Che cosa succede quando un individuo scopre di avere in sé qualcosa che lo pone in contrasto con tutto ciò a cui era stato educato? E' questo, in sostanza, il tema di Il mio amato dell'israeliano Yehoshua Bar-Yosef, originariamente pubblicato nel 1979. Protagonista è lo scriba Asherke, cresciuto in una famiglia ultraortodossa del quartiere gerosolimitano di Meah Shearim, sposato senza entusiasmo a Reyzel e padre di due figli. La sua vita scorre su binari prestabiliti e sarebbe prevedibilmente tranquilla se non fosse per due eventi che ne scardinano la struttura portante.
Innanzitutto ha perso la fede e, ormai, i rituali e i precetti a cui obbediscono tutti gli altri ortodossi gli paiono esteriori e privi di contenuto: "D'improvviso mi resi conto che quanto avveniva intorno a me non era che un gioco, che c'era una menzogna, un vuoto dietro quanto si diceva e si faceva". Ciò nonostante la sua vita apparente non cambia e sceglie di continuare a comportarsi in maniera irreprensibile, fingendo di credere ancora e rispettando tutti i precetti della religione ebraica. Asherke accetta in pratica di indossare per sempre una maschera, ben consapevole che "se scoprissero la mia eresia, ai loro occhi apparirei peggio di un lebbroso". Accanto all'appartamento occupato con la famiglia Asherke si riserva una stanza che funge da spazio privato in cui si ritira e si dedica alla lettura di libri "proibiti", cioè di contenuto non religioso e in lingua inglese. Questa stanza diventa un simbolo perfetto del rinchiudersi in sé stesso, della riduzione della sua libertà entro un perimetro ben limitato e non accessibile a chi sta all'esterno. C'è una scena che esemplifica benissimo questo atteggiamento: è il momento in cui il protagonista, avidamente e di nascosto, fuma una sigaretta al gabinetto durante lo Shabbat e poi si sente tormentato dai sensi di colpa, talmente forte è la pressione alla conformità che gli arriva da tutte le parti.
Il secondo evento è la scoperta della propria omosessualità. Il suocero gli affida il figlio minore Channa perché gli dia lezioni di calligrafia: non appena lo vede avverte una forte attrazione dei suoi confronti, una sensazione che non ha mai provato prima, nemmeno quando ha conosciuto la moglie Reyzel, con la quale i rapporti sessuali - sin dal primo momento - altro non sono stati che l'adempimento di una mitzvah, un precetto imposto dalla religione, e che in quanto tali si sono sempre limitati al minimo indispensabile: "Non sentii alcun batticuore, neppure arrossii molto. [...] Quasi non avevo pensieri peccaminosi". Diversa è la fascinazione verso Channa e, per estensione, verso i ragazzi che Asherke incomincia a notare e a guardare per le strade di Gerusalemme. A poco a poco questa diventa un'abitudine a cui non riesce a sottrarsi: "Il mio corpo ha bisogno della vista di ragazzi, come si ha bisogno dell'aria per respirare. Non c'è alcuna logica. Anzi, tutto è contro la logica". E' interessante sottolineare che l'omosessualità del protagonista non si traduce in nessun comportamento concreto, ma resta tutta interiore, a dimostrazione del fatto che per definirsi omosessuali è sufficiente percepirsi tali, sentire che i propri desideri vanno in quella direzione. In ogni caso, questa rivelazione è sconvolgente, almeno all'inizio: Asherke descrive perfettamente come agisce l'omofobia interiorizzata, instillatagli dall'educazione religiosa che permea anche tutto l'ambiente in cui vive: "l'omosessualità è una delle più gravi trasgressioni della Torah. [...] Una persona travolta da questo peccato mi sembra inferiore a un essere umano, o condannabile alla distruzione, all'esclusione dalla comunità umana". Eppure, malgrado l'orrore che avverte dentro di sé, il protagonista si rende conto della potenza positiva di quella parte della sua personalità - e proprio per questo motivo non tutto è perduto: "Ma accanto alla paura abissale provavo un piacere oscenamente sfrenato per aver scoperto simili sorgenti segrete".
Il racconto, poi, tematizza anche una frattura della società israeliana, simboleggiata geograficamente dalla coppia di città Gerusalemme-Tel Aviv. La prima è il luogo dell'ortodossia religiosa, che sconfina a tratti con la follia - scrive infatti Bar-Yosef: "In molte case della zona si trovano persone colpite da diversi livelli di malattie mentali. [...] Uno sano di mente e ben voluto, pure se è vecchio e sapiente, non avrebbe lasciato la propria città natale e la propria famiglia per venire da solo a Gerusalemme, come aveva fatto il nonno di papà o centinaia di altri come lui. Chi veniva qui doveva essere, necessariamente, anormale e la cosa è ben evidente nei discendenti". La seconda, invece, è il luogo della fuga dalle costrizioni dell'ortodossia, della trasgressione e - in certi casi - della perdizione. Per esempio, ci sono due cognati del protagonista che abbandonano le rigidità dell'ortodossia e si trasferiscono a Tel Aviv, dove si danno a una vita più libera. Oppure c'è la conoscenza, nelle ultime pagine del racconto, con un vecchio ex-professore omosessuale, ormai caduto in disgrazia, che riconosce in Asherke un suo simile e che, in preda alla solitudine e all'umiliazione, gli parla di sé e gli descrive gli incontri a pagamento con giovani telavivini che gli danno sesso e disprezzo. La figura del professore, in cui l'omofobia interiorizzata dell'io-narrante trova facilmente rispecchiato il suo eventuale destino futuro. Il finale è aperto: Asherke avverte l'ineludibilità della sua situazione e, constatando che ormai gli è impossibile chiedere l'aiuto di Dio e amare solo lui, commenta: "Mi è stato inietato un veleno attraverso quei libri fallaci e io sono stato infettato, completamente, senza rimedio". In questo modo collega strettamente il suo ateismo e la sua omosessualità, confermando la duplice tematica del romanzo. Comunque vada, il lettore sa che il protagonista sarà condannato a una vita sempre in bilico.
ora, si capisce che il romanzo è quanto meno interessante, ma dico: e leggere ogni tanto una cazzatina divertente, tanto per tirare un po' il fiato? no eh?
Posted by: pio | 17/06/2009 at 19:59
Ma come? Leggo anche cazzatine divertenti, solo che poi non ci scrivo sopra niente :P
Posted by: stefano | 17/06/2009 at 20:05
e invece mi piacerebbe assai vedere come te la cavi con la "leggerezza".....
;-)
Posted by: pio | 18/06/2009 at 01:13
Perchè, ci sono anche libri divertenti?
Posted by: fuchsia | 18/06/2009 at 07:36
Chiedo scusa per il mio intervento mattutino formulato nel peggiore dei modi. Mi chiedevo in realtà se esistano dei libri "leggeri" che meritino di essere letti. Perchè anche quei libri che ci vengono spacciati come divertenti, se sono opera di scrittori validi - mi vengono in mente ad esempio Brendan O'Carroll e Flann O'Brien - celano in realtà un'amarezza che perdura ben oltre la risata che possono strapparti sul momento.
Posted by: fuchsia | 18/06/2009 at 14:14
In realtà il senso di colpa ebraico va oltre la pressione esogena di conformismo agli atti degli altri, si tratta invece di vero e proprio senso di trasgressione interiorizzata (per esempio quando Asherke fuma di shabbat). Quanto all'omosessualità, da ebreo omosessuale posso dirti che il futuro che aspetta Asherke è quello della morte sociale: le mitzwoth, i precetti religiosi, si inseriscono in un contesto totalizzante che tocca ogni più piccolo atto della vita e del pensiero quotidiano in un modo che credo simile solo a quello delle più fanatiche comunità protestanti americane. Lo strappo, una volta consumato resta indelebile e irreparabile, per un "membro" (non solo metaforicamente) di tali comunità.
Posted by: Avi | 23/06/2009 at 12:57