In certi casi non occorrono grandi manovre per opporsi a un'islamizzazione strisciante, ma bastano piccole correzioni per segnalare che noi teniamo alla libertà di autodeterminazione dell'individuo. Qualche giorno fa il comune di Laives, in provincia di Bolzano, ha negato il matrimonio a una coppia - lei marocchina, lui italiano - perché non era arrivato il nullaosta al matrimonio dalle autorità del Marocco, la cui legge prevede che una cittadina marocchina possa sposare soltanto un musulmano. Perché il matrimonio potesse celebrarsi, dunque, sarebbe stato necessario che l'italiano si convertisse all'Islam. A quanto pare, questa non è un'eccezione, ma la regola, e non riguarda soltanto il Marocco ma anche altri paesi musulmani, come la Tunisia. La gravità della cosa consiste nel fatto che fino a oggi le autorità italiane hanno applicato queste disposizioni, il che equivale a introdurre surrettiziamente un elemento di sharia nella prassi. Non dobbiamo infatti pensare che sharia significhi solo tagliare le mani ai ladri o lapidare le adultere: c'è sharia quando la legge di uno Stato trova il suo fondamento nei princìpi dell'Islam e del Corano. In questo caso la sharia finisce per avere conseguenze molto concrete per un cittadino che non soltanto non è musulmano, ma che non è nemmeno marocchino, al di fuori dei confini del Marocco. Già è ben poco laico che uno Stato permetta ai suoi cittadini di sposarsi solo se aderiscono a una determinata religione - l'Islam, nel caso specifico -, ma per quanto sgradevole non intendo sindacare se lo fa all'interno dei suoi confini e con i suoi cittadini (almeno finché non si arriva alla brutalità della legge del taglione o della lapidazione). La faccenda, però, diventa più inquietante se lo pretende da uno straniero e per di più all'estero, dove le sue leggi non dovrebbero avere alcun imperio. Inoltre è fonte di preoccupazione pensare che questo avvenga da parte di paesi musulmani più aperti, come il Marocco o la Tunisia, che almeno in teoria non sono dominati da islamisti in stile Hamas o Hizbullah.
Esiste però il modo di opporsi e non soltanto ricorrendo all'articolo 3 della Costituzione - quello che stabilisce il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge -, come per ora farà l'avvocato della coppia di Laives. Credo infatti che la Camera abbia fatto la cosa giusta approvando, nei giorni scorsi, una modifica dell' articolo 116 del codice civile con cui si cancella l'obbligo all'abiura della propria religione, se vuole ottenere il nullaosta dalle autorità del Paese della sposa. In questo modo, se dopo novanta giorni manca il nullaosta, si potrà procedere comunque alla celebrazione del matrimonio. Quando in passato avevo messo in guardia dai pericoli rappresentati dall'Islam qualcuno mi aveva chiesto, con l'intenzione di punzecchiarmi, che cosa avremmo dovuto fare per rimediarvi. Ebbene, questa semplice modifica a un articolo del codice civile è un'operazione da nulla, quasi banale, priva di violenza, ma è anche il segno di uno scatto d' "orgoglio" e del rifiuto di cedere, a spizzichi e bocconi, la nostra sovranità.
Sono felice di vedere che hai ripreso questo tema. L'altr'ieri quando lessi la notizia restai stupefatto e mi chiesi come mai le autorità della Repubblica soggiacessere ad assurdi quanto antiquati strumenti come i nullaosta del paese di origine di uno dei nubendi. Ti dirò di più, non era neanche necessaria l'abrogazione della necessità di nullaosta: sarebbe bastato chiedere un certificato di stato civile dal paese di origini che dichiari che il nubendo non è coniugato. Comunque finchè non si introduce un discorso chiaro e una prassi diffusa di laicità nel nostro paese queste cose continueranno a esistere, basti pensare ai riconiscimenti degli annullamenti di matrimonio di competenza dei tribunali ecclesiastici. Qualcuno potrebbe cominciare a chiedere che vengano riconosciute le sentenze di divorzio concesse da tribunali sharia, per un principio di equità di trattamento tra religioni ! come purtroppo qualche incauto giudice inglese ha già preconizzato che avverrà nella (un tempo?) civilissima Inghilterra.
Posted by: avi | 24/06/2010 at 13:03
Tunisia e Marocco sono soltanto apparentemente paesi "più aperti". Con questa storia del nullaosta mettono i bastoni fra le ruote anche ai loro cittadini maschi all'estero che desiderano sposare un'altro uomo, casi registrati in Danimarca e Paesi Bassi. Le bigotte autorità locali non rilasciano il nullaosta, o non inviano i documenti richiesti, quando si rendono conto che un loro Ahmed desidera sposare uno Jaan o un Thorvald...
Posted by: d. | 25/06/2010 at 06:09