Una ragazza tedesca di diciassette anni, che ha visto poco del mondo ed è sempre vissuta a Hohen-Cremmen, in provincia, con i suoi genitori, ancora immersa in quel mondo che è al confine tra l'infanzia e l'età adulta, dedita ai giochi spensierati con le sue amiche, sposa un uomo di trentotto. E, per di più, quell'uomo era stato, in gioventù, lo spasimante della madre, che poi aveva finito per sposare qualcun altro. Lo ama? Non proprio. Ma nemmeno lo odia. Prova per lui stima e un certo timore e spera che il loro matrimonio non sarà sgradevole: "Lui è così buono e caro con me, e tanto indulgente, ma... io ho paura di lui", confessa alla madre prima di sposarlo. Però lui, un barone, occupa una posizione politica importante a Kressin, una piccola località di mare della Pomerania, e lei, sposandolo, farà parte della società più in vista del paese. E anche se il matrimonio viene celebrato in autunno, quando il villaggio si sta spopolando, c'è sempre l'estate successiva a cui guardare con speranza. Con queste premesse - e malgrado il grand tour dell'Italia che i due novelli sposi fanno subito dopo le nozze e che rappresenta una bella distrazione - l'unione tra i due non nasce sotto i migliori auspici.
I due coniugi sono Effi Briest e il barone Geert von Innstetten, protagonisti dell'Effi Briest di Theodor Fontane. Come si fa a scrivere qualcosa di sensato su un classico della letteratura tedesca? Mi limito quindi a qualche osservazione. Si è detto che Effi Briest è un po' la "madame Bovary" tedesca. Come madame Bovary, anche Effi Briest finisce per tradire il marito con il maggiore Crampas (che, sia detto per inciso, è persino più vecchio di von Innstetten). Effi, però, non ha cercato l'adulterio, non ha inseguito la passione amorosa che sconvolge tutta l'esistenza di chi ne è vittima. Effi è semplicemente una vittima della noia, è una ragazza che, ancora troppo giovane, ha bisogno di essere continuamente distratta e stimolata ("Effi non era fatta per le cose riscaldate, ma anelava a qualcosa di fresco, alla varietà delle cose"), mentre il marito, tutto preso dai suoi impegni, non riesce adeguatamente a soddisfare questa sua esigenza ("Innstetten era buono e caro, ma non era un amante"). C'è, in un certo senso, una sorta di famelicità innocente in Effi Briest, che si manifesta nell'inquietudine e che l'isolamento a Kressin - dove l'unico che riesce a intrattenerla è il bonario farmacista Gieshuebler - non fa che aggravare. Ogni evento è buono per solleticare la sua curiosità: quando una nave sta per naufragare, Effi si precipita ad assistere alle operazioni di salvataggio - finalmente succede qualcosa! -, tanto che vorrebbe "gettarsi tra le duene e piangere tutte le sue lacrime. Un bel sentimento aveva nuovamente trovato spazio nel suo cuore, e fu immensamente felice che così fosse".
Il tempo passa, dal matrimonio nasce una figlia - Annie - e Effi convince Innstetten ad accogliere in casa come bambinaia la cattolica Roswitha. Effi si sente però sempre più soffocare nel corsetto di quella vita provinciale priva di diversivi e novità. Ovvio che accoglie come una benedizione e una liberazione la promozione di Innstetten a consigliere ministeriale e, di conseguenza, il loro trasferimento a Berlino, tanto da precederlo per qualche tempo nella capitale e mettersi alla ricerca di una casa. In realtà, una volta giunta a Berlino, Effi simula una malattia in modo da prolungare il soggiorno e non tornare più a Kressin, attendendo che il marito la raggiunga lì. A questo punto il lettore pensa che sarà a Berlino che Effi commetterà adulterio. E invece non è così: con una mossa astuta, Fontane ci fa capire che il trasferimento a Berlino è l'occasione con cui Effi si getta alle spalle il tradimento, che è già avvenuto.
Insomma, Effi Briest è il romanzo di un adulterio, dove però l'adulterio non è esplicitamente narrato. L'oggetto intorno cui ruota tutta la narrazione è assente dalla narrazione stessa. Il romanzo si spacca in due, per così dire: c'è un prima - in cui con grande realismo e penetrazione psicologica Fontane si cala nell'animo della protagonista e ci mostra come essa venga a poco a poco condotta all'adulterio - e un dopo - in cui vengono descritte le conseguenze, innanzitutto pratiche, dell'adulterio che è già stato commesso. Si potrebbe quasi dire che Effi Briest è il romanzo di una passione dove però la passione non c'è - e, a dire il vero, la passione non c'è davvero, perché Effi non si strugge per Crampas - non ama neanche lui -, ma è soltanto la prima cosa che le capita a tiro per colmare il vuoto e la noia. Infatti non le costa nulla abbandonarlo e andarsene a Berlino. Anzi, parte senza salutarlo e si limita a scrivergli un biglietto, quasi tirando un sospiro di sollievo. E il lettore apprende della loro storia solo a posteriori.
L'aspetto interessante della faccenda è però che Effi non prova vergogna per l'atto in sé - l'adulterio - ma per la menzogna che l'accompagna: "Il mio orgoglio è sempre stato di non saper mentire e non di aver bisogno di mentire - mentire è così vile - e ora ho dovuto sempre mentire, davanti a lui e al resto del mondo...". Da ciò si deduce che se i due protagonisti avessero "concordato" l'adulterio, formando una sorta di coppia aperta ante-litteram, non ci sarebbe stato questo peso morale sulla coscienza di Effi, che invece, nel seguito del romanzo - nel dopo -, viene schiacciata dalla tragiche conseguenze del suo comportamento. Conseguenze tragiche e dettate dall'obbedienza alle regole sociali in vigore in quell'epoca (il romanzo è del 1895). Anni dopo, infatti, Innstetten scopre per puro caso la relazione della moglie e, ferito nell'onore, è costretto a sfidare Crampas a duello, uccidendolo, e a ripudiare la moglie, tenendosi la figlia Annie. Effi è relegata in un appartamentino di Berlino, con Roswitha per unica compagnia, senza neppure poter tornare a Hohen-Cremmen dai genitori, che, a loro volta, obbediscono alle convenzioni sociali secondo cui sarebbe un disonore riprendersi in casa una figlia così, tanto che sarebbero costretti a pagare lo scotto dell'isolamento.
Le cose però non sono così nette e nella rigidità delle regole borghesi s'incuneano i dubbi. Effi comincia a dubitare, per esempio, che il vero mostro forse non è lei che ha tradito Innstetten, ma Innstetten che non soltanto non ha saputo capirla ma l'ha terrorizzata, quand'erano a Kressin, con la storia del fantasma del cinese che infestava la loro casa - e che forse era davvero solo un modo per "educarla" e tenerla buona - e che adesso le nega la possibilità di rivedere la figlia (tranne una volta, grazie all'intervento della moglie del ministro, ma solo dopo avere ugualmente istruito la bambina, come una specie di scimmia ammaestrata, su cosa dire di preciso alla madre). Anche Innstetten dubita che il duello sia la mossa giusta da compiere: sente che, in fondo in fondo, è una cosa ridicola. Soprattutto quando sono trascorsi sei anni dall'adulterio. E se ne fossero trascorsi di più - cosa possibile, visto che il tradimento l'ha scoperto per caso -, avrebbe dovuto comunque difendere il suo onore in quel modo? I dubbi attanagliano anche i genitori di Effi: vale la pena rinunciare all'amore della figlia in cambio dell'approvazione sociale? E infatti, alla fine, la riprendono con sé - e si condannano all'isolamento -, anche se ormai è troppo tardi e, a poco a poco, Effi Briest muore di consunzione. O forse, si potrebbe persino dire, uccisa dagli ingranaggi di una società in cui è stata buttata ancora poco più che bambina, quando ancora era troppo forte la sua voglia di vivere.