[Non avendo voglia di scrivere, riproduco qui, con lievi modifiche, alcune riflessioni che avevo postato nel settembre 2004, convinto della loro attualità, per i nuovi lettori che allora ancora non conoscevano questo blog.]
Più della patria, più della propria donna o della propria madre, ho l'impressione che il maschio medio voglia proteggere l'intangibilità del proprio buco del culo, la porta del suo corpo che presidia e difende più strenuamente, come se fosse uno scrigno che alberga tesori inestimabili o il caveau di una banca svizzera. Il maschio medio ha il sacro terrore di essere penetrato da lì e lo spaventa pensare che quello possa essere un ingresso, oltre che un'uscita. Non si rende conto che anche quella è una delle vie d'accesso al suo corpo e si limita ad associarvi turpitudini e affronti, tanto che la pratica sodomitica (subìta e non attivamente esercitata, e comunque quasi mai realmente sperimentata) viene costantemente evocata come metafora di ogni possibile umiliazione. Mi chiedo se questa fascinazione in negativo non nasconda la segreta attrazione per un piacere che la sua (e nostra) cultura e la sua (e, spesso, nostra) educazione gli hanno insegnato a negare. (E, infatti, un bel manuale di un medico americano, Jack Morin, si intitola, nella traduzione italiana Il piacere negato, versione pudica del più esplicito originale Anal pleasure & health). C'è dunque, da parte loro, il timore che rilassando lo sfintere e permettendo che qualcosa superi quell'anello elastico, entrando nel loro sancta sanctorum, possano - o spavento supremo - provare piacere? E che cos'è questo orrore di fronte al piacere fisico se non il cascame, non più soltanto ideologico ma ben introiettato, di una cultura, cattolica in primo luogo ma non soltanto, che invece invoca il dolore, l'espiazione e il sacrificio come suoi capisaldi? O è forse il timore di essere additati come omosessuali, se si ammettesse di non provare vergogna all'idea di essere sodomizzati e se, anzi, si confessasse che una tale pratica è fonte di delizia? Perché la faccenda curiosa è proprio questa: si è stabilita un'indebita equivalenza tra prenderlo in culo ed essere omosessuali. Ma, ahimè, l'equazione è sbagliata o per lo meno approssimativa. Non tutti coloro che hanno scoperto come godere di culo sono gay - trovo infatti assai commoventi le lettere che scrivono ai sessuologi delle riviste di massa certi uomini inesperti che temono una loro deriva verso l'omosessualità solo perché ci han provato gusto quando le loro compagne o le loro mogli, per variare un po', l'hanno infilato a loro un dildo in quel posto - e non tutti i gay sanno godere di culo.
E' una verità non inedita e piuttosto banale, eppure quest'equazione persiste nelle menti degli sprovveduti e viene usata a mo' di clava per colpire noi che, in un modo o nell'altro, ci definiamo ancora omosessuali. I passaggi cancellati di un ragionamento che porta a questa conclusione (ovvero omosessualità=sodomia e sodomia=omosessualità) mi furono chiari quella volta che una ragazza, dopo essersi accertata che fossi gay, mi domandò, sia pure sotto l'effetto di un vinello bianco: "Ma non fa male?", e non credo si riferisse a qualche ferita dell'anima che mi portavo dentro. Non ebbi la prontezza di replicare che poteva verificare in prima persona, essendo anche lei fornita dell'apposito foro, ma la sua domanda fu illuminante e istruttiva.
Dal timore che i maschi hanno nei confronti della sodomia (e ripeto: passiva e praticata su di loro, perché loro il culo delle donne lo vogliono eccome) discendono, oltre all'equivalenza menzionata, anche altri corollari. Il primo è che tutti gli omosessuali sono macchine perennemente desideranti in cerca di un buco del culo innocente da violare. E qui si evidenzia una certa flessibilità del loro pensiero, perché pur di annaffiare la fragile piantina del loro pregiudizio, sono propensi ad ammettere che l'omosessuale sia disposto anche a praticarla attivamente, la penetrazione anale. E il culo innocente sarebbe il loro che, una volta sverginato, li trasformerebbe ipso facto in omosessuali, in una riedizione paranoica e sessuale del mito del vampiro. Da questo corollario hanno quindi origine i lazzi e gli scherzi, che si sprecano, quando si tratta di parlare di gay: e le mutande di ferro, la saponetta da non far cadere sotto la doccia, le chiappe da stringere, le spalle da guardarsi, il non dare mai la schiena al finocchio, l'inculata che a tradimento arriverebbe dal frocione di turno, sempre pronto all'arrembaggio dietro di loro. Il secondo corollario è appunto questo: il maschio medio, omofobo e poco cosciente delle potenzialità del suo buco del culo, ritiene che, per il solo fatto di essere egli un esponente del genere maschile, sia automaticamente preda ambita da parte di ogni gay che incrocia sulla sua strada. Ora vorrei tranquillizzare qualcuno di loro, nel caso in cui mi stesse leggendo: innanzitutto non ho mai sodomizzato nessuno a tradimento, approfittando di una distrazione della vittima. Ho un cazzo tra le gambe e non una trivella da piattaforma petrolifera. E, in secondo luogo, garantisco che la stragrande maggioranza dei rappresentanti del sesso maschile mi è totalmente indifferente. Spiacente, ma è la verità: potete quindi tranquillamente rilassare le chiappe e allargare lo sfintere.
A questo punto resta da chiedersi perché questi maschi abbiano tanta paura di essere sodomizzati e perché abbiano sacralizzato una parte del loro corpo tanto da temere meno la perdita della dignità che non la perdita della verginità anale. Anzi, non di rado, la prima finisce per equivalere alla seconda e "prenderlo in quel posto", declinato nelle sue numerose e fantasiose versioni, diventa l’insulto per eccellenza. Perché? Trovo una possibile risposta nel fatto che farsi penetrare, come indica il termine stesso, significa permettere a qualcun altro di entrare nel proprio corpo, cancellando così il confine consolidato tra il sé e il diverso da sé. Non si tratta più, in questo caso, di una "invasione psicologica", magari non accolta di buon grado ma accettata quando intervengono forze di causa maggiore – il lavoro subordinato, per esempio, con quel minimo (o, a volte, quel massimo) di prostituzione intellettuale e di svendita delle proprie potenzialità che esso implica – bensì di vera e propria "invasione fisica". I confini del nostro corpo sono anche i confini del nostro io e delimitano la nostra identità. Qualcuno mi faceva notare che l'equazione sessualità = penetrazione non è un'equazione omosessuale, ma un fenomeno che riguarda la percezione della donna da parte dell’uomo. Estremizzando: il sogno segreto – ma non tanto segreto, poi – dei molti veri maschi è di inculare la donna (credo che lo abbia rivelato quel fine sociologo e filosofo di Rocco Siffredi, in un’intervista in cui condannava certa pornografia estrema, dicendo che però, almeno in Italia, è indispensabile praticare la sodomia – alle donne, va da sé – perché è questo che il mercato richiede: gli spettatori italiani vogliono vedere rapporti anali, nei suoi film). La donna, insomma, agli occhi del maschio è l’essere penetrabile per eccellenza, cioè l’essere da invadere. E l’invasione avviene attraverso tutte le vie d’accesso disponibili. Un’affermazione di questo tipo rivela immediatamente anche la sua portata metaforica e, quindi, la realtà psicologica che si nasconde dietro all’atto puro e semplice. E’ perfettamente normale e scontato, agli occhi di un uomo, che egli "entri" nella donna e che una parte di lui – benché limitata a pochi centimetri – sfondi letteralmente la barriera del corpo di lei. Sfondando questa barriera, come si è visto, si sfondano anche l’identità, l’autonomia e l’indipendenza del sé femminile: difficile capire qual è il limite e quando non subentra invece il desiderio di conquistarla e di appropriarsene. E’ curioso come i pregiudizi – specie se non formulati o non elaborati criticamente – ci raggiungano anche quando tentiamo di fuggirli o pensiamo di averli superati da tempo. Mi accorgo, per esempio, che il maschio insiste nel considerare in qualche modo la donna una sua esclusiva proprietà: l’ha penetrata – l’ha invasa e quindi ha messo dei paletti per segnare il suo territorio. Meno ovvio è il fatto che ciò sia considerato così "normale" e scontato da dovere essere "smontato" e dichiarato sul piano del linguaggio per essere reso visibile. L’uomo, invece, resta in sé, il suo corpo è concluso e lui lo usa come un punteruolo – l’immagine funziona anche visivamente – per incunearsi nel corpo altrui. Lui è l’invasore che non viene invaso. Ecco perché trova inaudito e gli suscita solo spavento l’ idea di potere invece essere lui colui che viene invaso. Per lui la penetrazione anale – compiuta su di lui da un altro uomo in primo luogo, ma anche da parte di una donna con qualsiasi oggetto – equivarrebbe a una presa di possesso del suo corpo, e quindi della sua "anima" e della sua identità, di cui il corpo è il simbolo più concreto che vi sia. Se chi lo penetra è un uomo, si tratta di un affronto: l’altro uomo può, al massimo, essere suo pari. "Chi lo prende è inferiore, chi lo infila è superiore", appunto. E se fosse una donna a "infilarlo"? Sarebbe forse ancora più inaudito? Un essere che, a causa del suo retaggio culturale ed educativo, il maschio reputa "inferiore"? Rivelerò un aneddoto inedito: qualche anno fa, scoperte le insidie di internet, cominciai subito a sfruttare il mezzo per dare sfogo ai miei istinti socialmente meno presentabili. E andai a caccia di chat a contenuto non erotico, ma esplicitamente sessuale. Come credo abbia fatto la maggioranza dei finocchi che si mettono a chattare, qualche volta ho finto di essere una donna: immaginavo di avere qualche anno in più dei miei (perché, supponevo, al maschio giovane medio piace la donna più matura ed esperta) e di essere decisa e piuttosto dominante. Naturalmente, non riuscivo quasi a tenere il ritmo dei postulanti che mi contattavano e m’invitavano a conversare in privato, però con quelli con cui ho "parlato", ho inscenato quasi sempre la stessa situazione: la maggioranza, dopo un po’, mi chiedeva se lo prendevo anche nel culo. Io fingevo di esitare, ritrosa, e poi aggiungevo che mi sarei "fatta" inculare solo a una condizione: se loro si fossero fatti prima inculare da me, con un dildo o un qualsiasi altro attrezzo. Le risposte positive sono state ben poche e poco entusiaste.
Da questo complesso di tabù e timori irrisolti deriva quindi la metaforizzazione della sodomia come atto volto a conquistare e a sottomettere gli altri maschi nella lotta per l’affermazione e per il predominio (secondo il modello: "Se lui fa così, io gli faccio cosà e allora lui se lo piglia nel culo" oppure "Se solo ci prova, gli faccio un culo così", nei tipici deliri di potenza da maschio alfa o aspirante tale). La dichiarazione: "Te lo pianto in culo" si traduce in "Io ti invado, quindi tu mi sei sottomesso e ora comando io" (tanto per dire: in quante vignette del pure "progressista" Altan vediamo l’operaio piegato a novanta gradi con un ombrello che gli spunta dal buco del culo?) Sono i detriti del linguaggio che, pur se desemantizzati, rivelano una realtà psicologica sottostante, come braci ancora roventi sotto la cenere.
A questa idea della penetrazione, dell’invasione e dello sfondamento si associa, inoltre, l’idea di attrito e di frizione tra i due corpi e, di conseguenza, l’esperienza (quasi sempre soltanto immaginata) del dolore che la sodomia provocherebbe. Il dolore qui è il segno concreto dell’umiliazione inflitta, perché altrimenti basterebbe evocare l’imposizione di una fellatio: anche in questa ipotesi si "entra" nel corpo di un’altra o di un altro, però il rapporto orale viene usato in misura assai minore per metaforizzare la perdita della dignità. Io sono convinto che se gli uomini si spogliassero, a poco a poco, di quest’assurda paura e se scoprissero che dal proprio buco del culo possono trarre anche piacere, questo li aiuterebbe a drenarsi lentamente di una dose di violenza che non so se sia biologicamente innata (troppo testosterone?) o se sia culturalmente indotta. Io posso solo testimoniare che quando l’ho preso per bene in quel posto, dopo sono rilassato e pacifico come un neonato che succhia al seno materno e ritrovo un po’ di quell’equilibrio che mi riconcilia con la ruvidezza del mondo. Sento cioè di avere espulso tossine e di avere disattivato una potenziale carica distruttiva, senza credere di aver smarrito la mia identità per essermi "sottomesso" all’invasione da parte di un altro maschio. Ho semplicemente sfruttato una possibilità naturale del mio corpo, senza diventare per questo né meno maschio, né più omosessuale, né più vittima di nulla, ma restando sempre, al contrario, me stesso.
Hai fatto proprio bene a ripubblicare questo post; sono tra quelli che non l'avrebbero mai trovato.
Io per capire queste cose ci ho messo vent'anni, e mi considero comunque parte di una minoranza ridottissima e - se me lo concedi - illuminata.
Posted by: Weissbach | 20/03/2010 at 15:40
grazie per avermi fatto risalire a sorgenti finora sconosciute della Stefanitudine.
la tua analisi coglie molto nel segno.
e aggiungo alcuni pensierini in libertà, a proposito.
è come se i "maschi eterosessuali", insicuri che ciò che infliggono alle donne sia davvero piacere, mai vorrebbero essere "spossessati" di sé in quella maniera.
manca alla mentalità maschile "etero" una capacità di lasciarsi andare che è l'unica vera conquista di sè in amore.
metto le virgolette perché quando poi arriviamo alla mentalità maschile "omosessuale", la scemenza è spesso uguale: con la patetica definizione di "attivo" o "passivo" come se la reciprocità assoluta non fosse la vera distintività dell'intesa omosessuale.
ma questa protervia è la consolazione dello scemo, del fuco: più e più volte -quando ho penetrato un uomo- mi sono sentito scopato io.
Posted by: Paolo, por supuesto | 20/03/2010 at 15:40
o forse, sarà invidia?
Posted by: Paolo, por supuesto | 20/03/2010 at 16:04
Sbagli solo sul cattolicesimo. Già l'omosessualità pagana era solo penetrare, mai essere penetrati. Basta leggere Aristofane o Petronio. Con conseguente corollario di stupri -da parte delle classi aristocratiche- su schiavi e su tutti i vari individui vari non cittadini. Perfino semplici visitatori di passaggio in città (sembra una sciocchezza, ma i visitatori erano comunque individui estranei, non cittadini). Vedi proprio l'episodio biblico di Sodoma, con tentato stupro verso i tre visitatori stranieri della città (di cui uno è Dio: nella Bibbia/Torah c'è un tentato stupro a Dio). La violenza e lo stupro verso il viandante che dormiva in piazza pratica molto diffusa nell'antichità (vedi per esempio "I Bassifondi dell'Antichità" di Catherine Salles, un libro che mi ha fatto passare tutte le puerili nostaglie da spettatore de Il Gladiatore per l'antichità). L'unico caso di sodomia passiva socialmente accettata per un non-schiavo era l'adolescente greco senza barba. Ma nota bene: anche l'adolescente greco, l'efebo, non era un cittadino adulto con pieni diritti politici e civili, ma un individuo gerarchicamente sottoposto. So che il non ti piacerà sentirlo, ma il divieto cristiano (ed ebraico) dell'omosessualità fu piuttosto divieto di queste pratiche umilianti, violente e maschiliste. Certo, era anche paura di essere penetrati, perchè effettivamente il giovane aristocratico dell'età antica era un violento e arrogante penetratore di massa (qui potresti leggere alcune orazioni di Eschine per alcuni casi giuridici famosi di allegri stupratori maschi greci). Prima del cristianesimo (o, se preferisci, prima dell'ebraismo) non vi era l'omosessuale paritario, semmai il maschio penetratore totisessuale.
Posted by: GMR | 22/03/2010 at 06:39
Eh sì, lo so e lo sapevo. Ma allora avevo il dente ancora più avvelenato contro il cattolicesimo, poi - col passare del tempo - mi sto ammorbidendo.
Posted by: stefano | 22/03/2010 at 11:02
Complimenti, una bella analisi.
Anche il blog è fatto davvero bene.
Posted by: Dario Ansaloni | 27/03/2010 at 16:41
Grazie, troppo gentile.
Posted by: stefano | 27/03/2010 at 16:45
caro Stefano, mi permetto di invitarti a visitare il mio blog
http://crisantemigalleggianti.blogspot.com/
ho appena iniziato, ho poca esperienza e tanto entusiasmo.Qualche tuo consiglio mi sarebbe davvero utile.
saluti
Posted by: Dario Ansaloni | 27/03/2010 at 22:00
Come si dice banalmente, il problema è complesso. Il significato simbolico e sociale del rapporto anale è una di quelle tipiche cose che sembrano facilmente accettabili in astratto, ma la cui carica emotiva è alla portata di pochissimi. Lo stigma umiliante è forte, malgrado ogni ragionamento sulle possibili basi culturali presumibilmente cattoliche di tale stigma. Ma non facciamoci troppe illusioni: Buddah e Confucio non son da meno, per non parlare di Esdra e Maometto. Anche tra le scimmie evolute (ma non al punto di potersi dire cattoliche) la posizione sessuale passiva ha un chiarissimo significato gerarchico, e il maschio che accetta il rapporto omosessuale passivo ne accetta in pieno anche il significato sociale di sottomissione, senza negarlo con argomenti di tipo liberal-utilitaristico. Alcuni diranno: la scimmia non è in grado di leggere Bentham. Vero. Ciò non vuol dire che il primate uomo, lui sì in grado di elaborare l'inculata in termini di razionalismo liberale, possa illudersi di eliminare il significato sombilico con un semplice ragionamento benthamiano. Proprio ieri ho cenato con un evolutissimo olandese probabilmente privo di omofobie, il quale però non ha ritenuto di doversi negare una lieve battuta su chi gradisce i piaceri anali. Infine: Invidia? Può darsi. Ma non è certo quello il fattore decisivo.
Posted by: GMR | 28/03/2010 at 00:02
Una rapida occhiata a wikipedia mi ha appena informato che -a differenza delle scimmie, specie portatrice del dono maledetto dell'intelligenza come noi umani- tra i pinguini l'omossesualità maschile non ha significato gerarchico. Che dire? Specie beata. Che siano i pinguini i veri prediletti senza peccato originale? Ah, fossimo discesi dai pinguini invece che dalle scimmie. Ne riparleremo.
Posted by: GMR | 28/03/2010 at 00:42
Piccolo frammento di vita vissuta. Io, eterosessuale (boh, penso), storie solo con donne, ho passato e passo, di tanto in tanto, delle mirabili mezzorette con lubrificanti e dildo ecc, dedicandomi al mio proprio buco del culo...
Concordo in tutto.
Posted by: Lo | 08/04/2010 at 10:38
La tua analisi è veramente interessante. Io, amante delle donne, della loro fisicità, ho scoperto quasi congiuntamente al sesso fatto con le donne e all'amore eterosessuali, il piacere del sesso anale da passivo. Successe per caso e ringrazio quel giorno perchè mi ha aperto a sensazioni decisamente piacevoli. Il piacere di "prenderlo", come te sono concorde che è una esperienza diversa ma appagante e almeno per me estremamente rilassante. Non lo cerco compulsivamente ma, di tanto in tanto, farlo e prenderlo mi piace. Mi fa scaricare la tensione cumulata. L'orgasmo che provo mentre mi penetrano è molto intenso e pervasivo. Ugualmente adoro inculare ragazze e il piacere è altrettanto intenso. Certo è che, culturalmente, almeno oggi e almeno in italia non credo che siano fantasie confessabili.
Complimenti per il post
Posted by: sergion | 10/04/2010 at 19:50