E' con scetticismo, solitamente, che prendo in mano libri molto lodati o che hanno avuto successo, anche se soltanto "di nicchia". Il mio motto è, al riguardo, don't believe the hype - mai credere ai proclami pubblicitari, perché contengono sempre una buona dose di esagerazione. Soprattutto se l'autore è statunitense: non perché gli americani non sappiano scrivere - tutt'altro -, ma perché sanno vendere troppo bene e il marketing rischia di sopraffare le capacità di giudizio. E poi chi crede all'ennesimo genio sfornato dall'editoria made in Usa? In ogni caso, ho voluto dare una possibilità a Peter Cameron e al suo Someday this pain will be useful to you (Un giorno questo dolore ti sarà utile), perché me l'aveva consigliato lui: "Leggilo e vedrai".
Il romanzo di Cameron è uno di quei (rari) libri che, una volta aperto, non vorrei più chiudere se non prima di aver letto l'ultima pagina e che, una volta arrivato all'ultima pagina, vorrei continuasse ancora un po' perché mi spiace che sia finito. Non so se Un giorno questo dolore ti sarà utile sia un capolavoro - e nemmeno m'interessa -, ma ha una dote rara: quella di raccontare, con apparente leggerezza, una vicenda profonda e potenzialmente drammatica. Il protagonista è il diciottenne James Sveck che parla di sé in prima persona, in quel delicato momento di passaggio tra la fine della scuola superiore e l'inizio dell'università (a cui, in realtà, vorrebbe rinunciare perché, oltre che essere un po' misantropo e solitario, detesta anche la compagnia dei suoi coetanei), in cui tutto è possibile ma niente ancora si è realizzato. L'autonarrazione è condotta con un misto di candore e precisione, in un inglese di cristallina bellezza, dove nessuna parola sembra fuori posto e dove ogni frase è - per così dire - "esatta", perché dice con assoluta economia di mezzi quello che deve dire, senza girarci attorno ma senza nemmeno tralasciare qualcosa di fondamentale.
James Sveck è un ragazzo forse eccessivamente sensibile e precoce, ma non per questo impossibile da trovare nel mondo reale. Abita a New York con la madre, esperta d'arte e di matrimoni falliti, la sorella Gillian, saputella, un po' "stronza" e innamorata di un "teorico del linguaggio" già sposato, e il cane Mirò, "antropomorficamente" convinto di essere superiore alla propria condizione canina. Il romanzo procede su due piani temporali diversi: il primo è il presente, costituito dall'estate del 2003 in cui James lavora nella galleria d'arte della madre, e il secondo è un passato molto recente, la primavera dello stesso anno, in cui un episodio avvenuto durante un viaggio a Washington con una rappresentanza di studenti suoi coetanei, provenienti da tutti gli Usa, spinge i genitori del protagonista a mandarlo da una psichiatra, la dottoressa Adler. Le sedute con quest'ultima sono parte del racconto e sono spassosissime, soprattutto perché James, ossessionato com'è dalla precisione del linguaggio, è costantemente irritato dalla vaghezza delle domande della terapeuta e s'impunta nel rivoltargliele contro. Chiunque abbia - anche per breve tempo - avuto a che fare con il "setting psicoterapeutico" leggerà con molto piacere queste pagine in cui il diciottenne si rivela più intelligente e più arguto della sua sbiadita terapeuta.
Altri due personaggi popolano il mondo di James: uno è John, che lavora nella galleria d'arte insieme con lui e a cui James si sente stranamente attratto, tanto da giocargli uno scherzo fingendosi uno spasimante che soddisfa perfettamente le caratteristiche da lui desiderate. L'altra è la nonna, che abita a Hartsdale e con la quale il protagonista ha un rapporto molto stretto, caratterizzato da stima e affetto reciproci. In un certo senso - specie verso la conclusione del romanzo - ho avuto la sensazione che la nonna rappresenti un po' un "contraltare" alla figura della psichiatra da cui James è in cura. Sembra infatti che la nonna riesca a fare quello in cui la psichiatra fallisce: rivolgere al protagonista le domande giuste affinché lui riesca a trovare la sua strada. E lo fa sostenendolo nel suo percorso di libertà e di autonomia. Diversamente dai genitori, infatti, non si scandalizza all'idea che James possa decidere di non andare all'università e scelga magari di andare a vivere in qualche posto assurdo come l'Indiana o il Kansas - e infatti trascorre gran parte del suo tempo a sognare a occhi aperti guardando le offerte immobiliari su internet: solide case costruite in pietra, un po' rétro, che diventano una sorta di rifugio mentale nei momenti di maggior tensione.
Non dirò come termina il romanzo per non rovinare la sorpresa a chi volesse leggerlo: accenno solo al fatto che non c'è nessun ribaltamento epocale, nessun evento straordinario, ma solo la logica conclusione di un piccolo, perfetto, "romanzo di formazione". La fine, insomma, più che essere una vera fine è davvero un "inizio". Chi ha l'età di James vedrà in lui forse una specie di fratello letterario, mentre chi ha la mia età - e i diciott'anni se li è lasciati alle spalle da tempo - si rispecchierà un po' in questo ragazzo dall'intelligenza tormentata. Infine, vorrei dire che il romanzo di Peter Cameron è anche un delicato ritratto di una città, con i suoi luoghi e i suoi rituali tipici. La New York in cui vivono i protagonisti è infatti dipinta con poche pennellate che però risultano estremamente suggestive - e per me che l'ho visitata un paio di mesi fa è stato come rituffarmici di nuovo, in una dimensione più intima e meno caotica. E tutto questo è restituito attraverso il prisma di un linguaggio evocativo e preciso, pieno di humour e di grazia. Qualche volta, dunque, bisogna credere a chi loda certi libri.
Ahimè, temo proprio di essere l'unico al mondo ad avere detestato questo libro.
Sul mio blog l'avevo massacrato, reputandolo mediocre, furbo, pretestuoso e con un protagonista che ho semplicemente odiato pagina dopo pagina, ricordandomi certi depressi pargoli dell'alta società incapaci di crescere e per di piu' cui la vita regala tutto e toglie nulla.
E si lamentano ancora! :)
In fondo alla fine di quale entità, portata e natura è il dolore di questo ragazzo frignone?
Quali drammi ha dovuto affrontare?
Quali considerazioni sul mondo?
Ma evidentemente il mio pragmatismo cinico ha impedito che i suoi dolori mi fossero utili anche solo a godere di una buona lettura.
Quando poi ho letto il finale e ho pensato al mio conto in banca da precario c'è mancato poco che non mi mettessi ad urlare.
Con ironia, eh: per fortuna sono l'esatto contrario di James!
Buone feste!
Posted by: Lenny Nero | 26/12/2007 at 22:23
Ecco dove avevo letto una recensione negativa! Da te! Me ne ero dimenticato :-)
Posted by: stefano | 26/12/2007 at 22:27
Credo di essere l'unico a non averlo gradito, quindi FORSE ho filtrato male la lettura.
In genere mi si accusa di facili entusiasmi e sia che si tratti di un libro sia che si tratti di un film mi sforzo di salvare il salvabile.
In questo caso proprio non ci sono riuscito.
Penso sia l'unico libro insieme ad uno di Derek Raymond che ho stroncato in due anni.
Non che la mia opinione valga qualcosa, eh.
Sono il sedicesimo lettore manzoniano, quello di cui neanche l'autore si ricorda di avere!
Su anobii.com pero' il mio commento poco professionale e molto acido è stato considerato "dolorosamente utile" da chiunque l'abbia letto. :)
Magari quel giorno mi giravano solo perchè non avevo la nonna ricca ed esistenzialista (la mia era una che parlava disgustata di "uominisessuali") e perchè non avevo quel figo di colore di John accanto a me: 2 chili di cervello e di...ehm...(se non è uno stereotipo da film quello...).
Pardon per l'intrusione, magari rileggero' il libro!
Ma anche no...
Posted by: Lenny Nero | 26/12/2007 at 22:37
Letto il romanzo, mi sono chiesto: "Perché mai ho speso Euro 16,50 (per 206 pagine, rilegate male), abbandonando la buona abitudine di prendere in prestito i romanzi in biblioteca e di acquistarli solo se meritano?" Non posso che concordare con il giudizio di Lenny Nero: "Mediocre, furbo, pretestuoso".
P.S. Grazie per questo blog, che leggo da un anno con grande interesse.
Posted by: G. | 26/12/2007 at 23:22
Lenny, non sei più solo e abbandonato!
(Però, che strano: l'ho pagato meno comprandolo io a Londra - d'importazione Usa - e pagandolo in sterline!)
Posted by: stefano | 26/12/2007 at 23:26
Ed infatti spesso i libri conviene comprarli in edizione originale perchè persino in Italia arrivano a costare la metà e magari si ha il piacere di leggere in anticipo un libro ancora inedito.
Per non parlare dei dvd: in UK costano la metà o un terzo e non vedo proprio perchè regalare 22 euro (che comunque sta arrivando ad essere anche il prezzo di certi libri!).
Per questo libro in particolare si potrebbe proporre un'offerta libera all'autore, un po' come hanno fatto i Radiohead per "In rainbows". :)
Io opto per -16,50 euro: il rimborso spese, senza tener conto dei danni morali.:)
Posted by: Lenny Nero | 26/12/2007 at 23:34
Incuriosito da questo romanzo vado su ibs, sezione "books" e, toh, in inglese costa meno che in italiano.... bene... poi noto che in questa sezione i libri sono incasellati in categorie... ebbene questo è catalogato come "juvenile fiction", età consigliata 14-17....gulp!!!
Posted by: Motoskipho | 27/12/2007 at 00:09
Ma la vaghezza da cui il protagonista è costantemente irritato è una forse vaghezza voluta per dare spazio e respiro al pensiero e alle parole del paziente; mica è un interrogatorio poliziesco. Comunque il libro non lo leggerò, perché io ho la nonna che ha i soldi, ma non è esistenzialista.
Posted by: dj | 27/12/2007 at 13:36