"I rivoluzionari-benestanti sono coloro che hanno abbracciato l'ideale rivoluzionario e che vivono nelle società del capitalismo avanzato". Così comincia Il rivoluzionario benestante, il pamphlet del sociologo Alessandro Orsini dedicato a questa figura che ancora impazza nella nostra società e che sicuramente tutti, prima o poi, abbiamo incontrato. Un pamphlet che ho scoperto grazie a questo post. Alessandro Orsini ha incontrato molti esemplari di questa specie in occasione delle sue ricerche per il suo saggio, più voluminoso, dedicato alle Brigate Rosse e al terrorismo politico in Italia: in quell'occasione si è reso conto di quanti "simpatizzanti" i brigatisti avessero ancora tra le persone di sinistra, disposte in qualche modo a giustificarli. Per non parlare poi di tutti gli esponenti di questa categoria che Orsini ha trovato tra i professori suoi colleghi all'università, individui che spesso creano un sistema chiuso per tenere fuori chi non la pensa come loro, indipendentemente dai loro meriti effettivi: l'importante è l'ossequio alla linea ideologica.
Il rivoluzionario-benestante, dunque, è l' "anticapitalista" per eccellenza, quello che attribuisce al capitalismo e alle società capitalistiche - concepite come entità monolitiche - tutti i mali della società (e molto spesso del mondo intero), malgrado egli stesso goda dei vantaggi possibili solo grazie al capitalismo. Scrive Orsini: "è un uomo che disprezza e, nello stesso tempo, beneficia di tutto ciò che il capitalismo ha reso possibile", "è - principalmente, ma non soltanto - il marxista delle società opulente". Guarda la televisione, usa il computer - e internet -, viaggia e va in vacanza, può scegliere liberamente che cosa leggere e che cosa dire, ma invece di apprezzare tutto questo e vederlo in una prospettiva storica - ovvero: non tutto è perfetto, ma ci sono stati dei progressi rispetto al passato -, dichiara che questo sistema è il "male", lo confronta con una società "ideale" - una sorta di agostiniana "città di Dio", scrive Orsini - e lo condanna in toto, pur godendone appieno i frutti. "Il rivoluzionario-benestante sente il dovere di dimostrare che il capitalismo è il peggiore dei mondi possibili". E' il suo modo di stare "fuori" pur essendo "dentro", una contraddizione che produce in lui una "dissonanza cognitiva" - cioè una frattura tra i suoi princìpi e le sue azioni - per sanare la quale deve mettere in atto una serie di strategie.
Orsini descrive poi i "processi di pensiero" che fomentano l'indignazione permanente, altra caratteristica precipua del rivoluzionario-benestante. Individua, per esempio, la memoria negativa, grazie a cui egli "ricorda benissimo tutto ciò che conferma la sua convinzione di vivere in un mondo orribile" e nutre "la sua passione smisurata per lo 'scandalo'".(E, detto per inciso, quanti non ne vediamo, ogni giorno, che hanno l'indignazione e lo scandalo in tasca per qualsiasi minima sciocchezza?). Poi c'è la correlazione ingannevole, per legare fatti e avvenimenti in modo da confermare che "il capitalismo sia la fonte di tutti i mali", perché "il rivoluzionario-benestante non vuole accettare l'idea che il capitalismo sia un'economia auto propulsiva capace di creare ricchezza dove prima non esisteva. L'assunto da cui parte è che, se qualcuno ha guadagnato, qualcun altro deve per forza averci rimesso". Infine, la sua è una mentalità a codice binario, programmata per riconoscere due categorie: bene e male. Egli è quindi un "puro" - o almeno si ritiene tale e, per mantenere intatta questa immagine di sé, è costretto a coltivare una doppia morale, istituendo un tribunale permanente in cui "alti discorsi e grandi proclami si pongono in aperto contrasto con lo stile di vita di chi li pronuncia". Tutto ciò - scrive Orsini - presenta aspetti penosi, esilaranti e drammatici.
Il rivoluzionario-benestante è un individuo collettivo, che ha bisogno di mettersi in scena per ottenere dal suo pubblico quella deferenza utile a mantenere una certa immagine di sé: "La maschera del moralizzatore ha il suo fascino. A chi non piacerebbe sentirsi migliore degli altri ed essere riconosciuto come tale? (...) L'io del rivoluzionario benestante coincide con la sua maschera oppure, se preferite, la maschera del rivoluzionario-benestnate è l'io che egli vorrebbe essere". E siccome non perde occasione per predicare quello che secondo lui è il sommo bene, occorrono anche delle strategie per "difendersi" da lui. Orsini ne elenca alcune, fornendo al lettore i dati storici necessari per smontare l'autorità morale che tre "figure mitiche" esercitano sul rivoluzionario-benestante, quelle che gli consentono di "credere che sia possibile distinguere tra un comunismo buono e un comunismo cattivo, rappresentato da Stalin e da tutti coloro che avrebbero tradito gli insegnamenti dei maestri". Queste tre figure sono Marx, Lenin e Che Guevara (anche se io, per ora, non ho mai trovato nessuno che inneggiasse a Lenin come modello, mentre tanti sono quelli che ancora coltivano il mito di Marx, tra gli intellettuali, e di Che Guevara, soprattutto tra i giovani). Orsini però mette in guardia chi voglia argomentare contro il rivoluzionario-benestante: egli resterà sordo agli argomenti altrui perché la sua è una "concezione escatologica della politica", che non è né arte del buon governo né, al limite, conquista del potere, ma "assalto al cielo" della felicità perpetua, purtroppo "ostacolat(a) dagli americani e dal WTO (...). Di più: il crollo del comunismo è colpa degli americani. Si pensi a Cuba. Quanto sarebbero stati felici e ricchi i cubani senza l'embargo imposto dagli Stati Uniti?".
Con tono scanzonato e leggero, infine, Alessandro Orsini descrive la dinamica con cui il rivoluzionario-benestante mette in atto i suoi "agguati" e predispone le sue prediche, fornendo anche un caso concreto in cui una semplice uscita in pizzeria con alcuni amici si è trasformata in una sorta di tribunale del popolo grazie all'opera di un'indignata rivoluzionaria-benestante. L'ostentazione di una presunta superiorità morale è possibile, in questi frangenti, solo se la vittima della discussione si presta alla discussione: bisognerebbe - suggerisce Orsini - impiegare le armi dell'ironia e rovesciare le carte in tavola, ribaltando le regole del gioco. "Quando il rivoluzionario-benestante si lancia nella sua arringa, avrete il potere di concedere o negare la vostra approvazione. A voi spetta il ruolo della giuria. Ed è un ruolo decisivo. La vittoria di un rivoluzionario-benestante è un fatto di audience". Negargli il ruolo che vorrebbe avere è il modo migliore per disinnescare i suoi agguati e far calare il sipario sulle sue velleità rivoluzionarie.
Per quanto mi siano antipatici i rivoluzionari benestanti, mi sembra una critica un po' facilona.
Posted by: Antonello | 06/02/2011 at 17:44
Non si giudica un libro da una sua presentazione. Il libro è lì, da leggere. E oltretutto è un pamphlet, che ha delle sue regole, e non un saggio ponderoso.
Posted by: stefano | 06/02/2011 at 17:50
Il sottotitolo dice "strategie cognitive". Interessante per me. Il bello è che con questi cognitivisti non clinici noi terapisti cognitivi non abbiamo nessun contatto. Zero tondo. Questo Orsini non lo avevo mai sentito nominare. Così come quell'altro delle trappole mentali.
Posted by: GMR | 08/02/2011 at 16:07
Sarebbe interessante sapere cosa significa "coltivare il mito di Marx".
Posted by: Matthaei | 08/02/2011 at 20:31
Il rivoluzionario benestante è un "Integrato" che si atteggia ad "apocalittico".
Posted by: Angelo Ventura | 12/02/2011 at 07:24
effettivamente è un tipo psicologico molto frequente in alcuni ambienti
smontare le loro tecniche argomentative è un lavoro di intelligenza
grazie per la segnalazione: acquisterò questo "vaccino"
paolo ferrario
Posted by: paolo ferrario | 12/02/2011 at 09:23