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25/06/2010

Comments

avi

[Ezri era già stato cacciato da un'altra yeshivah per analoghi motivi di scandalo e perché respinto dal suo amante haredi]

Non è solo il fatto che "il modus vivendi pervasivo e totalitario" che caratterizza il mondo degli haredim renda non concettualizzabili altri stili di vita o altre possibilità di realizzazione personale al di fuori della comunità di origine. Questo può capitare e capita in qualsiasi comunità chiusa, per motivi di formazione e di educazione, come tu dici.

Per gli haredim la comunità è l'unica realtà, la realtà in cui vivono i non- haredim semplicemente è una non-realtà,un mondo simile alla maja schopenhaueriana: in casi come questi la dimensione della fuga è antropologicamente non ipotizzabile perché mancano al soggetto quei meccanismi mentali che gli permettono di vedere il mondo in cui è immerso come uno solo dei molti mondi possibili. Questo stesso fenomeno avviene in tutte quelle comunità chiuse a base quasi sempre religiosa che creano microcosmi autosufficienti in opposizione alla società generale, che anzi si autodefiniscono in rapporto a essa: hamish, mormoni, mennoniti, in parte i testimoni di geova, e soprattutto la stragrande maggioranza delle comunità islamiche in senso lato che non si sono lasciate nemmeno superficialmente secolarizzare. Non è tanto una questione di credo religioso, quanto piuttosto, in senso antropologico, di mentalità clannica, tribale, di phylum, che spiega perché in tutti questi casi spesso persone che sono tormentate da o perseguitate a causa della loro omosessualità non riescono comunque ad abbandonare la comunità che pure li tormenta e li punisce. Fuori da lì sarebbero letteralmente dei "pesci fuor d'acqua".

d.

A mio avviso: Ezri è un "grande fingidor". E' più deciso e sicuro di quanto non voglia far credere agli altri. Ed è anche un po' un parassita, in fondo si trasferisce a Gerusalemme perché sì cacciato dalla sua yeshiva (si immagina sempre per comportamenti "impropri"), ma anche perché non vuole rassegnarsi e non accetta il rifiuto del precedente amante che a più riprese continua infatti a "tampinare", a casa del quale forse voleva anche trasferisi. Casualmente si imbatte nel macellaio e subito intuisce che questi potrebbe essere la sua prossima vittima, in quel giorno di improbabile pioggia (chi non ha notato che in realtà il sole spaccava le pietre durante le riprese e la pioggia era fittizia?). Quando realizza però che non c'è più trippa (kosher) per gatti... sacco in spalla e se ne va senza esitazioni.

Sempre a mio avviso: Aaron alla fine non si suicida, perché dovrebbe farlo? Ha fatto pace con la sua mogliettina, le ha giurato che in casa quella "cosa" non l'aveva fatta entrare. Alla fonte ci torna nuovamente proprio per mondarsi dalle sue colpe, ritualmente. L'istinto di conservazione non permetterebbe certo che uno affoghi semplicemente immergendosi nudo in acqua trattenendo il respiro... fosse così semplice! Si sarebbe dovuto dare prima una bella botta alla testa e poi legarsi un masso al piede se voleva affondare per non riemergere più.

stefano

Ma che perfido... Si vede che non credi all'aMMore, quello con la M maiuscola :)

endimione

Anche io, come d., avevo pensato che - se anche il regista suggerisce poeticamente il suicidio di Aaron - tecnicamente è impossibile. C'è una bella pagina di "The bell jar" in cui Sylvia Plath descive un suo (uno dei vari) tentativo di uccidersi semplicemente lasciandosi affogare al largo della costa di Cape Cod, mi pare. Non ci riesce, semplicemente l'acqua la respinge a galla. Per quanto lei si sforzi di riempirsi i polmoni d'acqua, la forza di reazione automatica del corpo e il principio di Archimede la salvano.

(Detto questo, penso che un regista abbia comunque il diritto di esprimere appunto "poeticamente" un evento anche se la cosa non è realistica).

Asa_Ashel

Ho visto questo film circa un mese fa in lingua originale, l'ebraico, lingua che non conosco e certi passaggi sottili mi erano sfuggiti, grazie quindi della recensione.
Proprio in virtù di questa mia visione limitata nella comprensione ho interpretato la scena finale del "suicidio" come l'unico modo di restare legato a un sentimento che proprio in quel luogo aveva iniziato a sciogliere i nodi dell'inibizione.

avi

Qualsiasi ebreo vedendo la scena finale capirebbe il senso di espiazione e purificazione a cui rimanda: l'immersione totale (quindi con sommersione, la halakha prescrive che nemmeno un capello deve rimanere asciutto) nel mikqweh (il bagno) si fa non solo nei momenti rituali (dopo le mestruazioni e il parto, prima del matrimonio...) ma anche tutte le volte che si vuole manifestare un segno di pentimento per le proprie azioni e di ritorno alla retta via (teshuvah).

stefano

Eh, ma per gli altri resta una certa ambiguità: voluta o non voluta, chissà, bisognerebbe chiedere al regista...

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