Divorare un libro in due giorni, non vedendo l'ora di avere un po' di tempo libero per riprenderlo in mano, non sempre è garanzia della sua qualità letteraria, ma certamente lo è della sua leggibilità. Poi ci sono casi particolari, in cui qualità e leggibilità si combinano in una fusione esemplare, come è il caso di A Mosca, a Mosca! della slavista Serena Vitale.
Libro di ricordi sui generis, molto liberamente costruito senza seguire un ordine cronologico rigoroso, comincia con il primo soggiorno di Serena Vitale a Mosca, nel 1967 quando era ancora studentessa all'Università di Roma, e quando Mosca era ancora la capitale dell'Unione Sovietica, impero comunista nella plumbea era brezneviana. Lei e tre amiche approdano all'MGU, l'università statale moscovita, in uno dei sette grattacieli che svettano sulla città, e subito fanno la conoscenza dei misteri burocratici, dei trucchi indispensabili per sopravvivere nella società sovietica e dell'inevitabile corruzione che la pervade. E soprattutto impara quando bisogna parlare e quando bisogna stare zitti per non attirare l'attenzione dell'onnipresente KGB. Ma oltre alle descrizioni di questa società colpiscono i ritratti, vivaci e affettuosi, delle persone e degli amici, spesso celebrità del mondo della cultura, che Serena Vitale incontra durante questo e i successivi soggiorni nella capitale sovietica. Malgrado gli episodi di cui è testimone o che le vengono raccontati siano tragici, il tono che l'autrice adotta è sempre sobrio. Serena Vitale ha inoltre la grande capacità di cogliere l'aspetto grottesco - forte dell'esempio di certi classici russi come Gogol' o Cechov, forse - della realtà sovietica: si pensi, per dire, alle pagine in cui racconta il rientro in Italia provvista di una lista di oggetti da comprare per i suoi contatti moscoviti, lista che getta la madre nel panico. A volte bastano un'immagine o una frase per evidenziare la drammaticità di certi destini: non occorre ricamarci troppo sopra, perché le storie parlano da sé. Gli anni poi passano, le visite a Mosca si succedono - con una puntatina anche a Leningrado -, arrivano Gorbaciov e il dissolvimento dell'Unione Sovietica e Serena Vitale regista anche i mutamenti odierni, non rinunciando per esempio a visitare il quartiere di Rubljovka, dove abitano i ricchi oligarchi della nuova Russia. A interrompere brevemente questa narrazione, che non è soltanto autobiografica (o non lo è in senso puramente "ombelicocentrico"), ci sono due cosiddetti "controtempi", dedicati l'uno alla vodka e alla passione tutta russa per il bere (spesso come modo per lenire i colpi di una realtà troppo dura o assurda), e l'altro alla doktorskaja, il salume più pregiato dell'era sovietica, che diventa il simbolo della costante carenza nell'approvvigionamento di alimenti di qualità. In appendice al testo, Vitale inserisce un piccolo glossario biografico contentente "brevi notizie sui personaggi della storia russa, letteraria e non", utilissimo e, a modo suo, impressionante quando, leggendo molte di queste note, scopriamo quanti - pur essendo inizialmente comunisti e avendo partecipato alla rivoluzione d'ottobre o alla fondazione dell'Unione Sovietica - sono stati incarcerati, esiliati e/o fucilati. L'unica cosa su cui avrei da eccepire e che trovo spiazzante è l'originale sistema di traslitterazione dal cirillico adottato dall'autrice, diverso da quello abitualmente usato nei testi italiani, giustificato in quanto più comprensibile ai lettori italiani rispetto a quello tradizionale. In ogni caso, un libro da cui traspare l'amore e il rispetto di Serena Vitale per la Russia e per la sua cultura, in grado di affascinare il lettore anche soltanto vagamente curioso di "cose russe".
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