The Reader, di
Stephen Daldry - che ho visto ieri sera al cinema - è tratto da un romanzo del tedesco
Bernhard Schlink,
Der Vorleser (
A voce alta, nella versione italiana pubblicata da Garzanti), pubblicato nel 1995. La mia copia porta la data "Berlino, 8 giugno 1998": devo averlo letto più o meno subito, dimenticando poi l'intreccio nei dettagli ma serbandone comunque un buon ricordo. A quei tempi il romanzo di Bernhard Schlink, che fino ad allora aveva pubblicato solo gialli, suscitò qualche polemica, perché qualcuno pensò che fosse in odore di "giustificazionismo". La storia, però, è appassionante ed è ben escogitata e cesellata. Nel 1958, in una cittadina abbastanza fatiscente della Repubblica Federale Tedesca, il sedicenne Michael Berg (David Kross) s'innamora della tramviera trentacinquenne Hanna Schmitz (Kate Winslet), con cui ben presto finisce a letto. Parte integrante di questa storia d'amore è la lettura ad alta voce, da parte di Michael, di pagine su pagine dei suoi libri preferiti. Un giorno Hanna scompare e anni dopo, quando Michael è studente di legge all'università di Heidelberg, la ritrova nell'aula di un tribunale, accusata di aver lasciato morire, nel suo ruolo di sorvegliante delle SS durante la seconda guerra mondiale, trecento persone rinchiuse in una chiesa durante un incendio. Le altre sorveglianti danno tutta la colpa a lei, accusandola di avere scritto da sola il rapporto che le incrimina. A questo punto l'unica attenuante, per lei, sarebbe confessare il suo segreto più nascosto, quello che le causa più vergogna, cioè il fatto di non sapere né leggere né scrivere. Michael, che assiste al processo e che solo allora comprende il suo segreto, non interviene e la donna viene condannata all'ergastolo. Questa volta non rivelo il finale: lascio che sia una sorpresa per chi vorrà andare al cinema a vedere il film.
Il film di Daldry ha meriti e demeriti. Certo, a guardarlo con occhio disincantato, è facile smontare l'incanto narrativo in cui è avvolta la figura principale constatando, come ha fatto C. - che era con
M. e me in sala - all'uscita dal cinema: "Ma dài! E questa si vergogna di non saper leggere né scrivere, ma non si vergogna di avere ammazzato trecento persone?". C'è del vero in questa affermazione, se analizziamo il personaggio con freddezza, ma la bravura (di Schlink ancora prima che del regista) consiste proprio nel creare un personaggio che diventa credibile nonostante tutto. Per quanto riguarda invece il film in sé, va detto che questa credibilità è tutta retta da Kate Winslet, che brilla di luce propria ed è semplicemente grandiosa nella sua interpretazione di Hanna. Io aggiungo, mentre ne discutiamo dopo per strada, che questo film non si limita a raccontare una storia, ma diventa quasi una
morality play nel senso che maneggia, in maniera sapiente, grandi temi altrimenti troppo astratti: la Colpa, l'Espiazione, la Vergogna, la Giustizia. Tutti argomenti alti, qui calati con una certa naturalezza nel tessuto narrativo. E' M. che però ha una folgorazione quando sostiene* che, secondo lui, l'analfabetismo di Hanna è anche e soprattutto simbolico: non soltanto la donna non sa né leggere né scrivere, ma il suo analfabetismo è innanzitutto emotivo. Sembra che le manchi la capacità di provare sentimenti e, infatti, nelle varie situazioni del film reagisce sempre con il candore di chi prova un dato sentimento per la prima volta. E' come se Hanna fosse una tabula rasa emotiva. Interrogata dal giudice, non riesce nemmeno a comprendere l'orrore di quello che ha fatto e, quando confessa il suo crimine, non lo fa perché è pentita, ma perché non riesce nemmeno a immaginare uno scenario alternativo, la possibilità che, ai quei tempi, avrebbe potuto fare una scelta diversa. Secondo me, inoltre, Hanna è prigioniera del suo io - una cosa che, nel 1958, le ha rimproverato anche Michael durante una lite -, un io che si è calcificato intorno a quel nucleo primario di vergogna - l'analfabetismo -, tanto solido e ineludibile in lei da farle dimenticare il peso emotivo e morale del mondo esterno.
E veniamo ai difetti del film. Innanzitutto è troppo lungo: il senso dei tempi cinematografici è un po' latitante. Ho ripreso adesso in mano il romanzo di Schlink che, nell'edizione tascabile tedesca, conta in tutto duecentocinque pagine. Sfogliandolo mi accorgo che il succedersi degli eventi - e il trascorrere degli anni - è molto rapido. Viceversa Daldry sceglie di indugiare, in modo estenuato ed estenuante, sui dettagli. Non soltanto nella prima parte - anche se la cinepresa si sofferma compiaciuta sui corpi nudi dei protagonisti, il che, dato l'aspetto fisico di David Kross, da un certo punto vista mi ha fatto solo felice, facendomi salivare dal piacere -, ma soprattutto nella parte conclusiva, quella che copre gli anni che vanno dal 1976 al 1995. A questa regia eccessivamente languida corrisponde una fotografia molto curata, forse fin troppo da kolossal hollywoodiano. Inoltre il linguista in me si è sentito parecchio irritato perché tutti i libri che Michael prende in mano e tutti i documenti scritti che vengono ripresi dall'obiettivo sono... in inglese! Ora capisco che il film è prodotto negli Stati Uniti, il regista è inglese, ma visto che la produzione è così chic e curata, oltre che presumibilmente costosa, non sarebbe stato difficile procurarsi dei testi in tedesco, tanto più che tutte le scritte sugli edifici o sui tram sono in tedesco. Fa ridere quando Michael apre l'Odissea vedere che è scritta in inglese! Anche quando in prigione Hanna impara a leggere e scrivere grazie alle cassette che l'ormai adulto Michael le manda, l'obiettivo della cinepresa inquadra le lettere che faticosamente scrive... in inglese. (C. ha ironicamente commentanto: "Ma che brava! Non soltanto ha imparato a scrivere, ma ha imparato anche l'inglese!"). Infine la solita critica che non riguarda il film in sé ma la tradizionale scelta disgraziata dei distributori italiani e che si potrebbe rivolgere, ormai, per gran parte dei film importati dai paesi anglosassoni. Perché mantenere il titolo inglese "The Reader"? Non mi pare che sia un titolo intraducibile: "Il lettore" andava benissimo o, tutt'al più, "A voce alta", come aveva fatto Garzanti quando l'aveva pubblicato per la prima volta - mentre ora, sulla scorta del prevedibile sucesso del film, gli ha aggiunto "The Reader" come sottotitolo -, poiché l'originale tedesco - quello sì - era difficile da tradurre letteralmente: "Der Vorleser", che deriva da "vorlesen", un verbo separabile che significa appunto "leggere a voce alta" e non ha un lemma italiano che gli corrisponda. Oltretutto il film è ambientato in Germania ed è ridicolo che abbia un titolo inglese. Ma a questo andazzo, ormai, ci siamo rassegnati.
[* lo riporto io, con la sua autorizzazione, perché so che è troppo pigro per scriverlo di persona!]