Il breve estratto da La malattia come metafora di Susan Sontag che ho postato alcuni giorni fa mi spinge a fare alcune precisazioni, anche perché qualcuno, commentando, mi ha chiesto se sono d'accordo con le parole di Sontag. Occorre fare una premessa: come dice lo stesso titolo, il saggio della scrittrice americana non parla delle malattie in generale, ma del valore metaforico assegnato, in epoche diverse, a due malattie che hanno rivestito un ruolo importante nell'immaginario culturale: la tubercolosi e il cancro. Tra l'altro, Susan Sontag scrisse il suo saggio proprio in un periodo in cui lei stessa era malata di tumore e si stava curando.
In sostanza, Sontag sostiene che, a un certo punto della loro storia, tubercolosi e cancro coagulano intorno a sé "spiegazioni" che si riferiscono al carattere delle persone colpite. Curioso è che le due malattie siano, in un certo senso, speculari: se alla tubercolosi corrisponde un "troppo pieno", al tumore si associa un "troppo vuoto". Chiarisco: prima della scoperta del batterio che causava la tbc, questa era talvolta interpretata come la malattia di chi non riusciva a controllare la propria esuberanza. La tubercolosi era anche la manifestazione di un eccesso di emotività - e, spesso, di sensualità -, tanto che con il romanticismo era diventata quasi una malattia "alla moda", indice di una certa superiorità del sentire. Viceversa, in epoca successiva, il tumore è stato interpretato come la malattia di chi "si tiene tutto dentro", soprattutto emozioni come la rabbia, destinate a fomentare quella che sembra una vera e propria ribellione delle cellule. Inutile dire che il cancro, diversamente dall'altra malattia, non è mai stato considerato prestigioso, ma al contrario è stato spesso usato come metafora per tutto ciò che si diffonde in maniera incontrollata, divorando il "tessuto sano" (di una società o di un corpo politico).
Da qui è derivata anche una psicologizzazione della malattia (a opera, per esempio, di psicologi come Groddeck o Reich): se qualcuno comincia a dire che chi non riesce a dare libero sfogo alla propria ira, per esempio, o alle proprie emozioni negative, tanto che queste gli si rivolgono contro, il passo successivo sarà imputare - certo, non in maniera brutalmente diretta - al malato la "responsabilità" della sua malattia. Il malato che diventa tale, resta tale e magari muore viene visto come uno "sconfitto" - e significative, al riguardo, sono le metafore belliche con cui viene ancora oggi descritto il cancro e chi ne è colpito. Oltre alla malattia, costui subisce anche una sorta di "stigma". In questo contesto s'inserisce la citazione che ho ripreso dal saggio di Susan Sontag.
A questo proposito mi torna in mente Mars (in italiano, Il cavaliere, la morte e il diavolo, ormai fuori catalogo) un romanzo autobiografico che lo svizzero Fritz Zorn scrisse negli anni settanta, poco prima di morire a trentadue anni per un tumore. Zorn racconta la sua storia di bravo ragazzo dell'ottima borghesia zurighese e traccia la parabola di un uomo che ha sempre represso i suoi istinti. Questi istinti repressi avrebbero - a suo dire - trovato sfogo in quel cancro destinato a ucciderlo. Una spiegazione indubbiamente affascinante dal punto di vista narrativo - se Zorn non l'avesse escogitata, ora la letteratura di lingua tedesca sarebbe più povera di un libro bello e duro -, ma falsa, da un punto di vista oggettivo. (Tra l'altro il vero nome di Zorn era Angst, che in tedesco significa "paura". Lui lo cambiò in "Zorn", ovvero "ira", per significare il suo mutato atteggiamento nei confronti della vita: dalla passività - che avrebbe provocato il suo tumore - alla ribellione attiva).
Ma tutto questo discorso ha qualche rilevanza per noi? Io credo di sì. Questa concezione distorta - possibile soprattutto nel caso di una malattia che non ha una causa unica, come è il cancro - si ripete, quasi diluita e involgarita, in certe filosofie "new age". Conosco persone che sostengono che "in qualche modo" una malattia oncologica è anche il prodotto di una "volontà", fino ad arrivare a dire che si ammala "chi lo vuole", intendendo con ciò l'azione di una "volontà inconscia", come se all'interno del malato esistesse un qualche impulso che lo spinge irresistibilmente - con più forza di lui - verso la malattia. Ne consegue che solo con un corretto "atteggiamento mentale" - e, quindi, psicologico - si potrebbe evitare la catastrofe. Una sciocchezza, ovviamente. Ma una sciocchezza che trova ancora chi è disposto ad ascoltarla. Qui non mi riferisco ovviamente a quella predisposizione d'animo, più positiva e ottimistica, che può aiutare ad affrontare una situazione di crisi (compresa anche una malattia grave), ma che non può essere sufficiente per evitare, per esempio, un tumore.
In realtà penso che questa forma mentis sia soprattutto il sintomo di un fenomeno moderno più ampio: la psicologizzazione della realtà - allo scopo di "eliminare" quest'ultima e far ricadere quanto più è possibile sulle spalle del soggetto e abolire la separazione tra l'"interno" e l'"esterno" dell'individuo. Ma su questa faccenda tornerò più avanti.
Adesso è più chiaro, grazie.
Posted by: Monsieur Poltron | 04/10/2007 at 01:12
Forse è anche un modo (dei sani) di sentirsi onnipotenti. Visto che non mi voglio ammalare, non mi ammalerò.
Io da piccola avevo appena avuto coscienza della morte (era morto il mio micio), ma nutrivo la forma convinzione che non sarei morta, se non l'avessi voluto.
Posted by: rosalux | 04/10/2007 at 09:45
@ monsieur poltron: eh, ma che ti credi, mica ho finito :D !
Posted by: stefano | 04/10/2007 at 10:29
@ rosalux: indubbiamente c'è anche questo elemento, è vero. è l'idea che, se vogliamo, possiamo controllare la realtà. il malato più o meno incurabile è un "reietto", perché ci costringe a vedere con è vero. una malattia come il tumore non è contagiosa, ma il "contagio" forse è proprio questo mostrarci la nostra vulnerabilità. indipendentemente dal fatto che noi lo vogliamo o no.
Posted by: stefano | 04/10/2007 at 10:31
Sono sopravvissuta a due tumori e a anni di psicanalisi (a posteriori: inutile, o molto meno utile di quanto pretendesse - e dannosa nel ritardare un intervento "scientifico"). I "New Age" e gli psicanalisti che "in fondo la causa del tumore è dentro di te" li manderei tutti a fare un giro in una miniera di uranio, senza schermi per le radiazioni. Ma mi rendo conto di essere *un po'* di parte. ;-)
Cercando di chiosare con qualcosa di meno frivolo e egocentrico: peggio ancora dei pazienti oncologici sono messi i pazienti psichiatrici, ovviamente. I depressi che "si devono solo dare una mossa", le anoressiche che "è colpa di mamma" (mamma ti mostra un dito medio, brava mamma), i bipolari che "occhebbello come sono creativi perché mai vogliono curare la loro specificità" (dimmelo dopo aver passato due giorni in un "mixed episode", tesoro). E il tabù del prendere psicofarmaci che "oddìo, ti danno dipendenza e ti cambiano, hai letto Dr.Jackill & Mr.Hyde". "Andare in terapia", invece, può essere vista come un'attività da intellettuali raffinati: anche se non in tutti gli ambienti sociali, e a patto che fornisca un bel vocabolario per parlar di sé ancor più che soluzioni (ché la terapia può dar più dipendenza di una sostanza chimica: ma non lo diciamo).
Posted by: restodelmondo | 04/10/2007 at 18:06
Cadavrexquis: "eh, ma che ti credi, mica ho finito :D !"
Mio Dio, ho creato un mostro! :D
Posted by: Monsieur Poltron | 04/10/2007 at 19:43
Leggendo questo post mi è venuto da pensare come, in realtà, nel Medioevo la psicologizzazione della malattia avesse conseguenze assai meno negative di quanto è avvenuto in epoca moderna e quanto lo stigma fosse vissuto e visto in modo ben più ambiguo e ambivalente. Ma vabbé...
peccato che il romanzo di cui parli sia introvabile... però farò un tentativo, almeno in Svizzera lo troverò, no?
Posted by: suibhne | 06/10/2007 at 21:09
Il romanzo di Zorn è sempre disponibile, in tedesco. In Italia era stato pubblicato forse una ventina d'anni fa da Mondadori, in una collana degli Oscar che proponeva testi inediti e un po' insoliti. Non credo che sia più stato ripubblicato. Forse lo trovi in qualche libreria dell'usato...
Posted by: stefano | 06/10/2007 at 21:20