posted by: Davide | 06/10/2012 at 23:47
È una sensazione differente, o forse è la lettura che ho voluto/saputo darne. Ogni cosa che parte da dentro, sezionata dall'occhio interiore, è di per sé egoista. Ma non il tuo caso. Mi è successo parecchie volte di dover salutare qualcuno che va via per lavoro o via dal mondo per sempre. E sempre ho ripercorso le esperienze passate insieme, che non torneranno. Infatti non sono tornate. Un gesto sterile.
Posted by: rex | 15/10/2012 at 00:45