C'è, in molti scrittori tedeschi, un'ossessione tutta romantica che li spinge a interrogarsi sul senso della vita e sulla possibilità che questa venga vissuta veramente e pienamente, al fine di realizzare la propria felicità. La vita finisce sotto il vetrino di un microscopio ed è analizzata in tutte le sue componenti per scoprire e capire in che misura esse hanno contribuito alla felicità o, viceversa, l'hanno ostacolata. Tutta l'operazione è, solitamente, avvolta da un velo fitto di malinconia - la proverbiale Sehnsucht tedesca - e in questo non si distingue l'ultimo romanzo di Monika Maron, Ach Glück (Ah, la felicità), pubblicato l'anno scorso.
Johanna e Achim, i protagonisti del racconto di Monika Maron, sono sposati da trent'anni e alla passione si è sostituito ormai un tran tran senza scossoni. E' a un futuro privo di novità e, soprattutto, a una ineluttabile vecchiaia che si è rassegnata Johanna, almeno finché un incontro non le ridà la speranza di ricominciare. Tramite un seducente gallerista russo, Igor, entra in contatto epistolare con Natalia, vecchia nobile russa decaduta che, rimasta vedova di un grigio funzionario comunista, si è trasferita da poco a Città del Messico per tentare di rintracciare Leonora Carrington, un'artista pazza sua amica di gioventù. Secondo Johanna Natalia ha vissuto "cinquant'anni nella propria pelle come se fosse un'altra, cinquant'anni di vita estranea": è evidente che la protagonista s'identifica con la vecchia russa, tanto da sentire sempre più il richiamo della fuga.
Ma oltre a Igor e Natalia Johanna incontra anche qualcun altro che catalizza il suo desiderio di fuga: si tratta di un cane abbandonato, Bredow, che lei si porta a casa e di cui si prende cura, affezionandovisi sempre di più. Come Natalia rappresenta la possibilità di iniziare qualcosa di nuovo, così Bredow diventa un po' il simbolo di quell'amore - un amore incondizionato, in questo caso - che in questo momento manca nella sua vita. Da più parti, dunque, è come se le arrivassero dei segnali: "Probabilmente entrambi, il russo e il cane, sono potuti irrompere nella sua vita perché Johanna li aspettava, loro o altri che fossero adatti a capovolgere la sua vita abituale". Ecco quindi che, dopo qualche esitazione, Johanna decide di partire per Città del Messico, dove resterà qualche settimana e aiuterà Natalia nella sua ricerca di Leonora.
Naturalmente tutto questo non incontra il favore e l'approvazione di Achim che segue con scetticismo il cambiamento della moglie e comincia persino a provare gelosia non soltanto nei confronti di Igor, ma anche del cane, a cui Johanna riserva attenzioni e manifestazioni d'affetto spropositate. In un certo senso Achim è l'opposto di Johanna: si è adagiato in una vita abitudinaria che lo tranquillizza. E' un germanista sottrattosi alla competizione ormai imperante anche nelle università tedesco-orientali dopo l'unificazione e ben contento di starsene nella sua nicchia, tanto da arrivare a dire che era meglio sentirsi oppresso da uno stato omnipervasivo come quello della DDR, in cui almeno il singolo individuo aveva il pretesto di non avere i mezzi per contrastare un apparato potente, che non dalle manie di grandezza o di potere di altri individui di scarsa caratura. Ma forse l'atteggiamento di Achim altro non è che l'altra faccia dell'atteggiamento della moglie: "Lui, invece, tra i libri aveva forse cercato davvero un posto che lo proteggesse dalla vita".
In questo romanzo i due punti di vista di Johanna e Achim si alternano, di capitolo in capitolo. Mentre la prima è seduta in aereo e si avvicina a poco a poco alla meta, Achim vaga da solo per Berlino: entrambi, tuttavia, ripensano al passato e alle esperienze che li hanno condotti fino a lì. In realtà si potrebbe quasi dire che la storia vera - l'arrivo di Johanna in Messico, attesa da una donna con un cappello rosso a tesa larga - comincia quando finisce il libro. Non sappiamo quindi se davvero c'è una nuova vita per la protagonista, ma in ogni caso non è questo l'importante, bensì tutto quello che c'è già stato in passato, compreso il desiderio nostalgico di uscire dai binari dell'abitudine. Il romanzo vero e proprio consiste dunque di un incessante scandagliare la vita interiore e la psicologia dei due personaggi ed è in questo che Monika Maron rivela la sua bravura e la sua sensibilità. La scrittura è limpida e precisa, spesso venata di osservazioni semplici ma profonde e spiazzianti: penso, per esempio, alle pagine in cui l'autrice descrive come la paura (della malattia, della morte e della decadenza) finisce per consumare la vita stessa, finché questa - a forza di proteggersi e cercare di prevenire ciò che potrebbe minacciarla - diventa sempre più simile a quell'esistenza minacciata che vorrebbe tenere lontana da sé. Notevole è inoltre la capacità di Monika Maron di mostrare lo stato interiore - emozioni e sentimenti - dei suoi personaggi descrivendone gesti e movimenti: basti leggere, per esempio, le pagine in cui Achim, dopo aver vagato per il centro di Berlino indeciso se andare o no a vedere la galleria di Igor e parlargli a quattr'occhi della moglie, si dirige proprio verso la galleria, obbedendo quasi a un automatismo. Oppure quando, in preda al nervosismo durante una cena con altri professori, rovescia una bottiglia di vino perché sprofondato nei suoi pensieri e nelle sue preoccupazioni riguardo alla moglie. Ed è soprattutto questa attenzione ai moti dell'animo che rende Ach Glück un romanzo che, a poco a poco, avvolge il lettore nelle sue spire.