“All’idiozia di ogni comunità che basta a se stessa e si premunisce contro le più belle cose al mondo, corrisponde la disinvoltura di un amabile eclettismo, permeabile ai più diversi messaggi, cioè eminentemente indifferente a ciascuno. Soltanto la riaffermazione di una costante identità ci permette di uscire dal qui e adesso: ogni incontro presuppone un centro minimo, una patria, condizione elementare del cosmopolitismo. Lo stesso imperativo che ci ordina di prestare attenzione all’Altro ci comanda anche di vivere un po’ per noi stessi.
L’uomo ‘con le ali ai piedi’ è cosmopolita, non a detrimento della sua qualità di europeo, ma in quanto europeo; ha un bell’essere scandalosamente murato nella sua differenza culturale, in modo paradossale è tanto più internazionale quanto più è francese, tedesco o danese. Il punto inerte dei vincoli nazionali è anche il punto d’appoggio che dà all’espatrio il suo slancio dinamico. Senza la lingua materna, senza le radici in un paesaggio dove il cuore e l’immaginazione trovano l’ambiente naturale del loro sviluppo, senza quel frammento di memoria, quei legami familiari, quel quartiere dove sono cresciuto, non ci sarebbe nulla per attizzare la mia curiosità, per spingermi in una data direzione: potrei innamorarmi a volontà di qualunque nazione e disamorarmi di tutte, perché non terrei a nessuna. Una forza frenata dalla propria pesantezza, che supera questi ostacoli gettandosi verso gli altri: questo è il meccanismo del mio slancio verso il mondo. [...]
La verità insopportabile, che ogni spostamento all’estero ci suggerisce, è questa: a ogni essere tocca vivere e morire nel vicolo cieco rappresentato dalla sua cultura. E, all’inverso, l’aver sperimentato un altro mondo mi nega il diritto di esistere in tutta ingenuità, paralizza il possesso delle mie proprie radici, mi vieta di restare attaccato alla mia terra come il cane all’osso. Non siamo esseri eminentemente adattabili a qualunque clima, nutrimento o linguaggio: per questo l’avvenire del mondo per noi è qui, nel cuore della vecchia Europa, anche se dovessimo interporre fra essa e noi tutto lo spessore del pianeta. L’Europa è la nostra possibilità, il nostro destino, ed è più che mai nel rispetto delle sue frontiere, delle sue tradizioni e della sua integrità territoriale che si colloca lo sviluppo delle nostre persone. La rivendicazione delle forze telluriche, il richiamo del Blut und Boden che anima tutti gli sciovinismi, sono altrettanto pericolosi di un lirismo interplanetario che fa incetta di massime e proverbi popolari e fa sfilare la sarabanda dell’umanità nera, bianca e rossa come altrettanti cavallucci intercambiabili in una giostra da fiera.
Dimentichiamo quindi l’assurdo dilemma per cui amare l’Occidente sarebbe sinonimo di un oblio delle culture del Sud; solo riappropriandoci dell’Occidente come cultura (e non più come mostro militar-imperialista), ci apriremo invece una breccia verso le altre società. Non si può non essere terzomondisti: ma questo tipo di terzomondismo non può più passare attraverso l’odio per l’Europa o il disprezzo delle sue acquisizioni. Ignorare oggi la nostra storia o falsificarla costituisce la via regia per ignorare la storia degli altri popoli, sterilizzare il loro peculiare apporto. Come potrebbero, un francese o un tedesco, capire qualcosa delle correnti dell’Islam, delle complesse metafisiche dell’Asia, se prima non hanno preso conoscenza della propria eredità religiosa, anche se non sono credenti? [...] Ogni procedimento per sottrarsi a quest’equivoco fra lealtà e incostanza risusciterebbe l’etnocentrismo arrogante dell’impero o il masochismo imbecille del terzomondismo”
Pascal Bruckner, da Il singhiozzo dell’uomo bianco, trad. di Simona Martini Vigezzi, Longanesi 1984, pagg. 236-239
Discutibile.
Posted by: Antonello | 30/05/2011 at 18:40
E allora discutilo, invece di essere così lapidario. A me pare che Bruckner sia chiarissimo e condivisibile.
O è meglio fare tabula rasa di sé e lasciarsi completamente riempire dall'Altro idealizzato (perché ha il pregio di essere non-noi)? Anche nei rapporti personali con un altro individuo, dal disprezzo di noi non può nascere amore o affetto per l'altro.
Posted by: Stefano | 30/05/2011 at 18:43
è nella storia dell'occidente la curiosità: forse basta evitare di chiamare gli altri "oi barbaroi" e non tentare la conversione con la tortura per capire cosa ci possono dare, tenendo però ferme le regole base.
scrivo da milanese, nel giorno dell'elezione di Giuliano Pisapia a Sindaco. l'ho visto in TV e ha dichiarato "Milano deve tornare ad essere città inclusiva". mi è molto piaciuto.
evidentemente la globalizzazione e la rete web cambiano il senso di "civiltà" e "nazionalità", ma non quello di educazione e rispetto reciproco.
non a caso, forse, ha vinto un avvocato gentile.
Posted by: Paolo, por supuesto | 31/05/2011 at 12:28
e poi è bello sapere che Bruckner, dopo "il nuovo disordine amoroso" (libro a suo tempo fondamentale), oggi scriva con tanta misura di un tema così delicato eppure fondamentale per una corretta autopercezione.
Posted by: Paolo, por supuesto | 31/05/2011 at 12:58
Non intendevo polemizzare. Non sono un commentatore compulsivo, mi riesce difficile scrivere testi troppo lunghi ai margini di un post.
Avendo impegnato una buona parte della mia vita in studi europei, mi sono trovato spesso nella situazione di chiedermi cosa sia l'Europa. E non nego assolutamente l'influenza della terra dove sono nato sul mio percorso. Piuttosto, mi sento poco a mio agio quando la costruzione dell'identità viene ad assumere dimensioni continentali. Lo splendido termine tedesco Heimat (che solo l'imprecisione della traduzione può rendere in Italiano come "patria") si riferisce ad una realtà più piccola, dove il sentimento di radicamento ha pieno permesso di albergare (e, si dà da sé, di essere violentemente contestato). L'Europa, per me (e lo Stato-nazione in molti casi) ha più a che fare con la Città Ideale che con una realtà storica. Basti pensare a che ruolo abbiano i paesi dell'Est nella concezione propria dell'Europa occidentale: fatte salve alcune città vetrina (Praga in primis), detti paesi sono ignorati quando non disprezzati; tra l'altro l'uso da parte di Bruckner del termine Occidente spiega molto di quanta considerazione in effetti si abbia per l'Est Europa, definito occidentale solo quando serve.
Di fatto, quindi,quando si parla di Europa dall'Oder-Neisse a sinistra, si pensa solo all'Europa Occidentale - per quanto l'UE, il Consiglio d'Europa, l'OCSE possano remare in senso contrario. Quando si vuole fondare la Costituzione Europea (tra l'altro affondata per ben altri motivi) sulle radici giudaico-cristiane, si dimentica che nei Balcani ci sono Stati a maggioranza musulmana assoluta o relativa, che prima o poi dovrebbero entrare nell'Unione stessa. Ma i Balcani sono considerati Europa? Anche la Bulgaria e la Romania, che pure sono nell'UE?
E' un gioco di riduzione che si può estendere a "paesi mediterranei vs. paesi protestanti" e che può trovare altre critiche linee di frattura . E non voglio parlare poi delle diverse impostazioni economico-sociali nazionali che l'UE cerca di armonizzare con scarsi risultati e che esulano dal discorso che fa Brukner.
Concludo dicendo che non rifiuto niente, ma che c'è anche poco da rifiutare. Per me l'Europa rimane ancora, più che altro, una bellissima Repubblica delle Lettere, costruita nel tempo a suon di infinite Guerre dei Trent'anni ma che non ha mai veramente (fino ad adesso, perlomeno) raggiunto una soggettività affermativa. E' un contenitore, in più punti sbeccato e molto permeabile, e che deve comunque temere molto di più da ciò che si trova al suo interno piuttosto che da ciò che si trova fuori da sé.
Posted by: Antonello | 31/05/2011 at 14:28
Non intendevo polemizzare. Non sono un commentatore compulsivo, mi riesce difficile scrivere testi troppo lunghi ai margini di un post.
Avendo impegnato una buona parte della mia vita in studi europei, mi sono trovato spesso nella situazione di chiedermi cosa sia l'Europa. E non nego assolutamente l'influenza della terra dove sono nato sul mio percorso. Piuttosto, mi sento poco a mio agio quando la costruzione dell'identità viene ad assumere dimensioni continentali. Lo splendido termine tedesco Heimat (che solo l'imprecisione della traduzione può rendere in Italiano come "patria") si riferisce ad una realtà più piccola, dove il sentimento di radicamento ha pieno permesso di albergare (e, si dà da sé, di essere violentemente contestato). L'Europa, per me (e lo Stato-nazione in molti casi) ha più a che fare con la Città Ideale che con una realtà storica. Basti pensare a che ruolo abbiano i paesi dell'Est nella concezione propria dell'Europa occidentale: fatte salve alcune città vetrina (Praga in primis), detti paesi sono ignorati quando non disprezzati; tra l'altro l'uso da parte di Bruckner del termine Occidente spiega molto di quanta considerazione in effetti si abbia per l'Est Europa, definito occidentale solo quando serve.
Di fatto, quindi,quando si parla di Europa dall'Oder-Neisse a sinistra, si pensa solo all'Europa Occidentale - per quanto l'UE, il Consiglio d'Europa, l'OCSE possano remare in senso contrario. Quando si vuole fondare la Costituzione Europea (tra l'altro affondata per ben altri motivi) sulle radici giudaico-cristiane, si dimentica che nei Balcani ci sono Stati a maggioranza musulmana assoluta o relativa, che prima o poi dovrebbero entrare nell'Unione stessa. Ma i Balcani sono considerati Europa? Anche la Bulgaria e la Romania, che pure sono nell'UE?
E' un gioco di riduzione che si può estendere a "paesi mediterranei vs. paesi protestanti" e che può trovare altre critiche linee di frattura . E non voglio parlare poi delle diverse impostazioni economico-sociali nazionali che l'UE cerca di armonizzare con scarsi risultati e che esulano dal discorso che fa Brukner.
Concludo dicendo che non rifiuto niente, ma che c'è anche poco da rifiutare. Per me l'Europa rimane ancora, più che altro, una bellissima Repubblica delle Lettere, costruita nel tempo a suon di infinite Guerre dei Trent'anni ma che non ha mai veramente (fino ad adesso, perlomeno) raggiunto una soggettività affermativa. E' un contenitore, in più punti sbeccato e molto permeabile, e che deve comunque temere molto di più da ciò che si trova al suo interno piuttosto che da ciò che si trova fuori da sé.
Posted by: Antonello | 31/05/2011 at 14:29
Vorrei aggiungere, per evitare che il mio commento precedente sia inteso come la visione di un euroscettico, che sono a favore dell'UE, a patto che essa funzioni in modo "procedurale", nel senso che i liberali americani danno a questo termine e che io, pur essendo di impostazione social-democratica, trovo illuminante.
Posted by: Antonello | 31/05/2011 at 14:37
Ok, Antonello, avevo frainteso io l'intenzione del tuo primo commento. Va detto che il brano che ho citato arriva alla fine di un saggio molto denso e dettagliato. Bruckner non parla di un' "Europa" generica, diciamo che in quelle pagine che cito usa il termine "Europa" per raggruppare in maniera sintetica le varie identità europee. Sull'Europa dell'Est, tieni presente che il libro è del 1983, quando quella parte dell'Europa era ancora occupata dall'impero sovietico. E Bruckner si scandalizzava che i terzomondisti, allora, erano a favore di tutti i movimenti di liberazione del Sud del mondo (ignorando anche quanto di feroce essi producevano, in termini di dittatorelli per esempio, e attribuivano all'Europa e all'Occidente ogni colpa), mentre non volevano capire o sostenere i movimenti di liberazione nell'Europa orientale.
Posted by: stefano | 31/05/2011 at 15:10
In effetti mi ero ripromesso di specificare che che il libro sicuramente nasceva dall'urgenza (cinquantennale urgenza!) della divisione dell'Europa in due blocchi, ma a a fine commento mi sono completamento dimenticato di scriverlo! E anche alla fine del secondo commento! Mi scuso.
Posted by: Antonello | 31/05/2011 at 18:39