Verso sera, l'ultimo romanzo scritto da Corrado Ruggiero prima della sua scomparsa due anni fa, ha la grazia e l'incanto delle cose semplici ma intense. Cento pagine appena che riescono però a racchiudere e a dipingere con pennellate vivaci un microcosmo. In questo caso il microcosmo è quello di un paese, Nocera inferiore - il "palcoscenico nucerinese" a cui allude l'autore -, con i suoi abitanti, ovvero il coro, una vera e propria polifonia bachtiniana, che accompagna e commenta le vicende narrate.
Tutto ruota attorno ad Adelaide, detta Nenna o Nennella, una bellissima donna giunta ormai alle soglie della maturità e, a differenza di tutte le altre donne sue coetanee che abitano in paese, ancora prestante e seducente. All'inizio del romanzo la troviamo che compie il suo rito quotidiano quando, rimasta finalmente sola in casa dopo che il marito Errico e la figlia Cristina sono usciti, si mette davanti allo specchio a osservarsi e accarezzarsi il corpo. Da questo gesto il racconto procede a ritroso, con un lungo flashback che descrive l'incontro tra Adelaide, figlia di don Federico Martone, il notaio di Nocera, ed Errico De Conte, il quale, giunto a Nocera per fare il servizio militare come "nu tenentiello di complemento", ha deciso non soltanto di restarvi, ma ha finito anche per sposare l'affascinante Adelaide. Come scrive Ruggiero: "La gente se ne vulesse fùiere di notte da stu paese e chistu fa domanda di rumanere qua e di rumanerci per stare sotto alle armi!".
Come si può notare, caratteristica saliente di Verso sera è il linguaggio con cui è scritto. Per meglio rendere la voce della comunità di paese, Ruggiero ne riproduce la parlata, contaminando costantemente l'italiano "alto" con il dialetto nocerinese e adottando la tecnica del discorso indiretto libero. Lo scandalo dell'estraneo, Errico, che viene a destabilizzare gli equilibri del paese e rompe le uova nel paniere ai giovani locali che speravano di entrare nelle grazie di Adelaide suscita la gelosia e le invidie dei nocerinesi. E ne stuzzica la curiosità: perché si sono sposati in fretta e furia, forse lei è incinta, e quando arriva il pargolo? Leggendo, abbiamo la sensazione di essere davvero nella piazza di un paese di provincia e di cogliere, qui e là, i commenti delle malelingue: Errico è "nu piglianculo furastiero", "un cazzimei", qualcuno che "è arrivato a Nucera cu le pezze al culo e, mo, nge l'ha miso in culo isso a nuje doppo che nuje fessi fessi ng'avimmo apierto porte e purtune delle case nostre". Gli abitanti sono un unico corpo collettivo che avverte la presenza dello "straniero", quasi come se fosse un antigene. Il pettegolezzo, magari sussurrato a bassa voce e dietro le spalle dei diretti interessati, diventa la valvola di sfogo delle frustrazioni compresse, soprattutto quando Errico viene piazzato dal suocero a lavorare in una banca del capoluogo di provincia, Salerno, e lì comincia ad avere un giro di amanti con cui trastullarsi. Commenta sardonico il narratore: "Una sciummara di chiacchiere che salivano e scendevano a ondate per tutto il decumano. I cazzi miei e i cazzi tuoi. Meglio i tuoi, però, perché è noto anche lippis et tonsoribus che analizzare i cazzi degli altri è assai più sfizioso che passare sotto alla lente del microscopio i cazzi propri".
Concluso il primo flashback, lo sguardo torna a concentrarsi su Adelaide che, davanti allo specchio, scopre un piccolo nodulo sotto il seno destro. Ma - pensa lei - non c'è nulla di cui preoccuparsi, perché senz'altro si riassorbirà. Da lì la narrazione ritorna al passato e un secondo lungo flashback introduce un altro personaggio fondamentale nella storia della protagonista: Palmiero Francesco, detto Ciccio o Ciccillo, "il giovane di studio dal notaio Martone". Impenitente donnaiolo, coglie le allusioni di Adelaide e, obbedendo al "richiamo di sfessa", intreccia una relazione clandestina con lei. La prima volta in cui riescono a restare davvero da soli, in intimità, è descritta con semplicità, ma anche con un tocco molto sensuale: "[Lei] l'aspettava come si aspetta una cosa che si desidera da sempre e nun se sape manco che cosa è che s'aspetta. Il sapore acre e ferino della terra, essa. Isso, l'addore maliuso di nu sciore d'oriente, na malia che uno sape che esiste ma che nun ha mai visto di persona". E' come un destino che si realizza. Dicendo e non dicendo l'autore scrive poi: "Cristina De Conte nascette passati due anni dopo la sorpresa del matrimonio tra Adelaide e Errico e la sua nascita mettette definitivamente a tacere tutte le malelengue di Nucera".
Nelle ultime pagine il racconto torna al tempo presente e subisce un'accelerazione che fa precipitare tutto verso una conclusione tragica. Ma non voglio anticipare niente. Le ultime frasi tingono tutta la vicenda narrata - e i personaggi che ne sono stati protagonisti - di quella malinconia che contraddistingue certi crepuscoli. Tutto volge, con tono dolceamaro, verso quella sera cui allude il titolo. E il microcosmo così affettuosamente dipinto da Ruggiero diventa una metafora, in nuce, della vita: "Nucera, o la vita, è la prigione d'indove non te ne puoi scappare mai".