Irina Palm, il film di Sam Garbarski con una grandiosa Marianne Faithfull nel ruolo di Maggie/Irina, è in fin dei conti il racconto di una duplice vicenda: la più evidente è quella del sacrificio di sé, fatto per generosità e amore, mentre quella più nascosta riguarda l'evoluzione personale della protagonista che, man mano che il film procede verso la sua conclusione, si fa più sicura di sé e - per così dire - più completa. Per quanto riguarda la prima, bastano Ollie, il nipotino affetto da una malattia incurabile, con l'unica prospettiva di una cura sperimentale in Australia, e una cronica scarsità di soldi in famiglia per spingere Maggie ad accettare un lavoro a cui altrimenti non avrebbe mai pensato: la "masturbatrice" in un porno shop di Soho, a Londra. Troppo vecchia e goffa - una "carampana", si definisce - per fare altro, ha però mani morbidissime e adatte a manipolare membri maschili attraverso un glory hole. I clienti apprezzano la sua abilità e finiscono per fare la fila davanti alla cabina di "Irina Palm" - questo lo pseudonimo che si sceglie -, cosicché nel giro di un paio di settimane riesce a raggranellare il denaro sufficiente per pagare il viaggio e il soggiorno al nipotino.
Qui si presenta la prima difficoltà cinematografica: come rappresentare qualcosa che non si può rappresentare, a meno che non si voglia ricorrere ai mezzi della pornografia? Il film parla (anche) di masturbazione, ma non si vede nemmeno un pene. Né, tantomeno, si vedono le mani della protagonista in azione. L'unica soluzione è quella di evocare e alludere. Ed è qui che si manifesta la bravura di Marianne Faithfull che, con la sua presenza corporea e con la mimica riempie lo schermo e, in un certo senso, mostra ciò che non si vede direttamente. E' sufficiente infatti l'intensità delle sue espressioni facciali, che passano dallo stupore al ribrezzo, da una rassegnazione stoica all'indifferenza, per raggiungere questo scopo. Lo stesso discorso vale per il corpo della protagonista. Maggie è una donna schiva e timida, probabilmente ferita dalla vita - il marito, che ha sposato quando aveva diciassette anni, è morto da tempo e la tradiva -, poco istruita e insicura di sé. All'inizio fatica addirittura a nominare le cose del sesso. Questo suo modo di essere, che però comprende anche un'infinita dolcezza, si traduce nella sua postura, nel modo di muoversi e camminare, o nella tenerezza con cui accarezza Ollie quando va a trovarlo in ospedale. La recitazione di Marianne Faithfull è, insomma, molto fisica - anche se, guardando il film, mi è spiaciuto che fosse doppiato: avrei voluto sentire la bella voce roca e profonda dell'attrice.
Ma, come dicevo, il film racconta anche l'evoluzione della protagonista, che alla fine acquista una sua fierezza e non si vergogna più di quello fa, arrivando a dichiarare durante un tè con le sue amiche curiose, le stesse che prima evitava, a testa china, quando la vedevano prendere il treno per Londra: "Faccio le seghe agli uomini". A un certo punto del film Louise, una collega che fa lo stesso lavoro nel porno shop, dice a Maggie che l'unico modo per sopravvivere è "separare", tenere divisi il mondo di Irina da quello di Maggie, esattamente come fa lei. In realtà il percorso di Maggie è proprio l'opposto: lei non divide, ma integra e include. E' come se cercasse di non espellere nulla dalla sua personalità e di non svalutare nulla. Anche una cosa apparentemente così negativa - "fare seghe agli uomini" - entra nella somma complessiva delle esperienze che fanno di Maggie quello che è. Ha la capacità, cioè, di dare un segno positivo e vitale a ciò che è costretta a fare. Lo capiamo quando si porta i quadri da casa e li appende sulle pareti della sua cabina, o quando la ingentilisce con un vaso da fiori e usa una crema scelta da lei per massaggiare i cazzi che le passano tra le mani. In questo modo riesce a superare il suo senso di inferiorità nei confronti del mondo e a vincere la sua insicurezza. Quando alla fine una delle sue amiche le dice che dovrà scegliersi un'altra compagna per le loro partite di carte - "qualcuno di più rispettabile" -, Maggie è ormai così sicura di sé da sfidare l'ipocrisia della donna: le rivela di sapere che lei era l'amante del marito e che le piaceva farsi sculacciare. Per di più conquista anche l'amore, ed è proprio Miklos (Miki Manojlovic), il manager del porno shop in cui lavora. Da questo punto di vista Irina Palm è, malgrado tutto, un film molto ottimista, che crede nell'intrinseca umanità di chi sembra non averne affatto. Talvolta l'umanità si trova dove uno meno se l'aspetterebbe.
Il film poi esplora anche i mondi paralleli - e spesso contrastanti - della femminilità e della mascolinità e ne mette in scena certi punti ciechi o dolenti. Penso, per esempio, al momento in cui Tom (Kevin Bishop), il figlio di Maggie, scopre il lavoro della madre. La sua reazione è estremamente dura e violenta: sbraita, la definisce "una puttana", le ordina di smettere immediatamente, vuole addirittura restituire le seimila sterline avute da Maggie, evidenziando così che un astratto senso dell'onore è per lui più importante del concreto atto di amore - e di abnegazione - dimostrato dalla madre. Ho avuto la sensazione che in questa reazione si manifestasse davvero quanto c'è di meno lusinghiero nel carattere maschile: l'incapacità di comprendere l'emotività altrui, l'incapacità di riconoscere l'amore e la generosità se queste non si esprimono in forme tradizionali. Viceversa, la nuora Sarah (Siobhan Hewlett), i cui rapporti con Maggie non sono mai stati ottimi, è colpita da quello la suocera ha fatto per lei. Sa - da donna - quanto le deve essere costato: riesce a immedesimarsi e comprende che, per fare una cosa del genere, Maggie deve avere superato fortissime resistenze interiori. Sarah, dunque, è in grado di riconoscere l'amore anche se si manifesta in maniera tanto insolita.
A detta di molti, Irina Palm ha qualcosa dei film di Ken Loach, ma è indubbio che, diversamente da questi ultimi, questa non è soltanto una pellicola drammatica, ma combina in sé elementi tragici ed elementi comici. Si ride e si piange - o almeno si rischia di piangere. E' un film che suscita uno spettro molto ampio di emozioni nello spettatore. Il finale non è del tutto scontato: non c'è né un happy ending, né una catastrofe conclusiva. Il finale resta aperto e non sapremo se Ollie riuscirà a farcela e a sopravvivere. Ma, a ben vedere, non è questo il cuore della storia. Non è una storia di disperazione, ma una storia d'amore - e il racconto di uno dei tanti modi in cui si può declinarne il nome.
molto bella questa tua recensione...auguri di serenità in questo mondo di ipocriti!
Posted by: sandra | 24/12/2007 at 12:19
Me gusta mucho come scrivi, sei molto in gamba.Ho messo il tuo blog tra i preferiti. Ciao!!
Posted by: Sibilla | 26/12/2007 at 16:36
Sandra e Sibilla: Grazie :-)
Posted by: stefano | 26/12/2007 at 18:03
hai parlato con la voce del mio cuore, Stefano, e con una misura che forse non avrei avuto.
non ho letto il post quand'è uscito perché ho capito che raccontava il film, e commento ora, così va la vita.
dici tutto molto bene, sia sul poco lusinghiero profilo che dà degli uomini, nel particolar caso eterosessuali... con il doloroso parallelo sull'uguale senselessness dell'infilare il cazzo in un buco nel muro e giudicare questo immorale.
anche le donne etero fanno pena (si salvano una nonna, e una madre!)
questa onesta e impietosa raffigurazione della vita lava i panni sporchi in pubblico. e il tanto sesso nascosto sdrammatizzato "sdogana" anche noi "omosessuali" che per far sesso così non abiamo neanche bisogno di un'operatrice professionale.
dopo il film, sono andato a bere una birra all'Elephant. e guardandomi intorno (tutti bravi ragazzi, tutte regine della dark al momento opportuno) ho pensato che affrontare con lo spirito del film il nostro balance "gay" tra sesso ed emotività potrebbe dare grandi risultati. avendone il coraggio.
Posted by: paolo | 05/01/2008 at 14:35