Domenica scorsa tornavo in treno da Brescia. Il caso ha voluto che mi sedessi davanti a due bei ragazzi, probabilmente saliti a Desenzano e diretti come me a Milano. Io, che spesso riesco a fare due cose in contemporanea, tenevo il libro aperto davanti a me e, pur continuando a leggere a piccoli sorsi, drizzavo le orecchie per ascoltare i loro discorsi. Ogni tanto alzavo gli occhi per guardarli un po' di sguincio, senza farmi troppo notare. Uno era bello in senso più classico: indossava una candida camicia bianca con piccoli quadretti che facevano un effetto "rete" e un paio di pantaloni blu scuro Calvin Klein. In volto aveva un'espressione seria e compunta che lo rendeva più maturo dei suoi anni, a occhio e croce intorno ai venticinque. L'altro era meno bello, aveva un viso ossuto e il naso affilato ed era vestito in modo più casual, con jeans e felpa verde. Se il primo era più bello, il secondo era invece più nelle mie corde: dal loro scambio di battute diceva sempre cose che io avrei potuto condividere o che avrei potuto dire anch'io nei suoi panni. Il primo rappresentava quella bellezza algida che m'intimidisce fino a non eccitarmi nemmeno più, il secondo quella bellezza calda, che in realtà non è nemmeno bellezza ma che, con tutti i suoi piccoli difetti, solletica qualcosa in profondità.
I due ragazzi hanno parlato a lungo: prima dei problemi che il primo ha a trovare un nuovo coinquilino, poi di certe questioni relative al lavoro del secondo. Successivamente il primo ha sfoderato una rivista di interni e, dopo essersi segnato gli appuntamenti della fiera del mobile a cui non voleva mancare, ha mostrato al secondo un servizio fotografico su una casa ristrutturata dallo studio presso il quale è impiegato. Ho intuito che doveva essere un architetto, mentre del secondo già avevo capito che lavorava in ambito informatico. La conversazione è scivolata sul modo in cui arredare una casa e io ho trovato molto sensate le obiezioni del secondo anche a proposito di questo argomento. Ma tutto questo non sarebbe niente di speciale: di conversazioni così se ne sentono, di straforo, ovunque e in ogni momento. Quello che mi ha colpito, su quel treno di domenica sera, è stato il tono della conversazione e il modo in cui i due ragazzi interagivano. C'era, nel loro rapporto, qualcosa di intimo, qualcosa di affabile e tranquillo. Non c'era, da parte di nessuno dei due, un atteggiamento di prevaricazione nei confronti dell'altro, non c'erano né competizione né sfida, malgrado i due non fossero d'accordo su quasi nulla di quello di cui discutevano. Le opinioni contrarie le scambiavano e le motivavano con serenità, più per cementare un noi che per affermare un io separato. Era come se intorno a loro ci fosse un'aura che li avvolgeva. Ecco, io non credo che quei due ragazzi fossero omosessuali o che formassero una coppia gay: ho l'impressione che questo tipo di rapporto sia solitamente piuttosto riconoscibile. Eppure non esito a dire che quella loro placida intesa, quel confortevole adagiarsi nella loro amicizia - come se fossero due gatti che si stirano, certi di essere al sicuro e al calduccio - sono una forma di omosessualità.
Non mi si fraintenda: non credo che quei due ragazzi non stessero facendo qualcosa che, sotto sotto, volevano fare; non penso affatto, con malizia, che stessero reprimendo qualcosa cui magari avrebbero voluto dare espressione. Intendo semplicemente dire che in ogni individuo esistono componenti omosessuali ed eterosessuali e che per stabilire rapporti amichevoli con persone del proprio sesso (quando si ha un orientamento erotico-affettivo primariamente eterosessuale) o con persone dell'altro sesso (quando si ha un orientamento erotico-affettivo primariamente omosessuale) viene attivata la propria componente omosessuale (nel primo caso) o eterosessuale (nel secondo caso). Perché omosessualità ed eterosessualità sono molto di più di ciò che i loro nomi vogliono indicare. La seconda parte - "sessualità" - ha distolto l'attenzione da tutto il resto, attirandola prima sul sesso e poi - specie quando si tratta di denigrare - sulla pura genitalità. Non sarebbe l'ora di risemantizzare questi due termini e includervi altre belle manifestazioni della più vasta esperienza umana?
se riesco ad ascoltare e rispettare l'altro senza lasciarmi sedurre dal mio piccolo narcisismo sono gay?
luca
Posted by: luca | 29/04/2009 at 00:14
Facciamo che questa era una battuta venuta male, eh?
Posted by: stefano | 29/04/2009 at 10:23
Dai su, vediamo di non fare i permalosetti!
La questione posta è seria: apprezzo l'enfatizzazione del prefisso omo-, ma mi chiedo anche se non c'è un po' di ottimismo nel defnire l'omosessuale cme una persona capace di non prvaricare sull'altro...
luca
Posted by: luca | 29/04/2009 at 12:37
Credo che in una "vera amicizia", e Stefano ne ha sottolineato splendidamente un punto interessante, ci debba necessariamente far capolino tutto, paradossalmente per il senso di unicità che questa comporta,per una ricerca di verità per tramite di un interlocutore che si vorrebbe speciale, per un bisogno di assoluto, di compassione, di condivisione...
Io non ho amici.
Posted by: carmelo | 29/04/2009 at 13:34
Quel rapporto lì per me è l'amicizia.
Posted by: neurobi | 29/04/2009 at 16:51
Ma, in fondo, l'amicizia è una forma di amore, quindi non è per niente strano che certi comportamenti siano esattamente identici, al di là che si sia eterosessuali o omosessuali, no?
Posted by: galatea | 30/04/2009 at 14:12
concordo con galatea ...
luca t
Posted by: luca | 01/05/2009 at 00:36