Con Anatomia delle Brigate Rosse Alessandro Orsini non scrive una pura e semplice storia delle Brigate rosse, ma realizza uno studio - estremamente convincente e ben documentato, oltre che di grande leggibilità - dei presupposti psicologici e ideologici che ne hanno resa possibile la nascita e che hanno funzionato da motore per le azioni dei terroristi italiani a partire dall'inizio degli anni Settanta. Comunque, per entrare nella mentalità dei brigatisti, Orsini attinge, oltre che alla letteratura sul radicalismo politico e sul terrorismo, anche a varie fonti dirette: comunicati e rivendicazioni prodotti dalle Brigate rosse, interviste rilasciate dai brigatisti, deposizioni davanti ai magistrati inquirenti, libri e autobiografie, lettere private scritte dai brigatisti ai loro famigliari.
La tesi centrale di Alessandro Orsini è che le Brigate rosse s'inseriscono in una lunga tradizione storica che chiama gnosticismo rivoluzionario. La mentalità gnostica - termine derivato dall'ambito religioso, perché è di questo stesso tipo di mentalità che partecipa il brigatista - è caratterizzata dall'attesa della fine, dal catastrofismo radicale (e quindi dal rifiuto totale del mondo) e dall'ossessione per la purezza. Il terrorista rivoluzionario coltiva una visione apocalittica dello sviluppo storico: questo mondo è radicalmente malvagio e, in quanto tale, è condannato. Non è possibile salvarlo se non dopo averlo distrutto - Orsini parla al riguardo di "furia pantoclastica" -: quella che verrà dopo - per quanto vaga è negli intenti - sarà una "società perfetta". L'edificazione di questa società perfetta è quindi alla base di una politica escatologica, la politica del credente in una utopia radicale, contrassegnata da fede incrollabile e fondamentalismo etico. La politica viene così sacralizzata, non è più solo uno strumento di amministrazione della cosa pubblica (come in Aristotele) o mezzo per il raggiungimento del potere (come in Machiavelli), ma via per redimere gli uomini e portarli alla salvezza. Alla prassi rivoluzionaria viene attribuito un potere palingenetico, cioè di rigenerazione di un "mondo nauseabondo e putrescente". I brigatisti, ovviamente, vedono sé stessi tra i giusti che rovesceranno questo mondo e lo rinnoveranno. La loro mentalità è a codice binario e si fonda su una dicotomia netta tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, con il corollario della necessaria eliminazione del "nemico". E nemico è, ovviamente, chiunque collabora con il "sistema". L'universo si divide in due: i carnefici dell'umanità (i capitalisti e i loro collaboratori) e i giustizieri (i brigatisti). Il brigatista si dice "costretto" alla violenza perché il "sistema" lo opprime e non gli lascia vie di fuga. Bersaglio dell'odio dei terroristi sono poi - ancora più dei veri e propri capitalisti - i riformisti, perché non puntano a un rovesciamento dell'ordine esistente, ma a un suo progressivo miglioramento. Da un punto di vista psicologico, il brigatista è un "individuo marginale" - e non necessariamente emarginato, perché la marginalità, diversamente dall'emarginazione, è uno status dell'animo che può colpire anche chi ha uno status sociale elevato, quando qualcuno riteine che il suo ruolo nella società sia inferiore ai meriti o alle capacità che si attribuisce, ingenerando così una condizione di perenne frustrazione.
Alessandro Orsini parla di una "pedagogia dell'intolleranza" che, a poco a poco, trasforma il ribelle in rivoluzionario di professione e stabilisce un modello, che chiama "DRIA", a quattro fasi, con cui gli eversori raggiungono il loro obiettivo: 1) disintegrazione dell'identità sociale, 2) ricostruzione della mentalità a codice binario, 3) integrazione nella setta, 4) alienazione dal mondo circostante. Entrando nella setta rivoluzionaria, l'individuo marginale ritrova la società perduta e il gruppo prende il sopravvento sull'individuo.
Questo sistema psicologico non agisce però nel vuoto. La nascita delle Brigate rosse avviene in un'epoca della storia italiana in cui i processi di modernizzazione del paese sono tanto bruschi da cambiarne il volto nel giro di pochi anni, costringendo gli individui a una rapida "conversione culturale". Esiste cioè una tensione tra la rapidità con cui muta la "cultura materiale" e la lentezza della "cultura adattiva", che fa sì che si crei un "proletariato interno" (inteso come classe psicologica, ancora più che sociale) pronto ad accettare soluzioni radicali contro l'ordine esistente. Orsini sottolinea che l'esperienza delle Brigate rosse non piove dal cielo o non spunta dal nulla, ma s'inserisce in una tradizione rivoluzionaria ben specifica: "Tutte le categorie interpretative di cui si avvalsero le Brigate rosse sono ricavate, in blocco, dalle opere di Marx e Lenin. Il che è quanto dire che la visione del mondo delle Brigate rosse fu, né più, né meno, la visione che Marx e Lenin ebbero della storia e della convivenza umana. [...] I brigatisti recepirono alla lettera la lezione di Marx e Lenin, secondo cui il capitalismo nasce dalla violenza, si alimenta dalla violenza e potrà essere abbattuto soltanto con la violenza". La possibilità della lotta armata, quindi, è presente sin dall'inizio e non è, come sostengono alcuni studiosi, soltanto una reazione posteriore alla strage di piazza Fontana. Non è il prodotto di un cosiddetto "blocco di sistema": accettare questa interpretazione - ribadisce l'autore - significa negare che un'ideologia possa essere motore delle azioni umane.
E il Partito Comunista Italiano? Secondo Orsini, che lo documenta con dovizia di testimonianze, attraversò due fasi. Nella prima, quando vuole accreditarsi come partito sinceramente rivoluzionario, soprattutto presso i giovani che sono in fermento, sposa un'esaltazione della violenza eversiva, cavalcando anche le frange più radicali del movimento studentesco. Il terrorismo rosso è, in questo momento, ancora in fase d'incubazione e il Pci si abbandona volentieri alla retorica rivoluzionaria, proponendosi come partito "anti-sistema" (numerose sono le dichiarazioni incandescenti di funzionari di partito come Longo o Occhetto) e identificando lo "stato borghese" con la Democrazia Cristiana, non di rado assimilata al fascismo e alla dittatura tout-court. In un secondo momento, invece, avviene una sorta di "cortocircuito politico-ideologico": il Pci diventa sì il difensore intransigente della democrazia italiana e delle istituzioni, ma senza condannare in via di principio la possibilità di ricorrere alla violenza per instaurare il socialismo - è quello che Orsini definisce il paradosso del "riformismo leninista". Espressione massima di questo cortocircuito è un'intervista rilasciata da Berlinguer alla Repubblica nel luglio 1981 in cui "riesce, all'interno del medesimo discorso, a sviluppare una critica radicale del 'sistema', fonte di ogni male, e un elogio dei suoi 'pilastri' fondamentali (mercato, iniziativa individuale, impresa privata)."
Nell'ultima parte del suo saggio Orsini si addentra nella storia e individua i "maestri" (e i predecessori) delle Brigate rosse, coloro che hanno ugualmente coltivato e perseguito il mito di un "regno felice alla fine dei tempi", per mostrare che si tratta di una concezione ideologica che non è spuntata dal nulla. Ecco allora che vengono elencate le esperienze di terrore rivoluzionario di Thomas Muentzer, nella Germania del sedicesimo secolo; Giovanni da Leida (o Jan Bokelszoon) a Muenster nella prima metà del Cinquecento; il movimento puritano e la Rivoluzione inglese; la rivoluzione giacobina in Francia a partire dal 1793 - con cui l'idea di rivoluzione si distacca del tutto dalla sua matrice religiosa -; Babeuf e la "congiura degli Uguali" - il cui "Manifesto degli Uguali", redatto da Sylvain Maréchal, potrebbe tranquillamente essere scambiato per un documento brigatista -; Karl Marx che, con il suo sogno pantoclastico, "può essere considerato a tutti gli effetti il più importante rivoluzionario gnostico della storia, oltre che uno dei più importanti teorici della pedagogia dell'intolleranza"; il populismo russo di Herzen, Bakunin e Cernysevskij. Poi, dopo avere individuato questi precedenti storici, Orsini dedica un capitolo ai "purificatori" che invece sono riusciti a conquistare il potere e descrive quello che è successo nelle società da loro create dopo aver distrutto quelle antecedenti: Lenin, che teorizzava l'uso doveroso della violenza contro chi non si identificava con la causa comunista e lo sterminio dei nemici, principio che applicò con scrupolo quando giunse al potere - e Orsini sostiene giustamente che in Lenin il ricorso al terrore non fu un fatto straordinario, bensì un tratto essenziale della sua cultura politica, ancora prima dell'avvento di Stalin: "Il regime staliniano non fu una 'rivoluzione tradita', ma una promessa mantenuta" -; Mao che, con la sua rivoluzione culturale, vuole creare l' "uomo nuovo"; Pol Pot e la rivoluzione cambogiana, che ha rappresentato la più grande "bonifica" nella parabola storica dello gnosticismo rivoluzionario - "Per intransigenza, ambizione e radicalità, la rivoluzione cambogiana è andata oltre ogni altro esperimento rivoluzionario. Nel volgere di pochi mesi, Pol Pot impose la scomparsa di tutte le istituzioni politiche, sociali, religiose ed economiche", abolendo moneta e proprietà privata e desertificando le città. E' in questa costellazione che va letta l'esperienza delle Brigate rosse - o, per riprendere una frase del terrorista rosso Alberto Franceschini: "Se avessimo conquistato il potere, avremmo fatto impallidire anche Pol Pot".
Ma c'è stato anche un terrorismo nero, di destra, si dirà. E' vero - e anche se questo esula dall'argomento del libro, ai "brigatisti neri" Alessandro Orsini dedica un'appendice del suo saggio, sottolineando le profonde analogie tra i rossi e i neri, per cogliere le quali occorre però liberarsi dell'approccio degli studi marxisti nel definire i fenomeni rivoluzionari, che sarebbero tali solo quelli che si battono per abolire la proprietà privata e la statalizzazione dei mezzi di produzione. In realtà "i purificatori del mondo non si riconoscono in base a ciò che vorrebbero costruire (il comunismo), ma in base a ciò che vorrebbero distruggere (il capitalismo). Il discrimine è nel furore pantoclastico e nell'odio per questo mondo". Per tratteggiare l'universo mentale dei brigatisti neri, Orsini presenta una sommaria descrizione delle idee di Julius Evola, che ne è stato l'ispiratore e l'ideologo più influente.