Scopro che un pazzo ha aperto, su Facebook, una pagina dedicata alla scuola elementare che ho frequentato in un’epoca ormai remota (il Pleistocene, credo). In particolare, dedicata alla nostra classe. Lui, infatti, era in classe con me. Ha anche pubblicato una fotografia di tutta la quinta: a quei tempi in cui ancora non si conoscevano le digitali e, men che meno, i cellulari con la fotocamera incorporata, passava a fine anno un fotografo e faceva il ritratto di gruppo. Quella fotografia la conosco bene: l’ho ritrovata poco tempo fa a casa dei miei, sepolta tra numerose altre fotografie.
Ora sono stato invitato a unirmi al gruppo, dove c’è pure la minaccia di “una bella rimpatriata” nell’imminente primavera. Quando ho letto questo annuncio, mi è corso un brivido lungo la schiena. La prospettiva di rivedere i miei compagni delle elementari - e di farmi rivedere da loro, va da sé - mi alletta tanto quanto tranciarmi i testicoli con una cesoia da giardiniere. Non ho cliccato il fatidico “mi piace”, ma ho letto i messaggi scritti da alcuni ex-compagni di allora (pochi, in verità, e spero che tali rimangano).
Passando in rassegna i volti di quella fotografia mi accorgo di avere dimenticato quasi tutti i nomi - e intendo proprio i nomi, non soltanto i cognomi -, tranne quelli di qualcuno che mi è capitato di rivedere o frequentare, brevemente, negli anni seguenti, perché magari li trovavo in treno andando all’università. Quello che però più mi sorprende sono i ricordi snocciolati da quei pochi che hanno lasciato il loro messaggio sulla bacheca di Facebook. Mi sembra che stiano parlando di qualcos’altro a cui io non ho partecipato.
Devo precisare che quella scuola elementare era gestita da suore (anche se la mia insegnante era, fortunatamente, laica, il che però non ci esentava dalla messa settimanale, il giovedì, se non erro). Di tutte le suore che però, al di fuori dell’orario di lezione, si prendevano cura di noi, io non ricordo più nulla. Completamente rimosse. Viceversa quei miei compagni rammentano nomi e caratteristiche. E, come se non bastasse, velano il tutto di quella nostalgia che fa dire, a uno di loro, che quello è stato uno dei periodi più felici della sua vita, tanto che ora medita di mandarci suo figlio. A me verrebbe voglia di commentare che ricordo solo una suora - di cui ho comunque dimenticato il nome -, una carogna fetente da cui una volta devo pure essermi preso una sberla in corridoio. Una che puzzava di vecchia rancida e che nella tasca della tonaca teneva del pane secco di cui a volte faceva dono a noi bambini. Solo lei. Dovrei scriverlo in bacheca: “Che fine ha fatto la suora carogna e puzzona?”
Un’educazione in un istituto religioso - soprattutto in tenera età - è l’avviamento ideale a una vita lontana dalle seduzioni della religione, a un’età adulta serenamente agnostica. Da un lato, se avessi avuto un figlio, l’avrei volentieri mandato a scuola dalle suore o dai preti per sviluppare in lui lo stesso sano anticlericalismo, ma dall’altro so che avrei rischiato di rovinargli l’impianto psichico e temo non avrei avuto la forza di imporglielo.
In ogni caso non ho nessuna voglia e nessun bisogno di rivedere quei relitti in carne e ossa della mia infanzia. Se non li ho più cercati, ci sarà ben stato un motivo, e non intendo di certo recuperare ora. Questa operazione mi fa pensare a come tutti noi, pur vivendo nello stesso tempo e uno di fianco all’altro, in effetti viviamo in tempi diversi, incapsulati in realtà che coincidono solo in maniera imprecisa e che, anche quando lo fanno, creano solo l’illusione di condividere la medesima realtà. La memoria, poi, fa il resto. (Poi, forse, dovrei aggiungere che della mia infanzia non ho ricordi particolarmente felici. Non ne ho nemmeno di tragici o di infelici, si badi bene, ma non trasfiguro niente. Preferisco lasciare che quei fantasmi riposino in pace lì dove stanno).
La cosa che più mi sorprende - ma non dovrebbe - è il motivo per cui questa gente oggi vorrebbe rivedersi con persone delle quali non gliene è mai fregato niente e con cui sarebbe rimasta in contatto se avesse avuto voglia all'epoca.
D'altronde facebook è nato in origine sulla scia di un sistema simile, diffuso dapprima in Inghilterra, per ritrovare i compagni di scuola dell'infanzia. E io, per capire questi meccanismi mentali, dovrei avere facebook, che invece non ho, e per buoni e sensati motivi.
Posted by: avi | 25/01/2012 at 13:00
quanto condivido tutto ciò. pensa che ho amici su FB con i quali l'ultima volta che ho parlato (dal vivo) è stato per l'esame di 5° elementare...Ma mai vorrei incontrarli...
Posted by: david | 25/01/2012 at 22:34
A me sembra che facebook sia il trionfo della incapacità di pensare, di intuire, di guardarsi dentro, di vedere gli altri, di avere rispetto (per sè stessi e per gli altri); a parte il livellamento verso il basso, inevitabile dove concorre la massa.
Posted by: Roberto | 04/02/2012 at 16:10