All'interno del Festival Mix sono stati anche riproposti alcuni vecchi film a tematica omosessuale. L'altroieri è stato proiettato Cruising, un film ormai classico di William Friedkin che risale al 1980. In teoria era nella sezione Uncut, dedicata alle versioni non censurate, ma la pellicola mostrata non comprendeva i quaranta minuti tagliati su richiesta dei produttori quando uscì nelle sale cinematografiche e che, secondo chi l'ha presentata allo Strehler, sarebbero ancora nel "cassetto" del regista. Poco importa, perché Cruising è un film di cui avevo sentito spesso parlare e che da tempo volevo vedere, per via dello strascico di polemiche suscitate all'epoca della sua distribuzione.
Il merito principale del film risiede, più che nella trama francamente poco probabile e un po' zoppicante, soprattutto nell'affresco che fa di un'epoca e di una città: la New York degli anni settanta, con la subcultura gay che la contraddistingueva - anzi, la subcultura di una subcultura, perché qui abbiamo a che fare in particolar modo con il mondo leather e delle pratiche sado-masochistiche. La storia, dunque: New York è insanguinata da una serie di omicidi - anzi, di omocidi, come si direbbe oggi con un neologismo - commessi da un assassino che rimorchia le sue vittime in sordidi locali, discoteche e bar dell'universo leather omosessuale e poi le accoltella durante (o dopo) il rapporto sessuale. La polizia incarica il suo agente Steve Burns, interpretato da Al Pacino, di infiltrarsi in quel mondo, frequentarne i locali, condividerne le pratiche e indagare in cerca del colpevole. Nel frattempo, però, anche in Steve avviene qualche cambiamento e il suo rapporto con la fidanzata si deteriora sempre di più. A poco a poco il cerchio intorno ai sospetti si stringe, finché il presunto colpevole, Stuart (Richard Cox), non viene rintracciato, pedinato e rimorchiato in un parco da Steve, che gli sferra una coltellata e quindi lo fa arrestare.
Il finale è aperto e ambiguo: malgrado l'omicida (o presunto tale) sia stato affidato alla giustizia, gli assassini continuano e la nuova vittima, trovata in un lago di sangue, è proprio il ragazzo che abitava nell'appartamento accanto a quello occupato da Steve quando era in incognito. Nella scena conclusiva vediamo il volto di Steve, tra l'impassibile e il sofferente, riflesso nello specchio del bagno, mentre comunica alla fidanzata di essere tornato a vivere con lei. Il suo sguardo, però, è imperscrutabile e lo spettatore avverte che dentro di lui qualcosa è cambiato. L'accostamento di questa scena a quella del ritrovamento dell'ennesimo cadavere lascia presagire - senza però dichiararlo esplicitamente - che potrebbe essere lui il "nuovo" omicida.
Quando uscì nei cinema, Cruising fu contestato da molti attivisti gay e accusato di omofobia. Non credo che dipenda dalla rappresentazione, a tratti assai cupa, degli ambienti leather (che a me, a dire il vero, non pare poi così lontana dalla realtà e che certamente non lo era negli anni settanta a New York, in epoca pre-Aids: basti leggere certi romanzi dell'epoca ambientati negli stessi ambienti, come Faggots di Larry Kramer o Dancer from the Dance di Andrew Holleran), ma dall'idea del contagio che il film in qualche modo diffonde. A forza di frequentare ambienti gay - insinua in sostanza il film -, anche Steve si omosessualizza e la sua vita comincia a sfaldarsi. A questa omosessualizzazione si aggiunge poi un elemento di disprezzo di sé: è come se Steve, constatando questa "possibilità di contagio", reagisse in modo sempre più violento, buttando fuori di sé il disprezzo. Lo vediamo, per esempio, nella scena in cui aggredisce l'amico del vicino di casa, trattenendosi a fatica, ed è per questo che alla fine siamo tentati di credere che potrebbe essere lui il nuovo omicida. Allo stesso modo è per omofobia interiorizzata - e rappresentata dal fantasma del padre morto a cui continua a scrivere lettere che non spedisce - che Stuart diventa una sorta di giustiziere che punisce i gay. Forse non era questa la tesi che il regista voleva sostenere, ma capisco che allora possa avere provocato qualche fastidio e che possa essere stato frainteso. Sta di fatto che oggi il film è estremamente godibile anche e soprattutto come documento, tetro e angosciante, di un'epoca che non c'è più, oltre che per la rappresentazione di una New York sporca, decadente e fatiscente, prima della "cura Giuliani" (quella stessa New York, tanto per intenderci, che ci ha raccontato con tanto brio Edmund White nella sua autobiografia City Boy).