Dopo avere amabilmente chiacchierato di questioni psicologiche, di esperienze con vari generi di terapie e di diverse teorie al riguardo, lui mi dice che, comunque, se avesse una bacchetta magica, si trasformerebbe subito, e senza pensarci due volte, in eterosessuale. Aveva già tentato una difesa delle cosiddette "teorie riparative" di Nicolosi, sostenendo tra l'altro che in realtà sono fraintese perché lo stesso psicologo americano non ritiene che siano adatte a tutti e che non possano essere applicate coercitivamente, e aggiunge: leggi, leggi, vedrai che le sue interpretazioni sono corrette e che l' "eziologia" dell'omosessualità - ma lui non usa questo termine, che uso io per semplificare - è azzeccata. "Io - aggiunge - le ho provate, perché mi ero innamorato di una donna e, per quella donna, ero disposto a farlo." Ma non è affatto stupido (tutt'altro, ed è questo il problema, perché anche le sciocchezze si affinano e diventano più taglienti in bocca alle persone intelligenti) e precisa: "Ma so benissimo che questa parte, omosessuale, di me non si sarebbe annullata ma avrebbe dovuto coesistere con l'altra". Inutili i miei tentativi di controbattere, che lui liquida con un "sì, sì, ho capito, l'omofobia interiorizzata", come a dire "la solita vecchia solfa". Certo, è vero che ci sono movimentisti che hanno costruito intere carriere (le loro) sulla difesa dell'identità omosessuale, è vero che la sessualità è un continuum e che certe concezioni meccaniche e rigide della sessualità fanno sorridere per la loro ingenuità, è vero che come accettiamo che alcuni eterosessuali di punto in bianco possano scoprirsi gay e avere storie con persone del proprio sesso - con il plauso dei movimentisti stessi - è possibile che avvenga anche il contrario... Ma, tornando alla "bacchetta magica" - o alla pillola miracolosa -, io lo guardo un po' spiazzato. No, gli dico, io no. Se avessi una bacchetta magica non la userei per trasformarmi in eterosessuale: non credo che diventerei per questo sostanzialmente più felice o anche solo più sereno. Oltretutto, mi verrebbe da aggiungere, la mia omosessualità è stata ed è anche fonte di molte gioie, oltre che di oggettive difficoltà, non imputabili necessariamente a me stesso o al mio status sessuale in quanto tale. Non gli dico che un'affermazione come la sua è in grado di azzerare qualsiasi ipotesi di relazione affettiva, perché alla base di questa ci dev'essere almeno la convinzione (o la speranza) che sia positiva in sé e non un contentino per due "storpi" che si puntellano a vicenda. Insomma, se uno sta con me, vorrei che lo facesse perché io sono io, senza che io debba pensare che se però fossi una donna sarebbe meglio: una prospettiva avvilente. Se avessi la bacchetta magica di cui parla lui, magari sceglierei di diventare miliardario, ma certamente vorrei restare quel che sono. Magari chiederei di trovare la capacità di stabilire relazioni affettive degne di questo nome oppure cambierei certi tratti del mio carattere che non amo troppo, un'eccessiva tendenza al pessimismo, una certa sfiducia nei confronti di me e del mondo, l'incapacità di aggredire la realtà e piegarla a mio vantaggio. Ma soprattutto, diversamente da quanto mi racconta lui, non mi sono mai posto il problema dell'essenza virile di noi uomini, né mai e poi mai ho avvertito una diminuzione in questa mascolinità per il fatto di essere omosessuale, tanto da dover recuperare questo deficit maschile in qualche altro modo - per esempio, con le amicizie virili con uomini eterosessuali o con il cameratismo degli sport di squadra -, come invece ha fatto e fa lui. Una volta che ci si impossessa di questa parte mancante di sé - la mitica virilità, come se fosse stata in qualche modo amputata durante la propria storia -, ecco che la frenesia sessuale, le ossessioni e le turbe del gay medio scomparirebbero all'istante, o almeno è quel che crede lui. Quando se ne va e ripenso alla nostra lunga chiacchierata provo un forte senso di sconforto, come se avessi assorbito una quantità eccessiva di energie negative: mi lascio sempre coinvolgere troppo.