Si configura una sorta di "conflitto di interessi" se un traduttore parla bene di un libro che ha tradotto e ne consiglia, eventualmente, la lettura? E' quello che vorrei fare con La biblioteca dei libri proibiti di John Harding, che uscirà dopodomani per Garzanti. Del resto, che venda cento copie o centomila, a me non viene in tasca un centesimo di più. Però ho voglia di scrivere un paio di cose su questo delizioso romanzo.
Per la trama, rimando direttamente al sito della casa editrice. Però vorrei aggiungere un paio di cose che lì non si dicono. La prima è che La biblioteca dei libri proibiti è una parodia - nel senso proprio del termine - del famoso racconto gotico di Henry James, Il giro di vite. Non soltanto è una storia di fantasmi, ma persino i nomi dei protagonisti sono ricalcati sul testo originario di James. Protagonisti del romanzo di Harding sono Florence - la ragazzina che è anche la voce narrante - e il fratellino minore Giles, che abitano a Blithe House: come non riconoscervi i Flora, Miles e Bly dell'opera di Henry James? Al contempo, Harding rende anche omaggio alla letteratura e alla sua potenza facendo della biblioteca, il cui accesso era stato vietato a Florence dallo zio assente, un luogo misterioso e centrale nello sviluppo precoce dell'intelligenza e dell'autonomia della protagonista.
Non rivelerò il finale del romanzo, che è stato piuttosto sorprendente anche per me, ma mi limito a dire che è ambiguo e getta una nuova luce su tutto ciò che si è letto fino a quel momento, costringendo il lettore a reinterpretare tutto. Forse ciò che pensavamo di sapere non è esattamente quello che è accaduto. E la storia di fantasmi - la nuova istitutrice, ricordo, sarebbe secondo Florence il fantasma dell'istitutrice precedente morta in un incidente sul lago - si sta svolgendo forse solo nella mente della protagonista. Perché a me pare che sia questo il fatto centrale: tutta la vicenda è narrata dalla prospettiva di Florence, in prima persona, e il lettore, a poco a poco, si lascia irretire da lei e ne assume il punto di vista, grazie anche all'apparente ingenuità della sua voce. Solo alla fine si opera un ribaltamento che fa nascere il sospetto che Florence sia la tipica "narratrice inaffidabile", la cui bontà nasconde invece qualcosa di più sinistro, invisibile persino ai suoi stessi occhi. Chi si aspetta il dénouement del mistero e la spiegazione di tutti gli eventi rimasti fino a quel momento senza spiegazione rischia di restare deluso. Il male compiuto si riassume nell'immagine del corvo nero sulla neve bianca che, nella pagina conclusiva del romanzo, viene osservato dall'alto e si riduce a un minuscolo puntino, trascurabile. Immagine che, tra l'altro, l'editore inglese ha usato per la copertina del libro.
Altro aspetto affascinante del romanzo di Harding, soprattutto per il traduttore, è il linguaggio estremamente personale usato dall'io narrante Florence. Florence è una ragazzina prodigio che, a forza di frequentare i grandi della letteratura inglese - in particolare William Shakespeare, per cui nutre una vera e propria venerazione -, decide di crearsi un linguaggio tutto suo. Il suo modello è infatti Shakespeare: come lui, anche lei stabilisce di "inventarsi" le parole quando queste ancora non esistono. Harding è notevolmente aiutato, in questa operazione, da una peculiarità della lingua inglese che consente, per esempio, di trasformare qualsiasi aggettivo o sostantivo in verbo senza doverlo modificare, ma semplicemente usandolo nella posizione del verbo. In italiano questo non è possibile se non ricorrendo a prefissi e suffissi e, spesso, modificando il lemma originario. Tanto per dare un paio di esempi concreti: Florence dice sempre che la prima istitutrice "tragedied" ("è tragediata") sul lago e, quando è preoccupata o ansiosa per qualcosa, scrive solitamente cose tipo "I anxioused that..." ("Ansieggiavo che..."). Oppure quando vede la governante in poltrona scrive che è "armchaired" ("appoltronata"). Il problema, per il traduttore, è capire quanto si può spingere a giocare con la lingua italiana inventandosi parole così: quello che in inglese s'inserisce tranquillamente nelle possibilità semantiche della lingua rischia, in italiano, di suonare troppo artificioso. Con l'editor responsabile, quindi, avevo concordato di cercare di mantenere parte di queste creazioni linguistiche, a patto che non dovessi lambiccarmi il cervello per partorire qualcosa che poi appesantisse troppo il flusso narrativo. Poi, a romanzo stampato, mi sono accorto che in fase di editing, in molti casi, il registro è stato ulteriormente normalizzato e questo è un po' un peccato, perché il romanzo di Harding ha un suo fascino e una sua freschezza anche proprio per questa idiosincrasia linguistica di Florence (la quale, oltretutto, lo fa di proposito: il suo non è un uso inconsapevolmente errato dell'inglese).
Un'ultima osservazione riguarda il titolo della traduzione italiana, che non ho scelto io - come quasi sempre accade. Io sono abbastanza un purista, al riguardo, e ritengo che il titolo scelto dall'autore sia parte integrante dell'opera e che, in quanto tale, meriterebbe di essere conservato anche nell'edizione italiana. John Harding ha scelto un semplice "Florence e Giles", dai nomi dei due protagonisti, che è diventato un più titillante "La biblioteca dei libri proibiti". Non vorrei che la ricerca di questi titoli a effetto finisse per creare nei potenziali lettori delle aspettative che poi vengono frustrate.
se un libro viene acquisito per certe sue caratteristiche, anch'io non capisco perché poi cercare di sminuirle in ogni modo nell'edizione italiana... temo sempre che i lettori cui potrebbe interessare poi non lo trovino in libreria! ma noi puristi non abbiamo futuro... (peraltro è facile fare i puristi non avendo la mannaia del commerciale sul collo :o)
Posted by: rose | 24/08/2010 at 17:07
Un antico vizio questo di stravolgere i titoli per presunte esigenze marchettare.
Posted by: aitan | 26/08/2010 at 10:08
In generale io credo che le strizzate d'occhio via titolo si possano anche dare, è come dire, una libertà che l'editore può godersi sull'originale, perché tanto, anche una traduzione letterale, cadendo in tutt'altra situazione culturale e linguistica, è comunque, passami l'abusato gioco di parole, un tradimento. L'autore è molto attento al titolo del suo libro nella sua lingua, e infatti si narra di grandi litigate con gli editori sui titoli (spesso con l'autore dalla parte del torto), meno per le traduzioni. Onestamente "Florence e Giles" non sarebbe stato il più bel titolo pensabile, anche perché da noi i personaggi del racconto di James parodiato non sono così noti e non verrebbero in mente in prima battuta forse neanche ai lettori colti.
Il guaio è quando la strizzatina è fuorviante, come forse qui, dove uno pensa subito alla Rilegatrice dei libri proibiti, o ai Custodi del libro o peggio alla Biblioteca dei morti, recenti successi giocati però su tutt'altri elementi narrativi, mi sembra. Cioè, ammiccamento sì, ma non per ingannare il lettore.
Posted by: finO | 29/08/2010 at 14:34