Nei giardinetti di via Lepontina, una laterale di via Carlo Farini qui a Milano, sembra di stare in una terra abbandonata da Dio e dagli uomini. E’ anche problematico chiamare giardinetti quei ciuffi di erba spelacchiati e ingialliti, intervallati da spiazzi sterrati. Però ieri, trovandomi da quelle parti e avendo un’ora libera, ci sono andato e mi sono seduto su una panchina a leggere, inizialmente disturbato solo dal tubare dei piccioni ormai così addomesticati che li avrei potuti infilzare con la matita. All’ingresso dei giardinetti mi accoglie un clochard di mezza età che piscia contro una staccionata, senza darsi pena di nascondersi o proteggersi. La panchina accanto alla mia è occupata da due vecchie signore. Una in carrozzella, molto vecchia e malandata, spinta da un’altra che è la sua badante, ma giusto per il rotto della cuffia, perché tra non poco sarà forse lei quella che avrà bisogno di assistenza. Dopo qualche minuto arriva un’altra coppia di vecchie signore: una, minuta minuta e rattrappita, con la testa coperta da un foulard, sembra una babushka - una nonnetta - russa. L’altra, invece, è la vera russa delle due ed è la sua badante, pur essendo anche lei di poco più giovane. Salta fuori che le due badanti si conoscono. Forse frequentano tutti i giorni lo stesso giardinetto e hanno stretto amicizia lì. O forse si conoscevano già da prima e si danno appuntamento ogni giorno in quello spiazzo erboso. Fatto sta che cominciano a ciarlare in russo, ignorando completamente la presenza delle due vecchie a loro affidate. Tanto non capiscono, tanto sono lì e non si muovono. Anche se colgo solo una parola qui e una parola là, nel loro allegro chiacchiericcio riconosco una vitalità che si manifesta anche in quella che per loro dev’essere una condizione difficile - non sono giovani né l’una né l’altra, chissà che vite facevano in Russia, chissà che cosa si sono lasciate alle spalle per venire qui da noi a occuparsi di queste altre donne non molto più vecchie di loro -, e all’improvviso tutto mi sembra soffuso di un calore e di un’intimità da romanzo dostoevskiano. A un certo punto si avvicina un uomo, anche lui un po’ in là con gli anni, che zoppicando si regge a un bastone e sotto il braccio tiene il Corriere della Sera. Si siede all’estremità opposta della mia panchina e saluta le signore. La vecchietta con foulard gira la testa di novanta gradi verso di lui e, con tono querulo ma serafico - il tono rassegnato ma non irrancidito di chi ormai ne ha viste tante nella vita -, attacca a parlare con l’uomo. Prima qualche convenevole: “Non va via?”, a cui risponde da sé: “Ma sì, si sta bene anche qui” - dove il qui non si capisce bene se è il giardinetto o se è Milano. E prosegue: “Ha visto alla televisione che disastri? Che temporale, che pioggia”. E poi, parlando di pensioni: “Dovrebbero pensarci, quelli che comandano. E invece chi ci rimette è sempre la povera gente”. Oppure, commentando la notizia dell’estate che, a causa delle alte temperature e dell’afa, rappresenta un rischio per la salute degli anziani: “L’importante è mangiare. Mangiare poco, ma tutto, per stare in forza. Perché poi i vecchi stanno male. Devono prendere le vitamine per non sentirsi mancare”. E questa perla: “Adesso la gente sono diventati più furbi e non si sposano più. E fanno bene!”. Fino a concludere con: “Han detto per televisione che adesso ci sono tanta gente che non hanno da mangiare al mondo”, scrollando sconsolata la testa. Io ascolto senza guardare, finché giro anch’io la testa e vedo che un piccione mi ha cagato sulla borsa che avevo appoggiato al mio fianco sulla panchina. Prendo un kleenex, pulisco il guano finché è fresco, l’appallottolo e lo lancio verso il bidone della spazzatura. Giusto il tempo di vedere arrivare un’altra ospite: una signora di mezz’età inoltrata, che si siede tra me e l’uomo e sospira: “Sono uscita perché non ce la facevo più”. Si conoscono tutti, è come un piccolo cenacolo di eletti, un microcosmo per nulla chic all’interno della Milano del Ventunesimo Secolo. Qui, a poche centinaia di metri dai grattacieli che stanno spuntando intorno a Porta Garibaldi, sembra di essere in un altro universo, dove l’apparenza non conta niente e le cose sono quello che sono, squallore e tristezza incluse, fatti scontati della vita. Mi alzo perché il mio tempo è scaduto. Monto sulla bicicletta, scendo nel piccolo viale, volto la testa e - come in un cerchio che si salda al suo inizio - vedo un extracomunitario che piscia contro un muretto.
Rieccola la vecchietta! Ecco dove l'avevi incontrata.
Posted by: GMR | 09/07/2011 at 17:15
Meraviglia ! Quanta poesia riesci a far emergere dallo squallore del quotidiano. La mia invidia per le tue doti narrative si mescola al ringraziamento sentito.
Posted by: avi | 10/07/2011 at 15:15