In fin dei conti, che cosa me ne importa? Potrei anch'io, con un'alzata di spalle, ignorare di essere gay e votare comunque chi, negli ultimi anni, non ha fatto nulla per noi e, anzi, ha continuato a dire che siamo dei deviati, che le nostre richieste di pari diritti offendono la sensibilità dei credenti o che possiamo accontentarci di qualche diritto secondario - gli ossi rosicchiati che si gettano al cane - perché i tempi non sono maturi per avere di più e di meglio, cioè quello che ci spetterebbe in quanto cittadini come tutti gli altri. Del resto, a forza di sentire ripetere questa litania e a forza di sentir dire che ci sono cose più importanti da fare per il bene del paese, anche se ogni volta l'elenco delle priorità cambia e ogni volta se ne aggiungono di nuove e di diverse che fanno slittare i diritti delle persone gay sempre in seconda, terza o ultima posizione, sto cominciando a credere che in questo paese i tempi non saranno mai maturi, a meno che, per l'appunto, qualcuno decida di imporli, come è stato fatto altrove - dalla Spagna a Israele - con una decisione legislativa che poi ha prodotto un circolo virtuoso negli ambienti gay e nel resto della società. Ma non è tutta colpa di chi ha ripetuto queste offese, non è tutta colpa di chi non ha fatto niente o di chi ha attivamente ostacolato qualsiasi forma di promozione dell'uguaglianza per le persone omosessuali - fosse questa una legge contro l'omofobia o, non dico l'allargamento del matrimonio a tutte le coppie, ma almeno una qualche forma di riconoscimento per le coppie omosessuali. C'è anche un'altra responsabilità, che è dentro a chi è gay. Ora lo vedo con una certa nitidezza: non importa quanti insulti riceviamo, non importa aver toccato con mano l'atteggiamento - dall'insipienza all'immobilità, dall'aperta ostilità al dileggio - mostrato da entrambi gli schieramenti politici maggiori, ci sarà sempre qualcuno di noi che decide di poter passare sopra a tutto ciò, che è disposto, malgrado tutti i mugugni - perché usare il termine "proteste" sarebbe persino eccessivo -, a scegliere ancora chi fino a un momento prima - ma, che dico, ancora adesso - li trattava a pesci in faccia. Allora capisco che anche questa è una forma di interiorizzazione dell'omofobia: siamo stati a tal punto abituati a svalutare questa parte di noi, a non considerla "rilevante", a nasconderla un po' sotto il tappeto o, tutto sommato, a non considerarla così degna di essere apprezzata che non ci viene nemmeno in mente che il trattamento che ci è stato riservato in questi ultimi anni è tutt'altro che accettabile. A dirla tutta, un trattamento di questo genere meriterebbe una punizione e richiederebbe un'unica risposta da parte nostra: respingere con fermezza chi ce l'ha riservato, ora che è giunto il momento delle elezioni - per quanto farsesche esse siano. E questo trattamento va respinto indipendentemente da quale destra è arrivato, sia la destra che va sotto il nome di "centro-destra", sia la destra che si fregia dell'appellativo di "centro-sinistra". E', credo, una questione di dignità nei confronti di se stessi, di rispetto per sé e per il proprio valore. Per dare il giusto peso alle cose propongo di pensare a una similitudine: supponiamo di essere neri in un paese in cui i neri non possono prendere i mezzi di trasporto pubblico. Se domani qualcuno ci dicesse che, va bene, potremo viaggiare, ma solo in seconda classe e senza disturbare troppo, perché l'unica pigmentazione "naturale" che consente il viaggio in tutte le classi è quella bianca, lo riterremmo una soluzione accettabile? Se ci dicessero che non dobbiamo lamentarci troppo perché il nostro paese - in cui, se stiamo buonini, potremmo tutt'al più viaggiare in seconda classe - ha altri problemi più urgenti, la riterremmo una spiegazione adeguata? Soprattutto quando una promozione completa della parità dei diritti non costerebbe nulla in più, non priverebbe nessun altro dei propri diritti e non escluderebbe di fare quelle cose di cui il paese ha tanto bisogno? Invece a noi gay - in quanto gay - viene richiesto questo "sacrificio" e che molti siano disposti a farlo è indice del vero peso che diamo alla parola "dignità": praticamente nullo. Che cosa devo pensare? Forse che quando protestavamo, facevamo finta? Che in realtà non ci tenevamo affatto? Se è così, il segnale che noi gay per primi diamo è che, a conti fatti, i cosiddetti diritti sono irrilevanti anche per noi, se basta agitare un qualsiasi spettro per farci rientrare nei ranghi e marciare compatti dietro il primo pifferaio che, oltretutto, non ha più nemmeno bisogno di suonare una melodia incantatrice per farsi votare da noi? Io non sono più disposto a firmare cambiali in bianco se il prezzo che devo pagare è l'odio per me stesso e, soprattutto, se - come so - il prezzo è certo e non più soltanto probabile. Lo faccia qualcun altro, ma poi non si lamenti, perché io allora non lo prenderò più troppo sul serio.