Una cosa che, per esempio, distingue l'omosessuale medio dall'eterosessuale medio - entrambi, cioè, spogliati da qualsiasi orpello che differenzi individuo da individuo - è che il secondo non si preoccupa mai, né saprebbe porsi il problema, dell'effetto che fa in quanto eterosessuale, cioè in quanto appartenente a una categoria. L'omosessuale, invece, lo fa sempre e se anche non lo fa esplicitamente (o cerca di non farlo esplicitamente, saltando al di là della propria ombra per ribadire il concetto, corretto in astratto, che ognuno di noi è un individuo a sé stante in cui si amalgamano diverse caratteristiche che rendono inutile una qualsiasi etichetta) di fatto ha sempre l'atteggiamento guardingo di chi non soltanto vive, ma ha ben presente l'immagine rispecchiata di sé nell'altro. E' normale che sia così: da un lato è un meccanismo molto pragmatico di difesa (bisogna capire cioè in quali situazioni determinati atteggiamenti potrebbero suscitare in risposta, nell'ambiente circostante, la violenza), e dall'altro è una sorta di abitudine tramandata nel subconscio collettivo gay, se mi è concesso ipotizzare questo concetto. Un comportamento di qualcuno che è omosessuale rischia di essere interpretato come rappresentativo di tutto un gruppo, anche quando non lo è affatto, e l'individuo in questione - che lo voglia o no - ne avverte il peso (anche quando non dichiara di essere omosessuale e vive - come si usa dire - la sua condizione sessuale nell'ambito della sfera privata e basta, come se poi una roba del genere non dovesse avere ricadute sulla dimensione pubblica del proprio io!). Da qui tutte le discussioni, spesso animate o tormentate, che con una certa frequenza nascono tra i gay per primi su che cosa sia giusto o sbagliato fare per trasmettere (o no) una certa immagine al resto del mondo - e di questa discussione fa parte anche l'ipotesi dell'indifferenza, quando qualcuno dice che a lui "non importa quello che pensano gli etero di noi". Oggi, per esempio, sembra dominante e vincente, nell'autoproiezione di gruppo rivolta all'esterno (cioè ai non-omosessuali), l'immagine del "gay matrimoniale" e quella che io chiamerei, con uno pseudoanglismo, la cutification - la "carinizzazione" - dell'omosessuale. Dopo l'omosessuale maledetto e reietto, l'omosessuale familiare. In un modo o nell'altro, ancora il diritto all'indifferenza, ma non nel silenzio, non è stato raggiunto. E' comprensibile che sia così: non si diventa mancini in pochi decenni dopo secoli di oppressione. Se però c'è una cosa che invidio agli eterosessuali è proprio questa, il disinteresse nei confronti dell'effetto che fanno in quanto eterosessuali.
Me lo ricordo quando hai scritto - mi sa qualche anno fa, ormai - che aspetti il giorno in cui l'omosessualità sarà considerata alla stregua del mancinismo. Che lo vedremo o no, quel giorno, grazie per queste tue riflessioni.
Un abbraccio, se posso.
Biljana
Posted by: Biljana | 08/03/2012 at 10:31
Cristallino e rigoroso, come sempre.
Cadavrexquis fa bene al pensiero.
Posted by: Hans | 11/03/2012 at 11:55
Un buon antidoto a questa sensazione è essere talmente preoccupato dell'effetto che si fa quando ad esempio nel luogo di lavoro si prende la parola, ci si pronuncia su questo o quello, si dice una cosa impegnativa, proprio in quanto sei tu, Tizio o Caio o Sempronio, e tu che dici quella precisa cosa, che passa in second'ordine l'altro problema...
Posted by: Aldo Brancacci | 11/03/2012 at 21:10
gli omosessuali non dovrebbero crearsi problemi perchè il problema è degli etero...speriamo che arrivi il giorno in cui si capisca davvero che siamo tutti uguali
Posted by: roulette online | 12/03/2012 at 09:21
vorrei ripeter gli aggettivi "Cristallino e rigoroso".
aggiungo che qui la tua analisi è all'altezza di quelle del sociologo amerivcano erving goffman, soprattutto RELAZIONI IN PUBBLICO E FRAME ANALYSIS.
mi sono permesso di rilanciarlo (per breve citazione e rimando al tuo blog ) qui: http://mappeser.com/2012/03/12/cadavrexquis-analizza-la-condizione-soggettivo-culturale-e-comunicativa-dellomosessuale-usando-magari-anche-in-modo-non-esplicito-il-metodo-di-erving-goffman/
Posted by: paolo ferrario | 12/03/2012 at 14:39
perché si dovrebbe risultare indifferenti se e' proprio la 'differenza' che ci fa risaltare come pedoni muniti di giubbini catarifrangenti nel buio di una galleria?. esposti quindi ora al lubridio ora al distacco ora alla tolleranza più o meno benevola..la differenza che ci contraddistingue e' quella di non voler procreare, di apparire pertanto come individui refrattari alla regola base della societa' familistica e per questo ora giudicati irresponsabili rispetto agli oneri riproduttivi ora commiserati nel caso di non apprezzabile integrazione.
Mi sembra un po' utopica questa prospettiva salvifica di equiparazione al mancinismo, posto che questa minoranza non incide piu' di tanto sulle dinamiche socio-culturalimentre noi scontiamo la ineliminabile (almeno allo stato) anomalia della estraneita' al processo di trasmissione dei geni della specie (e scusate se e' poco..)
Posted by: Andrea | 12/03/2012 at 23:26
Mi collego al sensato post di Andrea. Un giorno capirete che gli eterosessuali non vengono affatto a questo mondo come fedelissimi seguaci fin dalla nascita della sacralità e "superiorità" del processo di trasmissione dei geni della specie. Anzi. La stragrande maggioranza di noi passa buona parte della propria vita cercando di sfuggire tale destino che alla fine si impone semplicemente con la forza di milioni di anni di evoluzione darwiniana o creazionista (come preferite, poco cambia sciocchi illuministi da liceo). E poi questa pressione genetica plurimillenaria si cristallizza in questa maledetta facoltà generalizzatrice della mente umana (beati gli animali con una memoria di lavoro così scarsa e così concettualmente impotente: non si ricordano nemmeno sei sei etero o omo, si ricordano solo che sei tu). Ma credete davvero che la cosiddetta omofobia sia tutta una costruzione sociale, un vestito da poter buttare a volontà? Cerchiamo di arrivare a questa "tolleranza più o meno benevola" reciproca e finiamola lì senza pretendere oltre (e magari se questo cazzo di governo facesse queste unioni civili sarebbe un aiuto). Magari sapendo che quell'oltre arriva proprio perché ci smette di pretenderlo a forza. Anche perché è esattamente ciò che ci si può attendere da QUALUNQUE estraneo, non solo dall'eterosessuale. Ma davvero credete che la tragedia della vita, l'estraneità e il senso di inadeguatezza connaturati con l'essere vivi non siano condizione comune all'intera umanità? Già gli italiani sono convinti di avere il monopolio dell'inadeguatezza (ah, questo narcisismo rovesciato), se poi voi ci aggiungete le vostre ossessioni, possiamo dire buonanotte al secchio. Questa è davvero forse la vera unica possibile e fuggevole comprensione reciproca, altro che questo mito della normalità: una comune anormalità.
Posted by: Giovanni Maria Ruggiero | 13/03/2012 at 20:29
Oggi un collega nostro ha fatto "coming out" con me in ufficio. Con el donne naturalmente aveva già detto tutto. Mi pare sia andata bene, anche accettando che non sono cose che vanno via spontanee. E' un capirsi che va costruito. Non è il massimo, ma nemmeno va così male.
Posted by: Giovanni Maria Ruggiero | 15/03/2012 at 14:47