Da un paio d'anni ho ripreso a nuotare in piscina con regolarità e non più sporadicamente come facevo prima. E' un fenomeno curioso: più spendo energia nuotando, più mi sembra che la stessa energia spesa mi torni indietro e mi rivitalizzi. Quando esco mi sento invariabilmente di buon umore, anche se magari mi ero dovuto forzare un po' per uscire di casa, e a volte mi sembra persino di essere bello: forse nuotare possiede anche questi effetti lisergici. Però, siccome la monotonia mi annoia e siccome non ho orari di lavoro fissi, non vado sempre nella stessa piscina, ma cerco di variare scegliendole dal paniere di Milanosport. Ho fatto un abbonamento annuale - che è molto conveniente - e quindi applico l'economia di scala ammortizzandone il costo. Una vale l'altra? Non è proprio così.
La prima è stata la Bacone, non lontano da corso Buenos Aires, scelta perché era stata appena ristrutturata. Perfettamente pulita, il suo unico difetto è che lo spazio degli spogliatoi è troppo sacrificato e basta che ci siano tre persone insieme per non riuscire più a muoversi. Però, siccome è stata appena rifatta i pavimenti sono antisdrucciolo. La vasca è quella tradizionale da venticinque metri in cui si tocca ovunque - presumo dunque che la profondità sia di un metro e quaranta, più o meno -, con un numero sufficiente di corsie. Purtroppo, essendo così centrale, è sempre molto affollata se ci si va intorno all'ora di pranzo o la domenica mattina.
Altrettanto vicine a casa mia, se non di più, sono la Murat e la De Marchi. La prima è forse la più grezza tra quelle che bazzico. Situata in un parallelepipedo poco affascinante a breve distanza da piazza Maciachini, ha uno spogliatoio sufficientemente ampio ma molto elementare. La vasca ha le stesse dimensioni e profondità della Bacone, ma diversamente da quest'ultima non è mai troppo affollata (tranne forse la sera tardi, mi dicono, ma io evito di andarci a quell'orario). La De Marchi, che si trova sulla strada che porta a Greco, è altrettanto elementare: come la Murat - e diversamente dalle altre - non ha delle cassettiere a codice per il deposito dei valori, ma costringe il natante a chiedere la chiavetta alla reception (dove, per di più, chiedono anche un nome e il numero di telefono: non sia mai che qualcuno sia tentato di portarsela via). Nello spogliatoio non si può entrare se non togliendosi prima le scarpe e, in generale, è abbastanza a rischio scivolamento. La vasca è sempre di venticinque metri ma di profondità crescente, fino a circa un metro e novanta: non saprei valutarlo con precisione, so solo che l'acqua mi arriva più o meno sopra la testa se tocco il fondo con i piedi.
Le mie "piscine di scorta" sono infine la Suzzani, la Procida e la Solari. La prima è in fondo a viale Fulvio Testi, che resta comunque una delle mie preferite: ha spogliatoi ampi, ha docce che impediscono davvero di togliersi il costume perchè sono fuori dagli spogliatoi e quindi davanti alle docce degli uomini passano le donne per andare alle loro docce - e quando queste sono occupate, le prime vengono usate in modo promiscuo. La vasca è come quella della De Marchi, ma diversamente da tutte le altre vasche milanesi l'acqua arriva al bordo e non c'è una sorta di gradino che crea un dislivello tra vasca e pavimento, il che rende più facile issarsi quando bisogna uscire. L'inverno scorso ci sono andato spesso di mattina perché c'era un giorno - forse il venerdì - in cui, in alcune corsie, si tenevano dei corsi di nuoto agonistico - o così suppongo - e la classe era sempre composta da una quantità spropositata di bonazzi, che mi offrivano un piacevole spettacolo tra una bracciata e l'altra. Finché una mattina ho avuto l'amara sorpresa: c'erano solo ragazze perché probabilmente il corso maschile era finito.
La Procida, dietro alla Rai di corso Sempione, e la Solari, a poca distanza da via San Vittore, sono un po' fuori mano, ma la prima mi piace molto. Non soltanto per lo spogliatoio molto grande, ma anche per motivi che trascendono la struttura in sé, per così dire. Quando c'è il sole, infatti, la luce entra dalla grande vetrata a fianco della vasca dando all'acqua un riflesso azzurro molto intenso. Non so perché, ma la mia voglia di nuotare ne risulta stimolata. La Solari, invece, non mi sembra granché: è vero che ha spogliatoi grandi - ma con un pavimento scivoloso -, ma la vasca è troppo stretta e ha meno corsie delle altre piscine: basta che ci sia più gente del solito perché sia intasata.
Infine c'è la Cozzi, a un tiro di schioppo da casa mia, in viale Tunisia. L'ho evitata per tanto tempo perché mi impauriva. E' l'unica piscina in cui nella vasca maggiore non si tocca mai: la profondità dell'acqua va dai due ai quattro metri - e io ho sempre avuto terrore di "non toccare". Come se non bastasse, ha anche una lunghezza anomala: trentatré metri. La prima volta che ho vinto i miei timori e ci sono andato ho avuto un mini-attacco di panico: mi sembrava così strano gettare lo sguardo sott'acqua e vedere il fondo così in basso. Poi mi ci sono abituato ed è diventata la mia preferita. Ristrutturata da poco, ha spogliatoi molto ampi e comodi e una serie sterminata di docce. L'acqua, però, è spesso freddina: se da un lato è un difetto, dall'altro è anche un vantaggio perché ti costringe a nuotare senza fermarti. Oltre alla piscina in sé, la Cozzi, costruita negli anni trenta su progetto di Luigi Secchi, è bella anche per la grandiosità della sua architettura "fascista" in cui i suoi frequentatori non sono oppressi da quel senso di claustrofobia che provano nelle piscine più piccole.