Sembra quasi una celebrazione - per il suo settantesimo compleanno e per trentacinque anni di carriera musicale - il nuovo cd (doppio) di Amanda Lear uscito in questi giorni con il titolo Brief Encounters. Un album annunciato e atteso da mesi: in realtà, se non avessi ricevuto la consegna del silenzio, avrei potuto parlarne anche prima, avendone ascoltato in anticipo degli estratti. Ma la domanda cattivella è un'altra: si può prendere sul serio un album di Amanda Lear, ignorando per una volta tanto il personaggio televisivo, sempre in procinto di diventare un'autoparodia, e trattandola come una cantante "normale"? Questa volta penso proprio di sì. Brief Encounters è la cosa migliore che la Lear abbia fatto - forse l'unica davvero convincente - dal 1987 a oggi. Con un po' di rammarico, sarei tentato di dire, perché ascoltando questo nuovo lavoro - soprattutto il primo disco - non si può fare a meno di pensare alle occasioni perdute, a che cosa avrebbe potuto fare Amanda se, in passato, si fosse concentrata di più su questo aspetto della sua carriera e non avesse rincorso il guadagno (più) facile facendo - come dice lei stessa - "la scema in televisione".
Va detto che per apprezzare un disco di Amanda Lear bisogna comunque non provare irritazione per la sua voce, che è insolita. Per me, che amo le voci strane e non perfettamente cristalline, questo non è un problema. Fatta questa premessa, però, posso dire che qui finalmente la Lear canta davvero. Gli arrangiamenti vocali rendono giustizia alla particolarità del suo timbro, che non viene affogato dagli arrangiamenti musicali ma, al contrario, è messo in primo piano: forse solo Anthony Monn, agli inizi, aveva saputo sfruttare in questo modo la sua voce roca e profonda. Inoltre, in queste canzoni, mancano del tutto le leziosaggini a cui la Lear ci aveva abituato nei brutti dischi precedenti: versi, risatine, miagolii, bisbigli, effettacci che volevano essere tongue-in-cheek, da "miciona sexy", ma che sortivano invece un effetto baracconesco da "vecchia travestita". Questa rinuncia in favore di una ritrovata sobrietà del cantato finisce quindi per mettere in rilievo anche le sue insospettate doti canore: basti ascoltare, per esempio, la cover di Always on My Mind per rendersene conto. A questo si aggiunga il fatto che, finalmente, qui suonano veri musicisti con veri strumenti: niente simulazioni di bassa lega al computer - e si sente.
Il primo cd porta l'indicazione "For the heart" - per il cuore - e comprende tredici pezzi, tra inediti e cover. Tra i due gruppi, però, non c'è frattura, ma regna piuttosto una bella unità stilistica, grazie anche agli arrangiamenti di Nerio Poggi che gli prestano un'inedita veste jazz-blues. Tra le cover c'è qualche scelta non scontata, come Back to Black di Amy Winehouse o I Belong to You di Lenny Kravitz, e qualche classico di qualità. A me, per esempio, piace molto il modo in cui Amanda Lear rifà Comment te dire adieu, che qui ha un gusto molto sixties (e che mi fa pensare, con dispiacere, a che cosa sarebbe potuto essere un disco della Lear prodotto e realizzato con il compianto Serge Gainsbourg), e Sorrow, portata al successo da David Bowie. Un omaggio, quest'ultimo, che ha anche il sapore di una "rimpatriata", dato che fu proprio Amanda Lear a presentare il 1980 Floor Show trasmesso dalla NBC nel 1974. Tra gli inediti, oltre a Someone Else's Eyes, un duetto con Deadstar scelto come singolo di lancio ed estremamente orecchiabile, colpiscono soprattutto Cupidon e Je m'appelle Amanda. La prima è una canzone in francese, in cui Amanda Lear, accompagnata da un sobrio arrangiamento per chitarra, pianoforte e fisarmonica, s'inserisce nella tradizione delle diseuses francesi alla Barbara. La seconda ha un taglio autobiografico e riflessivo in cui la musica si stempera in un tango sui generis.
Il secondo cd, sottotitolato "For the feet" - per i piedi -, è invece un omaggio all'anima più danzereccia di Amanda Lear. In realtà qui ci sono più remix che brani inediti. Ad aprirlo è l'unico pezzo inciso in Inghilterra, con produttori inglesi e australiani, Doin' Fine. E' sicuramente un brano molto catchy e di sicuro effetto, che riprende, campionato, il riff di Daddy Cool dei Boney M., ma è anche overproduced, per così dire. La voce di Amanda è in secondissimo piano, sommersa dalla musica e da un esercito di cori, che fanno tanto "coro russo", tanto che avrebbero potuto campionare Kalinka moja invece dei Boney M. La vera perla di questo secondo cd è però For What I Am, che non si può propriamente definire un pezzo "disco", in cui la Lear esplora un territorio più cupo, duro e disarmonico. Oltre a queste, interessanti le due versioni di Always on My Mind, la prima più tradizionale e la seconda che ricorda la versione realizzata dai Pet Shop Boys.
Le premesse di un ritorno - anche se tardivo - ci sono. Il punto è se per Amanda Lear questo nuovo cd rappresenti soltanto una "bella vacanza" o sia invece foriero di altri sviluppi futuri. Purtroppo ne dubito, visto il successo che sta mietendo in teatro in Francia e che le impedirà di promuovere il disco, pubblicato per ora solo in Italia, dove il mercato discografico l'ha trascurata da tempo. Se la strada è in salita, vale però la pena cogliere questa occasione, anche se fosse destinata a restare solo... un breve incontro.
...subito a comprarlo....
Posted by: penaepanico | 21/10/2009 at 12:08
grazie per la segnalazione.
buffo. su wikipedia inglese dicono che è francese, su quella inglese che è francese (per via del bilinguismo familiare). in Spagna accennano alla transessualità in apertura.
e in tutte le pagine è un profluvio di aneddoti interessantissimi: la Signora è davvero un'icona della nostra epoca nel senso più intenso della parola.
Posted by: Paolo, por supuesto | 22/10/2009 at 16:34
Bravo Stefano, hai colto nel segno con la tua bella recensione. Con 'With Love' eri stato un po' cattivello, ma avevi in parte ragione. Anche per me è come se, a distanza di così tanti anni, Amanda percorra la strada che aveva interrotto con 'Never Trust a Pretty Face' e 'Incognito'. Concordo anche sui due titoli che hai sottolineato, 'Comment te dire adieu' e soprattutto 'For what I am', per me due nuovi classici di A.Lear. Spero che il disco abbia successo, lo merita.
Posted by: Max | 23/10/2009 at 15:12
Oh, un bel simposio di adoratori della Lear. Io credo invece il disco non sia granché, che Peki. Ci voleva un bel coraggio, e a lei non è mai mancato, per fare cover version di "Perfect Day", o "Always On My Mind" e ridurle a parodia.
Del resto Amanda Lear scherza col fuoco, da sempre, e ha fatto "Il Brutto Anatroccolo" oltre a "Cocktail d'Amore". E mai s'è ripetuto il tocco magico di Monn e Sweet Revenge (merito di Bowie periodo berlinese che con lei non s'era sentito all'altezza?).
"Comment te dire adieu" l'hanno fatta così tanti altri, e tutti meglio.
Concordo invece per "For What I Am" (versione single) che eguaglia l'unica altra gemma degli ultimi anni "Martini Disease".
Ma perdoniamo tutto: è un po' come Marlene Dietrich, poteva permettersi "Just a Gigolo": aveva -come Amanda- già dato-
Posted by: Paolo, por supuesto | 25/10/2009 at 10:10