Qualcosa ho imparato: non soltanto non basta che ci sia desiderio tra due persone, ma nemmeno basta che esistano attrazione - persino sul piano mentale -, concordia e piacere di stare insieme, affinché tra loro possa svilupparsi una relazione. Occorre molto di più: come minimo occorre che entrambi vogliano la stessa cosa e la vogliano nello stesso momento. A volte, infatti, ci sarebbero pure i requisiti fondamentali indispensabili, ma le due parti vivono in due fasi temporali diverse e non sovrapponibili. Basterebbe che una delle due fosse un po' più in là o un po' più in qua perché i loro "destini" potessero annodarsi insieme. E questa dislocazione temporale fa sì che uno dei due non voglia (o non possa) impegnarsi. Che cosa sarebbe successo, tre anni fa, se dopo che si era conclusa la mia storia con M.S. qualcuno - con il quale io fossi pure andato d'accordo e ci fosse stata intesa anche sessuale - avesse voluto stare con me? Non avrei comunque voluto, perché non ero nel suo stesso punto evolutivo. Forse se quella ipotetica persona mi avesse incontrato oggi riuscirebbe invece ad avermi, perché da tre anni a questa parte io l'ho raggiunta solo negli ultimi mesi. Così penso che ciò che mi è accaduto negli ultimi tempi sia un'altra manifestazione di questi piani temporali ed evolutivi che non riescono a sovrapporsi perché non stanno vivendo nello stesso momento. Nel mio entusiasmo ho creduto un paio di volte che bastassero il desiderio, l'attrazione nelle sue molteplici forme, l'intesa e che, tutti questi elementi, combinati con la volontà potevano sfociare in altro. Adesso che ho toccato con mano come a volte è possibile arrivare alla meta - sempre più vicina, di volta in volta - e non riuscire a raggiungerla, perdendola per un soffio. Vivo amori asintotici - e l'infinito è un concetto astratto. Ma finché tutto è astratto è anche più facile rassegnarsi, mentre quando tutto sembra così a portata di mano - e quindi realizzabile, ormai praticamente tradotto in realtà - bisogna impiegare tutta la propria energia per non trasformare lo scacco in amarezza e frustrazione, che sono soluzioni semplici e, a modo loro, consolatorie.
In questo periodo ho capito anche altre cose. Per esempio, ho capito che cosa ci vuole perché io mi innamori. L'ho capito anche ascoltando le storie di amici e conoscenti e confrontando le loro esperienze con la mia. Oltre all'ovvia attrazione per un altro e all'apertura verso un rapporto - sia da parte mia che da parte sua, ed è quest'ultima che è mancata nei miei ultimi tentativi -, io riesco a stabilire un contatto solo con chi avverto gentile nei miei confronti. Curiosamente, non ho mai sviluppato quella sindrome che colpisce molti gay i quali si innamorano solo di chi li tratta male. Anzi, più li si tratta male, più si aggrappano ai loro tormentatori, come se così volessero punirsi per il fatto di amare e desiderare persone del loro sesso. Da questo punto di vista mi pare di essere molto "sano": la gentilezza, combinata alla reciproca attrazione, per me è già un mattone fondamentale nella costruzione di un rapporto. E negli ultimi tempi ho trovato, inaspettatamente, un paio di persone che si sono dimostrate gentili. E io mi sono innamorato. Ma, come ho detto, non basta neanche la volontà, se proviene da una sola direzione e se quella direzione è soltanto la mia. Quello che invece ancora non sono riuscito a stabilire è il punto di rottura dell'equilibrio, cioè il punto fino al quale vale la pena investire tutta la mia volontà senza ferire la libertà dell'altro. Forse perché questo punto non è identico con tutti: con qualcuno forse mi posso spingere più in là, con qualcun altro meno. In ogni caso mi fermo se avverto che mostrarmi troppo volitivo rischia di sconfinare nel plagio dell'altro. Allora preferisco tacere: non è che smetto di provare certi sentimenti, tutt'altro, ma li "verbalizzo" di meno, perché ho la sensazione che una parola di troppo potrebbe essere percepita come un'ulteriore insistenza, come una pressione indebita che rischierebbe di rovinare quello (poco o tanto) che già c'è. Per usare un paragone che non vuole essere né riduttivo né insultante: è come avere a che fare con un cavallo. E' bello se l'animale decide di correre con te, al tuo stesso passo, ma se decide di puntare gli zoccoli contro il terreno, non ci sarà verso di smuoverlo. E io non intendo usare la frusta perché amo la sua libertà. Le mie parole potrebbero essere una frusta, lo so, così mi fermo sempre al di qua di quello che potrei dire.
L'altroieri, svegliandomi, ho ricevuto un messaggio da M.S. che mi ricordava che ci siamo conosciuti esattamente nove anni fa, il 20 settembre del 1998. E ha aggiunto: "Però l'anno prossimo festeggiamo". Da allora l'ho sempre avuto al mio fianco, come compagno per oltre cinque anni e poi come amico. Senza soluzione di continuità, a dire il vero, e con tutte le tensioni a cui è soggetto un rapporto di questo tipo, nonostante le trasformazioni che ha subìto nel tempo, trasformazioni necessarie per traghettarlo attraverso gli anni. In realtà, da qualche tempo a questa parte - da quando ho conosciuto F., all'inizio di marzo, fino a oggi -, mi sono ritrovato a constatare, quasi con beffarda ironia, un fatto. Questo: M.S. l'ho conosciuto quasi per caso - se quella famosa sera avessi deciso di cedere alla mia pigrizia e restarmene in casa, per esempio, non l'avrei mai incontrato - e di certo non pensavo, allora, che di lì a dieci anni il nostro rapporto sarebbe sopravvissuto, benché in altra forma. Mi ero quasi lasciato trascinare dagli eventi, che si sono "fatti" giorno per giorno. La mia volontà era stata solo parzialmente partecipe: io c'ero e non c'ero allo stesso tempo. Alla fine l'avevo dato per scontato: non avevo dovuto fare nessuno sforzo particolare, perché era bastato "andare avanti". Bene, ora che sto impiegando il massimo possibile di volontà e tutte le mie energie, il "miracolo" non si compie. Ora che io ci sono, e ci sono davvero, non accade quello che allora accadde quasi da sé. E, per somma ironia del destino, arrivo sempre più vicino alla meta e questa mi sfugge per un soffio. No, decisamente non basta la volontà, se è soltanto la mia. Anzi, comincio a pensare che troppa volontà possa persino essermi d'intralcio. Devo ricominciare a salire gli scalini uno alla volta.
Spesso questo "fuori sincrono" che impedisce la nascita di una relazione è anche alla base della sua fine: volevo cose che lui non voleva ancora, voleva cose che io non volevo più.
Posted by: tato | 23/09/2007 at 11:41
E' vero. Non ci avevo pensato, forse perché trovandomi nella situazione opposta, su quella mi ero concentrato...
Posted by: stefano | 23/09/2007 at 11:45
Sei prolisso e mostri di essere mentalmente contorto; se queste contorsioni mentali assolutamente inutili non ti impediscono di fare alla fine quello che vuoi dove è il problema? Forse gli scalini sono il problema, ma allora non li fare così risolvi senza tante spirali.
Posted by: dj | 23/09/2007 at 18:23
I tuoi commenti sono sempre illuminanti, dj.
Illuminanti su di te, intendo dire.
Posted by: stefano | 23/09/2007 at 18:28
se tremendo...e io come te mi faccio fregare dalla gentilezza oltre che dalla bonaggine naturalmente.
Posted by: ssynth | 24/09/2007 at 14:16
io invece sono ammirato dall'elegante perfidia di stefano, anche se commenti privi di una qualsiasi rilevanza come quelli di dj andrebbero, secondo me, semplicemente ignorati e forse financo cancellati
Posted by: tato | 24/09/2007 at 17:46
Qualcosa ho imparato: non soltanto non basta che ci sia desiderio tra due persone, ma nemmeno basta che esistano attrazione - persino sul piano mentale -, concordia e piacere di stare insieme, affinché tra loro possa svilupparsi una relazione. Occorre molto di più: come minimo occorre che entrambi vogliano la stessa cosa e la vogliano nello stesso momento. A volte, infatti, ci sarebbero pure i requisiti fondamentali indispensabili, ma le due parti vivono in due fasi temporali diverse e non sovrapponibili. Basterebbe che una delle due fosse un po' più in là o un po' più in qua perché i loro "destini" potessero annodarsi insieme. E questa dislocazione temporale fa sì che uno dei due non voglia (o non possa) impegnarsi.
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È un problema vecchio quanto la nostra scoperta di essere vulnerabili. Se proprio devo ricordare, i miei fallimenti affettivi sono sempre stati spiegati da un: "...se ci fossimo incontrati in un altro momento..."
La mia reazione é sempre stata di incredulitá. "Ma *questo* é il nostro momento! Ora!". Non ce n'erano altri. Lo stavamo vivendo.
Io adoro le relazioni dislocate perché sono le uniche capaci di stimolarmi a colmarlo, il dislocamento (generazione del desiderio?). È una condizione necessaria. L'abbandono di questa ricerca stremante da parte del partner mi ha sempre causato una perdita di stima in lui. Al netto del mio orgoglio, credo che tu possa tranquillamente emendare il "(possa)" dalla frase finale che ho quotato.
Posted by: luca | 01/10/2007 at 23:41