Una decina di giorni fa, sulle pagine milanesi di Repubblica, ho letto che stanno indagando un professore dell'Università Statale di Milano perché non soltanto pare vendesse, durante l'orario di ricevimento, i suoi libri senza rilasciare nessuna ricevuta, ma anche perché pare garantisse a chi concordava l'esame con lui il massimo dei voti, aumentando così in maniera spropositata l'affluenza alle sessioni d'esame di quella materia, altrimenti snobbata. La notizia non mi avrebbe colpito più di tanto e l'avrei letta facendo spallucce - del resto, siamo in Italia, che cosa aspettarsi d'altro? - se quel professore non occupasse la cattedra di letteratura tedesca nella stessa Università in cui mi sono laureato io, ormai tredici anni fa. Allora, siccome Repubblica non faceva nomi, ho mobilitato il mio "agente all'Avana" in Sant'Alessandro perché, senza dare troppo nell'occhio, indagasse e rivolgesse qualche domanda indiscreta agli studenti che bazzicano il dipartimento di lingue. Nel frattempo sono andato sul sito dell'Istituto di Germanistica a controllare quali dei docenti attuali erano già presenti ai miei tempi. In un primo momento mi sono concentrato su un ordinario che allora non c'era e ho storto il naso. Ho pensato: questo ha curato dei libri che compaiono come prima cosa sulla sua homepage, e poi, con quest'aria da belloccio, non me la racconta giusta.
Trascorso qualche tempo, ieri sera - non so per quale motivo - ho googlato il nome del mio professore, che è stato anche il relatore della mia tesi, e, toh, ho avuto la sorpresa di leggere questo post, che risale al luglio dell'anno scorso. Pare, insomma, che il "malfattore" sia proprio lui, mentre io l'avevo - l'avrei - escluso a priori. La faccenda, dunque, è roba vecchia. Se io l'ho escluso non è perché sono certo della sua onestà, ma perché so come si comportava lui con noi studenti. In realtà, con il vecchio ordinamento, c'erano ben poche persone che davano l'esame di letteratura tedesca se non erano specialisti, mentre - da quanto apprendo dal post - lo scandalo attuale riguarda soprattutto gli studenti di lettere o di filosofia che volevano rimpolpare i loro crediti con un esame "facile". Per quanto riguarda invece il corso di laurea in lingue, era noto a tutti che per scegliere tedesco come prima lingua bisognava essere molto tenaci e di quelli che si iscrivevano al primo anno solo una sparuta minoranza arrivava fino al quarto e poi alla laurea.
Fausto Cercignani - tanto vale, a questo punto, scrivere il nome - era noto perché aveva la bocciatura facile. Nel mio caso personale, la sua "fama" ha preceduto la conoscenza in carne e ossa: nel 1988, qualche mese prima di iscrivermi a Lingue in Statale, ho seguito un corso di tedesco del Goethe-Institut a Ludwigsburg, nei pressi di Stoccarda, e nella mia classe c'era un bocconiano che - chissà come lo sapeva - mi preparò "decantando" questa caratteristica di colui che di lì a poco sarebbe diventato il mio professore di letteratura tedesca. Sapevo quindi che cosa mi aspettava. In realtà lui "accoglieva" solo le matricole, per le quali teneva il corso monografico, ma di cui verificava - in sede d'esame - anche le "competenze" linguistiche. L'esame dei primi due anni, infatti, era strutturato in tre parti: la prima consisteva in un colloquio in lingua con il lettore di madrelingua tedesca, superato il quale si sarebbe poi passati alla parte di storia della letteratura tedesca e infine al corso monografico. La perfidia, però - che terrorizzava tutti noi studenti -, consisteva nel fatto che, accanto al lettore, sedeva anche il temuto professor Cercignani che, con gli occhialini che gli scivolavano sul naso dando al suo viso magro e affilato un'aria ancora più arcigna, sedeva in silenzio, a braccia conserte, e ascoltava la prova. Era lui che, dopo, usciva dalla stanza e, come un giudice, emetteva la sentenza. Ricordo che, nella prima parte del primo esame, presi ventisei e feci quasi i salti di gioia. Altre mie compagne d'università furono ripetutamente bocciate, finché non si produsse la desiderata diaspora (qualcuno, per esempio, passò a francese). A un paio di loro disse brutalmente che, se volevano studiare tedesco, forse era meglio che prima si togliessero l'accento bresciano. Ricordo anche che, all'esame del terzo anno, eravamo rimasti io e pochissimi altri e lui, vedendoci lì ad aspettare, commentò sarcastico: "Voi siete gli eletti?". Questo per dire quanto di manica larga fosse lui.
Per questo motivo, quando ho letto questa notizia sono rimasto esterrefatto. Lui, proprio lui di tutti i professori? Ho pensato: se è vero, dev'essere impazzito. Che molti professori giochino sporco quando si tratta di assegnare la bibliografia per gli esami e insistano perché i loro libri vengano comprati nuovi - e non usati, o prestati o, orrore degli orrori, fotocopiati - è cosa risaputa. Talvolta si verificano - o si verificavano - episodi che se non sono proprio illegali sono comunque di dubbia moralità (e anche al riguardo potrei raccontare qualcosa della professoressa con cui feci il primo esame di letteratura francese, ma sorvolo): chi studia ha la netta impressione che un corso sia davvero il pretesto per vendere un libro di scarsa o nulla validità scientifica o letteraria. Ma al di là di questo, ci sono rimasto male - posto che ciò di cui è accusato si dimostrasse vero - anche perché ho pensato a come questa storia si potrebbe riflettere su di me e su tutti gli altri che si sono laureati con lui. Pur lasciando stare il fatto di aver venduto, in nero, dei libri - qui si tratta di frode fiscale e uno potrebbe anche essere un grande studioso pur essendo un delinquente -, questa vicenda fa passare l'idea che i suoi voti sarebbero stati "regalati", cosa che nel mio caso e in quello delle mie colleghe di università non è certamente vero. Non mi resta che attendere l'esito delle indagini.