"Am Ende wird alles gut, und wenn's nicht gut wird, dann ist es noch nicht das Ende" (Alla fine tutto va bene, e se non va bene, allora non è ancora la fine)
(Scritta su un muro della metropolitana di Kottbusser Tor)
Sia ieri che oggi mi sono svegliato alla luce del primo sole che filtra dalle finestre, protette a malapena da una tendina: alle quattro e un quarto. Decisamente troppo presto per alzarmi e fare colazione. Così stamattina ho deciso di indossare la mascherina che mi copre gli occhi e mi dà qualche ora di sonno in più. E, a proposito di colazione, il buon giorno me lo danno i ragazzi che trovo al bar/ristorante dell'albergo - molto ampio e piuttosto elegante, devo dire, per un ostello, benché sui generis -: il solo vederli mi mette di buon umore. Stamattina, per esempio, al mio lungo tavolo si è seduto un francesino, ha puntato deciso verso una ragazza orientale che stava facendo colazione per i fatti suoi e ha cominciato a chiederle da dove veniva - da Taiwan -, se parlava cinese, che genere di cinese, e lui aveva studiato cinese per sei mesi, e che in francese "Come stai?" si dice "Comment ça va?". Ho ammirato la sfrontatezza e lo charme con cui ha tentato di "broccolarla", anche se a causa del suo inglese piuttosto semplice, il tono, più che della conversazione, era di un interrogatorio poliziesco.
La giornata di ieri è cominciata con un'escursione a Gruenau, uno di quei quartieri piuttosto periferici di Berlino, ma immersi nel verde e nei boschi. Tra l'altro, Gruenau si affaccia su uno dei numerosi laghetti di cui è costellata la città. Tra le numerose villette, alcune delle quali assomigliano a baite svizzere, riesco persino a trovare un edificio malandato su cui, sbiadita, c'è ancora l'insegna di un negozio dei tempi della DDR e che recita: "Wunsch dir was" - Esprimi un desiderio. Che sia di buon auspicio anche per me? Per tornare, invece della S-Bahn, prendo il tram fino alla stazione di Koepenick. Il percorso lungo la Regattastrasse, che costeggia il lago, nascosto però alla vista dai club sportivi e dalle società di canottaggio, è abbastanza squallido: sembra che gli edifici vi siano spuntati in ordine sparso, cioè in disordine, senza alcuna armonia. La musica cambia quando si entra a Koepenick, che a tutti gli effetti è un villaggio a sé stante: chi ci vive potrebbe tranquillamente non mettere piede a "Berlino" e restare ignaro delle orde di turisti che la calpestano.
Ieri sera avevo un appuntamento con la metà ex-bionda, ma ancora gaia, della coppia di Stadtschaft che mi ha portato, a una certa ora, in un locale di malaffare frequentato da - horribile dictu - omosessuali. Prima, però, sono andato a cena cercandomi qualcosa nella Oranienstrasse, che è una delle arterie più vivaci e variopinte di tutta Kreuzberg. Infilandola, ho sentito dei rumori e delle voci da un altoparlante provenire dall'Oranienplatz. Poi ho visto una prima camionetta della polizia. Che emozione! E' la prima volta - ho pensato - che vedo una manifestazione, più o meno spontanea, a Berlino. Avanzo con cautela e vedo sventolare una serie di bandiere ovviamente rosse, alcune con la scritta "Die Linke" - il partito dell'ultrasinistra tedesca, nato dalle ceneri della SED-PDS e dalla fusione con i Lafontainiani usciti a sinistra dall'SPD -, altre che invocavano l'antifascismo e altre che non riconosco. Proprio lì in piazza si affollano le camionette della polizia, con poliziotti e poliziotte protetti dai giubbotti antiproiettile. Sono immobili ma tranquilli e m'infondono una certa sicurezza, anche se sento uno degli speaker che si lamenta proprio della presenza della polizia. Quando il corteo si mette in moto, io riesco a leggere uno dei volantini a terra. La manifestazione è per protestare contro le aggressioni di alcuni gruppuscoli di estrema destra a iniziative e locali gestiti dall'estrema sinistra: pare ci sia stato pure un incendio. Come fanno anni settanta tutte queste cose, tutto questo ciarpame ideologico, penso. Poi, però, dopo cena vado a prendere un caffè al "Bierhimmel", un caffè frocio di Oranienstrasse, e leggo la Berliner Zeitung. Lì parlano della manifestazione e dicono una cosa che il volantino aveva omesso: se è vero che ci sono state aggressioni da parte dell'estrema destra, è anche vero che alcuni gruppuscoli di estrema sinistra avevano già menato prima degli esponenti di estrema destra - uno, per esempio, che stava "solo" volantinando. E la Berliner Zeitung non è un quotidiano sospetto di tendenze destrorse, quindi tendo a fidarmi.
Quando rientro alle due, facendo a piedi la strada dalla Goerlitzer Bahnhof fino all'albergo in Warschauer Platz, ho la piacevole sorpresa di uno scoiattolo che mi attraversa la strada nella Skalitzer Strasse e che fa il paio con i conigli che scorrazzano sul prato della corte interna dell'albergo.
Stamattina ho messo a tacere i miei sensi di colpa per non avere visto ancora nessun museo - ma del resto come si fa, ditemi voi, a rintanarsi in un luogo chiuso con il sole e con il caldo che fa? - e vado a visitare il Neues Museum, che è stato ristrutturato e riaperto nel 2009. Per raggiungerlo devo fare la gimcana tra i cantieri e mi domando se vedrò mai la fine dei lavori a Berlino, tanto che comincio a pensare che in questa città stiano adottando la "strategia Zapatero" per creare occupazione in questo modo. In ogni caso, la vista dell'ingresso al Pergamon è bloccata perché stanno costruendo una sorta di edificio circolare - ed è un peccato, perché già la scalinata è un bel colpo d'occhio -, accanto al Neues Museum c'è un cratere dove - leggo - dovrà sorgere la nuova biglietteria del museo stesso. In ogni caso, il Neues Museum ristrutturato è molto bello in quanto edificio in sé. E' prevalentemente dedicato all'egittologia, di cui non so niente e che m'interessa poco. Passeggio tra i cocci, tra i sarcofagi, tra le statue e i papiri e provo una sincera emozione solo quando vedo, in una sala tutta dedicata a lei, il busto di Nefertiti, moglie del sovrano Echnaton. E' al centro della sala ovale ed è bellissima: sguardo altero, lineamenti fini, nasto delicato, mento sottile, lo sguardo che punta fisso verso un'altra sala, alla fine di un lunga sala rettangolare, un'enorme statua di Helios, il dio Sole. La guardo e penso che quella donna mi guarda, con quell'espressione, da un passato che risale a quasi 3.500 anni fa. E ora è lì davanti a me. Chissà che ne sarà di noi - di me e di voi, cari lettori - tra 3.500 anni: probabilmente non resterà nemmeno quel mucchietto d'ossa che vedo nelle altre sale del museo.
Grazie per questi dettagliati resoconti.
Posted by: d. | 02/07/2011 at 00:49