Delle tante cose che mi ha detto M. l’unica sera in cui ci siamo parlati e di cui serbo memoria, malgrado fossero state dette senza l’intento di lasciare segni sull’interlocutore, cioè me, ripenso in particolare a una che, a distanza di tempo, mi sembra contenga una buona dose di verità. M. mi diceva che sentiva i sintomi dell’innamoramento quando gli veniva voglia di dormire con qualcuno. E per dormire non intendeva di certo scoparci e basta, ma proprio andare a letto, chiudere gli occhi, e risvegliarsi la mattina dopo con quella persona accanto. Ci ho ripensato in questi giorni un po’ perché stavo leggendo il romanzo di Kawabata e un po’ perché lui è stato - credo - l’ultima persona che mi avesse fatto venire questa voglia, anche se quella notte me ne sono tornato a casa attraversando la città in bicicletta (e sbagliando pure strada). Da allora non mi è più successo - o comunque non con la stessa intensità, o forse non essendoci mai andato più così vicino, mi sono limitato a soffocare questo desiderio ancor prima che nascesse. Certo è che negli ultimi tempi, invece, mi stupisce quasi che io possa desiderare di dormire con qualcuno. O se lo desidero, lo faccio solo “astrattamente” ed è quindi un desiderio avulso da una persona concreta: mi capita più spesso che, svegliandomi la mattina, pensi che sarebbe invece irritante dover condividere il letto con un amante, come se la mia stessa mente respingesse la possibilità di una presenza troppo fisica, troppo concreta, troppo costante. Anche questo è un sintomo della fase di contrazione e di distacco emotivo dalle cose che sto attraversando. Però, in questi giorni - sempre in concomitanza con la lettura di Kawabata - ho anche ripensato all’unica notte in cui, qualche anno fa, ho dormito con E. Ci ho ripensato con nostalgia e con quel rimpianto riservato alle cose che potrebbero accadere - che hanno già una storia nei nostri progetti -, ma che poi s’infrangono contro il muro della realtà. Ho ripensato a come era accaduto in maniera del tutto imprevista, come un succedersi di microeventi che s’incastrano l’uno dopo l’altro: un incontro casuale suscitato da una curiosità, il sesso, una cena, una chiacchierata, la mia stanchezza quando era giunta l’ora di tornarmene a casa (in bicicletta anche quella volta) e il suo invito a restare a dormire con lui, l’addormentarsi abbracciati, il risveglio con la pioggia (e con un pompino, cosa che normalmente non farei di primo mattino, ma che quella volta chissà perché mi era venuta voglia). E poi il più-niente dopo due settimane in cui non ci siamo potuti vedere. Quell’unica notte, senza conferme né smentite, si è prima stagliata luminosa nella notte delle esperienze che si accumulavano una dopo l’altra e poi, a poco a poco, si è smorzata fino a spegnersi. Fino, appunto, all’altro ieri, a cui ho dedicato un pensiero colmo di nostalgia: l’unico momento in cui la mia attuale irritazione ha subìto un breve scossone. Poi - con un gesto tipico di stizza da parte mia verso me stesso - mi sono detto, vedendo per puro caso delle fotografie che ha pubblicato - quasi per una assurda coincidenza - in rete proprio questa settimana, che non poteva proprio esserci storia, che saremmo stati assolutamente incompatibili e che tra di noi non c’era proprio niente in comune. E in quel dispetto si è anche insinuata una punta di disprezzo, quello che destiniamo a tutto ciò che, malgrado e dopo tanto desiderio, sappiamo non sarà mai nostro. A tutti tocca, prima o poi, dirsi che l’uva è troppo acerba - ma io ancora non so se questo mi consola o no.
hai descritto in maniera mirabile quello che sempre più spesso mi passa per la testa, da tanto tempo non riesco più a rilassarmi così tanto, a fidarmi così tanto da poter dormire con qualcuno, l'ho sempre trovata una cosa più intima che il farci l'amore
Posted by: zefirina | 15/09/2010 at 10:56