In una sua canzone, il cantautore olandese Boudewijn de Groot usa l'immagine del ciclista che, curvo sul manubrio, sfida il vento e le intemperie e, continuando a pedalare va avanti malgrado tutto. Un'immagine forte (anche se abbastanza scontata, visto il clima dei Paesi Bassi). Mi sembra, a volte, di essere un po' come questo ciclista: nulla di eroico, per carità, però anch'io stringo i denti per non lasciarmi tentare - soprattutto quando i miei malumori, le mie malinconie e le mie frustrazioni minacciano di prendere il sopravvento. Cerco, insomma, di fare in modo che il primo soffio di vento un po' più forte non mi butti fuori strada: troppo facilmente mi vedo già accasciato sul ciglio di quell'ipotetico sentiero di campagna. Ci metto una certa dose di buona volontà, ma la volontà non è tutto. A volte più potente è il vento degli influssi e delle circostanze esterne. Prendo l'esempio degli ultimi giorni. Ogni tanto ho il vizio di tirare le somme: non succederebbe nulla se allo stesso tempo non fossi anche morto di sonno - sto dormendo poco e lavorando troppo (eppure senza i risultati che vorrei ottenere: la mia produttività, infatti, è bassa) -, il tempo è improvvisamente peggiorato, avrei voglia di piangermi addosso. Come se non bastasse, si aggiungono conversazioni che sembrano fatte apposta per mettere alla prova la mia resistenza. Così, stamattina, trovo M.H. collegato al messenger di Msn e gli chiedo come sta. E' sempre una domanda rischiosa: in quanto a umori neri - quando è depresso -, lui sa essere peggio di me. Mi risponde: "Una meraviglia!" - e io capisco subito che sta facendo del sarcasmo. Ma che cosa c'è che non va? A parte le solite cose, mi dice che vive in astinenza da più di due mesi. Ormai, aggiunge, non lo vuole più nessuno. Ho capito: è dell'umore "ormai-sono-troppo-vecchio-per-qualsiasi-cosa-figuriamoci-per-l'amore". Lui, che ha dieci anni più di me, mi dice, forse per consolarmi: "Alla tua età, ancora ancora, ma alla mia!". Non è la cosa più adatta da dire a me in questo momento, dopo l'annata che mi sto lasciando alle spalle, con tutte le illusioni e le relative delusioni, ma so che in qualche modo devo reagire. Non posso rispondergli che ha ragione. Oltretutto so che non è vero, so che dovrei rispondergli citandogli il proverbio tedesco secondo cui ogni pentola trova il suo coperchio, che nella vita non si può mai dire che qualcosa è impossibile, che nei rapporti interpersonali ci può essere sempre qualcosa a sorprenderci. Dovrei cioè dirgli tutte quelle cose che sto dicendo a me per non lasciarmi andare. E non è che non ci creda: ci credo anche, ma per farlo - nonostante le smentite - ho bisogno di produrre tanta energia quanto una centrale nucleare. La tentazione più forte e più immediata sarebbe quella di dargli ragione e rispecchiarmi nel suo sconforto. Lui mi dice che no, no, non è vero e che comunque per me le possibilità sono ancora più ampie - non solo perché sono più giovane (il che, naturalmente, contiene anche la vaga minaccia, alle mie orecchie, di un "aspetta e vedrai!"), ma anche perché - a suo dire - avrei il cazzo più grosso del suo ("E anche questa è una qualità") e qualche muscolo in più ("Ma dove? Ma per favore!" rispondo io). Io cerco di consolare sia lui che me spiegandogli che in fin dei conti siamo nella stessa barca, perché tutto sommato noi attiriamo un "pubblico di nicchia": troppo intellettuali, troppo fuori dai canoni di quello che "piace" agli altri uomini... però la nicchia c'è, bisogna coltivarla malgrado le frustrazioni. Lui persiste ribattendo che ormai per lui sta scomparendo anche quella nicchia lì. Mi spiace sentirlo così, proprio lui, che io ho sempre invidiato per la sua ammirevole capacità di stringere nuovi contatti e amicizie, per la sua espansività... Mi alzo e vado a farmi un caffè in cucina: guardo fuori dalla finestra. Lo stesso tempo grigio, la stessa pioggia ininterrotta. Mi domando dove trovare la forza di pedalare, chino sul manubrio della mia bicicletta, e soprattutto come contrastare la mentalità da vicolo cieco che, come uno specchio, mi ha messo davanti M.H., come non lasciarmene risucchiare, come non accasciarmi dicendo: sì, sì, SI', ha assolutamente ragione. Perché questa - temo - sarebbe la mia risposta istintiva. L'altra conversazione è di qualche giorno fa. Sono seduto a un tavolo del ristorante della palestra e sto mangiando un po' di verdurine. Mi si para davanti D. che mi chiede se sono da solo e se può sedersi con me. "Sì, prego, fai pure". D. quel giorno compie trentotto anni: ha la mia stessa età, dunque, con pochi mesi di differenza. E anche lui è gay, oltre a essere quello che io non sono: uno splendido ragazzo. Nonostante questo, è insoddisfatto: finita una lunga storia d'amore ("Ma quasi quasi torno con il mio ex"), non riesce a trovare nessuno. E attacca: "Ma ormai, a quest'età non si trova più nessuno. Chi è sistemato, è sistemato". E poi i ventenni sono troppo giovani per lui, non vuole fare da padre a nessuno, vuole qualcuno che sappia qual è il suo posto nella vita. Gli dico che in Italia è difficile, perché gli uomini spesso arrivano in promozione insieme con la mamma incorporata, quindi è sempre un paghi uno-prendi due, in un certo senso: lui, che non è italiano e si è reso indipendente dalla famiglia, mi capisce. E così lo guardo e mi angoscio: se non trova nessuno lui - a cui dovrei forse fare il discorso che faceva M.H. a me stamattina, se solo avessi potuto prevederlo: sei più grande, sei più muscoloso, hai il cazzo più grosso di me, sei un professionista di successo e via discorrendo -, perché dovrei trovarlo io che ho solo la sua età ma nessuno dei suoi atout? Mi rendo conto che mi sto incupendo. Sono tentato, anche in questo caso, di dargli ragione, di abbandonare le pur timide speranze che sto cercando di far rifiorire - invano, va detto - e di lasciar perdere. Anche in questo caso, una sorta di rispecchiamento della mia disillusione minaccia di frenare il mio esitante slancio vitale. Mi ritrovo a contrastare lui come se stessi contrastando una parte di me, per non lasciarmi trascinare giù. Mi rendo conto che poiché ognuna di queste conversazioni esercita su di me una pressione che va nella direzione dei miei peggiori istinti - cioè quelli che mi spingono a rinunciare e a gettare la spugna - io devo esercitare una pressione di segno contrario che, affinché sia efficace, deve possedere una forza maggiore. Ma dove trovo io tutta l'energia che mi serve? Dove, se poi nelle mie stesse esperienze non c'è nulla che, concretamente, mi aiuti a smentirli ma, anzi, solo cose che sembrerebbero dar più ragione a loro? Se continuo a pedalare - curvo contro il vento -, è per inerzia: dopo certe conversazioni, l'unica speranza è lasciarsi giorni così alle spalle. Sarebbe già un successo.