Ci sono dei casi in cui uno si sente quasi in dovere di parlare bene di un libro perché tratta un argomento importante, che tocca la vita (e le sofferenze) di molte persone, affrontando uno di quei problemi che le tormentano e che, a volte, rendono loro l'esistenza impossibile. E' il caso, per esempio, dell'omofobia. Di recente, infatti, è stata pubblicata una Storia dell'omofobia, scritta da Paolo Pedote per il piccolo editore bolognese Odoya. Per quanto ne so io, è la prima volta che in Italia esce un libro tutto dedicato a questo argomento, e con un taglio dichiaratamente storico: motivo sufficiente per spingermi a leggerlo. Purtroppo non mi ha convinto affatto. La mia sensazione è che lo scopo fosse troppo ambizioso per i mezzi a disposizione dell'autore. Il risultato finale è inferiore non soltanto alle aspettative, ma anche a ciò che promette il titolo. "Storia dell'omofobia" - e va bene, ma quale omofobia? Non è un campo troppo vasto e troppo poco definito perché se ne possa delineare una storia esaustiva? E' vero che lo stesso autore, nell'introduzione, mette le mani avanti: "La difficoltà maggiore di una Storia dell'omofobia risiede certamente nel fatto che non si tratta di raccontare nei dettagli un preciso evento storico, con un inizio e una fine", ma è altrettanto vero che l'obiettivo si rivela, durante la lettura, ancora più sfuggente e sfuocato. Sembra che l'autore non sia in grado di decidere se concentrarsi sull'omofobia come pregiudizio sociale, come rappresentazione negativa in ambito culturale o come attiva discriminazione da parte dei vari poteri che, di volta in volta e di epoca storica in epoca storica, hanno dominato una certa società. In questo modo sceglie di parlare di tutto un po', da una prospettiva che è continuamente variabile. A questo si aggiunge il fatto che è impossibile fissare un concetto di omofobia nel corso dei secoli, perché è lo stesso concetto di omosessualità ad avere subito incessanti mutazioni nel tempo. A dire il vero, anzi, si deve arrivare al ventesimo secolo perché l'omosessualità venga definita come identità - una definizione che è comunque postulata a priori e posta come argomento politico, più che derivare dall'essenza delle cose - e non più come pura e semplice pratica. E' evidente, quindi, che l'avversione all'omosessualità - l' "omofobia", in senso lato - sarà diversa a seconda dell'interpretazione che si dà del fenomeno. Per questo motivo, il saggio di Pedote scivola continuamente in una più scontata storia dell'omosessualità, che per di più risulta abbastanza "episodica", nel senso che il passaggio tra un capitolo e l'altro avviene con una certa soluzione di continuità. Ci si chiede, insomma, perché tratti certi periodi e certi fenomeni e non altri: dall'antica Grecia si passa all'Italia medievale, poi - con un salto di secoli - ai primi pionieri del movimento omosessuale, al caso (strafamoso) di Oscar Wilde (a cui è riservato un intero capitolo), al nazismo, alla vicenda di Alan Turing e alla psicoanalisi. Per l'Italia c'è un capitolo in cui si traccia un breve excursus storico e un altro capitolo dedicato a personaggi come Pasolini, Zeffirelli o Bellezza. Da un certo punto in avanti, poi, l'autore attinge molto - troppo, direi - dalla cinematografia, come se questa fosse una vera e propria fonte storica e non soltanto una forma artistica che rappresenta e riflette determinate percezioni dell'omosessualità: i criteri con cui Pedote sceglie un film piuttosto che un altro restano tuttavia piuttosto opachi. C'entra sicuramente il gusto personale, anche se queste pellicole vengono indicate come particolarmente emblematiche (per esempio: Una giornata particolare e Gli occhiali d'oro per la situazione degli omosessuali durante il fascismo in Italia, Philadelphia per la diffusione dell'Aids, Fragola e cioccolato per l'oppressione dei gay nella Cuba comunista o Milk per i movimenti gay negli Usa alla fine degli anni sessanta del secolo scorso). Un libro inutile, dunque? Non so. Probabilmente lo è per chi ha già letto molto sulla questione e sulla storia omosessuale - che di necessità comprendono anche le varie forme di persecuzione antiomosessuale -, mentre sull'omofobia non aggiunge niente di nuovo. Forse una storia complessiva dell'omofobia è, per i motivi indicati sopra, impossibile da scrivere. O se verrà scritta, avrà bisogno di una maggiore competenza e di una più grande capacità di mettere a fuoco il punto di osservazione. Certo è che non si può esaurire il tema in un volume di duecentosettanta pagine scarse (corredate, oltretutto, da numerose fotografie). Poco aiuta la serietà dell'impresa, poi, concludere questa discettazione mettendo in appendice due discorsi: quello di Zapatero al Parlamento spagnolo in occasione dell'approvazione, nel 2005, dei matrimoni gay e quello di Lady Gaga al Gay Pride di Roma l'anno scorso.
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