A Madrid ho fatto il turista: diversamente dalle città che bazzico abitualmente, non c'è da parte mia nessun processo di "identificazione", nessun desiderio o nessuna nostalgia residui per una città e un paese che conosco poco e di cui parlo così così la lingua. Non è, questo, uno svantaggio, ma al contrario un atteggiamento che mi permette di mantenere una salutare distanza e godermi le cose così come sono e poi, una volta finita la vacanza, tornarmene a casa senza grandi rimpianti.
L'albergo - anzi, l'hostal - che abbiamo prenotato è in calle Fuencarral, a poca distanza dalla Gran Vía, al margine di Chueca. Un po' perché è una zona che già conoscevo e un po' perché avevo voglia di restare nei pressi della "froceria" madrilena. In calle Fuencarral e dintorni è pieno zeppo di questi hostales a poco prezzo: abbiamo fortuna, perché il nostro è decente, pulito e ammodernato da poco. L'unica sorpresa è quando apriamo la finestra, che dà su un cavedio cieco di circa dieci metri quadri, con muri alti da tutte le parti, cosicché la mattina non riusciamo mai a capire che tempo faccia. Dell'hostal apprezzeremo anche il tipo alla reception, che risponde con dei monosillabi alle mie domande ed è allegro come un becchino a un funerale (ma che, quando vado a saldare il conto, si diverte a fare una battuta sul fatto che la nostra camera, la 212, costa esattamente 212 euro per le quattro notti e che va liberata entro le 12 del giorno dopo). E, naturalmente, il gatto nero stranamente "depilato", tranne che per la testa e le estremità delle zampe: silenzioso e inquietante.
La prima cosa che mi (ri)colpisce di Madrid - e che avevo quasi dimenticato - è la sua monumentalità. Appena depositati i bagagli in camera, usciamo subito per farci un giro lungo la Gran Via, percorrendola in un senso e nell'altro, prima verso plaza Cibeles e poi verso plaza de España, con tutto il suo turgore e la sua grandiosità franchista. Un'altra cosa che mi sorprende e a cui lì per lì non faccio caso, ma che verrà confermata nei giorni successivi, è la gran quantità di gente che per strada ferma i passanti in cerca di sottoscrizioni per varie organizzazioni umanitarie, dalla Croce Rossa al WWF, da Greenpeace all'Unhcr - tanto che a un certo punto mi verrebbe voglia di rispondere che a me invece piace inquinare e buttare le cartacce per terra e che della difesa della natura me ne faccio un baffo -, oppure, soprattutto la sera, i loschi figuri che cercano di rifilarci biglietti e volantini per strip-tease o spettacoli con donnine discinte (e non so se questi locali comprendano anche un "dessert" a pagamento dopo lo spettacolo in sé). A Chueca, invece, frotte di ragazzi vengono pagati per fare pubblicità ai vari locali gay e distribuire biglietti che promettono occasioni imperdibili, cocktail e birre a prezzi stracciatissimi. L'ultima sera ci fermiamo ad ascoltarne uno solo perché è piuttosto carino e simpatico: siccome lui gli ha subito detto di non capire lo spagnolo, io mi adeguo e lo costringiamo a parlare in un inglese stentatissimo - riesce a malapena a dire: "a glass of beer for two euros" - mentre fa delle smorfie che io trovo terribilmente sexy. E poi un altro a cui chiediamo indicazioni per andare a plaza de Chueca, visto che lì le vie si assomigliano tutte, e che si rivela essere italiano, spiegandoci che quella era la sua prima sera di lavoro.
In passato, malgrado due soggiorni a Madrid - il secondo dei quali l'avevo sfruttato per fare delle puntatine a Toledo, Segovia, El Escorial e Alcalá de Henares -, non ero mai stato al Prado. L'ho già detto e lo ripeto: questi musei giganteschi mi spaventano e non ne capisco il senso, soprattutto per i turisti, destinati comunque a una visita mordi-e-fuggi. Allo stesso tempo, però, servono a farmi sentire in colpa se non li visito ("Come? Sei stato a Madrid/Londra/Parigi/San Pietroburgo e non sei stato al Prado/alla National Gallery/al Louvre/all'Ermitage?"). Dovrebbero essere più dei luoghi frequentati dagli autoctoni, che potrebbero tornarci a più riprese e, ogni volta, vedere un determinato gruppo di opere. Il turista farebbe meglio a concentrarsi su due o tre opere, se vuole assolutamente vederle dal vivo. Insomma, siamo andati al Prado il primo giorno. Tre ore di permanenza (fin troppo poche per l'enormità del luogo, ma troppe per le mie capacità di resistenza fisica). Il secondo giorno abbiamo dedicato altre tre ore al museo Thyssen-Bornemisza e il terzo altre tre ore al Centro d'Arte Reina Sofia, concentrandoci stavolta solo sulla collezione permanente e ignorando completamente le mostre temporanee (per lo più fotografie di New York e fuffa contemporanea). A pensarci bene, però, una qualche utilità ce l'hanno, per me, queste visite museali. E non è tanto il poter vedere dal vivo, che so, la Guernica di Picasso, il Gran masturbatore di Dalì o Las Meninas di Velázquez - quadri così famosi, tra l'altro, da attirare frotte di spettatori che vi stazionano davanti creando veri e propri intasamenti -, ma lo scoprire qui e là dipinti di pittori a me ignoti, quadri che mi attirano e mi piacciono non perché lo devono fare e sono entrati nell'olimpo della storia dell'arte, bensì perché colpiscono qualche punto non meglio definito del mio gusto: penso per esempio alla Processione della morte di Solana, visto al Reina Sofia, o alle Tre età dell'uomo, di Baldung Grien, visto al Prado.
Negli scampoli di tempo rimastici dopo queste lunghe visite museali abbiamo passeggiato per il resto della città. Un pomeriggio l'abbiamo dedicato al tratto del paseo de la Castellana che arriva fino a plaza de Colon e che poi prosegue con il nome di paseo de Recoletos. Avremmo voluto fermarci a prendere un caffè al "Gran Café de Gijon, ma poi abbiamo optato per la terrazza all'aperto del caffè "del Espejo", dove io mi sono strategicamente appostato nei pressi del tavolo a cui si era seduto un ragazzo di cui mi ero istantaneamente innamorato (ma in realtà, passeggiando per la città, mi sono eternamente innamorato e disamorato più volte delle varie beltà che mi passavano davanti). Oppure siamo andati al Palazzo Reale - ma senza entrarci: sulla guida c'era scritto che si possono visitare cinquanta stanze sulle oltre duemila che lo compongono, al che io ho replicato: "O tutto o niente!" -, siamo passati davanti alle mura arabe, abbiamo visto l'irrinunciabile plaza Mayor e la puerta del Sol (in cui mi è tornato alla memoria il divertente romanzo di Eduardo Mendicutti Los novios bulgaros). L'ultima sera, sotto una pioggerellina sottile, abbiamo fatto due passi lungo la lievemente sordida calle de la Montera che, pur congiungendo la Gran Via con la puerta del Sol ed essendo quindi centralissima, è disseminata di prostitute da cima a fondo.
Ieri, il ritorno: atterrati a Milano abbiamo ritrovato la medesima pioggia che c'era alla partenza, a sottolineare ancora di più che il nostro soggiorno a Madrid è stato solo una breve incidentale tra due parentesi.