Dopo che, negli ultimi tempi, sia Massimo D'Alema che Romano Prodi si sono avventatamente e incautamente pronunciati per un'apertura del dialogo con Hamas - e senza pretendere nemmeno il "minimo sindacale" che si dovrebbe esigere da un movimento del genere, filoterrorista e finanziato dal fondamentalismo islamico iraniano, cioè il riconoscimento dello stato di Israele -, è più che mai opportuno leggere un libro come La fine di Israele di Furio Colombo che, senatore dell'Ulivo e non sospetto di simpatie berlusconiane, è sempre stato - da sinistra - uno dei più convinti sostenitori delle ragioni di Israele. E in questo suo ultimo pamphlet Colombo spiega perché appoggiare Israele che lotta per difendere la propria esistenza dovrebbe essere un imperativo soprattutto per chi oggi si dichiara "di sinistra". C'è di che stupirsi, infatti, quando si osserva nella sinistra europea - e, ancor di più, in quella italiana - l'unilateralità con cui a Israele viene addossata ogni colpa e, soprattutto, il modo in cui i cosiddetti "crimini israeliani" vengono descritti e ricordati in un vuoto storico, senza nemmeno considerare quali sono state le cause che li hanno provocati.
Nei primi capitoli del suo saggio Furio Colombo pianta subito alcuni paletti fondamentali per segnare immediatamente quei punti che la sinistra dimentica ogni volta che parla di Israele. In primo luogo viene smentito il vero e proprio mito negativo di "Israele paese colonialista", con il quale i nuovi antisemiti pongono l'equivalenza tra sionismo e razzismo. Il progetto sionista, infatti - oltre che essere, in larga misura, ispirato ai princìpi del socialismo -, è parente stretto del Risorgimento: Israele non nasce sovrapponendosi a uno stato già esistente, "ma come uno dei due stati progettati e disegnati dalle Nazioni Unite su una ex provincia dell'Impero ottomano". E sono proprio le Nazioni Unite che, accanto alla creazione dello stato ebraico, propongono la creazione di uno stato palestinese, il quale però viene rifiutato da tutti i paesi arabi circostanti: "Nessun paese arabo - sottolinea inoltre Furio Colombo - ha mai proposto la creazione di uno stato palestinese prima che ci fosse lo stato di Israele". Sostenere che l'intero stato israeliano occupa una terra altrui è come sostenere, per esempio, che lo stato italiano - o parte di esso - è illegittimo perché dalla sua fondazione ha "occupato" territori che erano dello Stato Vaticano. Se il problema fosse solo che Israele è uno "stato artificiale", allora c'è anche da chiedersi perché a sinistra non ci si scaglia con la stessa violenza contro altri "stati artificiali" come il Pakistan o il Bangladesh, osserva Furio Colombo. Senza contare poi che tutti gli stati arabi della zona - Giordania, Iraq, Libano, Siria - sono stati "inventati" dal colonialismo inglese e francese. In secondo luogo, ricorda Colombo, Israele è uno stato "nato dalla vittoria contro il nazismo e il fascismo, e quindi dalla Resistenza" e, in questo senso, è il vero e proprio trionfo degli ideali di libertà antifascisti e antitotalitari di cui, oggi, la sinistra dovrebbe essere orgogliosa, mentre invece questa preferisce dimenticare la realtà: "un piccolo stato appena nato dalla stessa Resistenza e dalla stessa vittoria che aveva appena liberato l'Italia (...) dall'immenso pericolo fascista-nazista (...) subito investito da due guerre: una di centinaia di milioni di arabi, sostenuti dalla potenza del petrolio; l'altra ideologica e culturale, sostenuta dalla stessa propaganda (protocolli dei savi di Sion, complotto giudaico contro il mondo)".
Quando s'interroga del perché si sia verificato questo voltafaccia da parte della sinistra, la risposta è subito evidente: la sinistra ha seguito il "brusco e netto cambiamento" della politica sovietica che, dopo aver sostenuto - molto più degli Stati Uniti, contrariamente a quanto vuole la vulgata - la creazione dello stato di Israele nel 1948, l'ha dichiarato suo nemico (insieme con gli ebrei dei paesi comunisti). Da allora la sinistra non ha mai avuto il coraggio e l'onestà intellettuale necessari per rivedere a fondo questo giudizio, che sopravvive ancora oggi in maniera automatica e quasi inconscia. Scrive Furio Colombo: "Non si apre mai un dibattito nella sinistra italiana perché in essa, dai tempi della guerra fredda, circola una sola voce, quella palestinese", la cui propaganda "viene percepita non come lo strumento legittimo e parziale. No, viene accolta come la Storia, la Prova, l'Evidenza, il Giudizio Finale". A fronte della diffidenza - quando va bene - e della diffamazione - quando va male - verso Israele c'è invece una tiepidezza - per non dir di peggio - verso altri, come il presidente dell'Iran, che "si fa beffe dell'antifascismo e della Resistenza europea. (...) Chiede la cancellazione di Israele, eppure non fa scandalo a sinistra". E aggiunge: "Non si hanno notizie di proteste o prese di posizione o ammonimenti al governo di Ahmadinejad, a proposito della condanna a morte dello stato di Israele. E non si ha notizia di ambasciatori iraniani a cui sia stato impedito di parlare in una università (penso al boicottaggio di un discorso dell'ambasciatore di Israele a Pisa nel 2005) o di proteste accademiche - in Italia o altrove - per i rapporti culturali che intercorrono con il paese che invoca la cancellazione di Israele". Colombo fa riferimento alle troppe iniziative di chi, univocamente, punta non soltanto il dito contro Israele, ma confondendo democrazia e dittatura, invoca misure di boicottaggio nei confronti dello stato ebraico, chiudendo un occhio (o tutt'e due) in tutti gli altri casi in cui ad agire sono veri e propri regimi tirannici - e del resto, basta osservare il vero e proprio bagno di folla con cui è stato accolto il "riformatore" Khatami durante la sua visita in Italia in questi giorni.
Nei capitoli successivi, Furio Colombo ripercorre le vicende che hanno visto Israele protagonista - spesso involontario - nell'ultimo anno. Fa il punto sulla guerra con il Libano e sulle ambiguità del rapporto tra le istituzioni libanesi e gli Hezbollah, che malgrado dalle frange più estreme della sinistra italiana vengano considerati quasi un "movimento di resistenza" sono in realtà perfettamente integrati nel sistema di potere libanese - oltre che essere eterodiretti da Siria e Iran - e commenta: "La sinistra dovrebbe aprire gli occhi su ciò che non è resistenza, ma progetto bene organizzato, bene armato, bene finanziato e apertamente annunciato di cancellazione di un popolo". Viene ricordata la campagna di odio anti-israeliano (e antisemita) scatenata dall'Iran e dal suo presidente Ahmadinejad, accompagnata dalla tragica farsa del "concorso di satira" indetto l'anno scorso che, irridendo e negando la Shoah, equivale a un invito ufficiale a un pogrom nei confronti dello stato di Israele. Altre pagine sono dedicate alla famigerata intervista rilasciata nel novembre del 2006 da Massimo D'Alema - ancora lui - all'Unità: ignorando il contesto, il prima e il dopo, gli sforzi di pace, si lancia in una sostanziale condanna di Israele e arriva a sostenere più volte che in Italia il "mondo ebraico più democratico" dovrebbe sostenere i "settori più ragionevoli della politica israeliana". Commenta in maniera calzante l'autore: "Perché questi cittadini dovrebbero avere un dovere in più agli occhi del ministro degli Esteri rispetto a coloro che se ne vanno in giro con la bandiera palestinese e - indipendentemente dalla buona fede e dai legittimi sentimenti di solidarietà - non chiedono mai a nessuno di riconoscere l'esistenza di Israele?".
Che il pregiudizio nei confronti di Israele sia penetrato a fondo lo dimostra, infine, il capitolo in cui Furio Colombo raccoglie alcune delle lettere ricevute all'Unità nei mesi in cui Israele subiva l'aggressione degli Hezbollah e cercava di difendersi. I toni sono non soltanto accesi, ma sono spesso violentemente anti-israeliani: a Israele viene addossata tutta la colpa, proprio come "agli ebrei, nei secoli, è sempre stata addossata la colpa". La caratteristica comune di queste lettere - che testimoniano un mito negativo ancora troppo diffuso a sinistra - è il riferimento a un passato distorto e costituito da "una collezione di guerre, tutte pensate e ricordate come scatenate da una parte sola (Israele) contro un mondo che altrimenti (il vero senso è: 'senza Israele') avrebbe vissuto in pace. In altre parole si immagina e si descrive un paese, Israele, che ha sempre portato guerra e ha sempre evitato e disprezzato ogni iniziativa di pace". Un ribaltamento della realtà, insomma. E la cosa preoccupante è che - come specifica Furio Colombo - "le lettere non sono scelte": tutte arrivate in redazione il 24 luglio 2006, sono tutte contro Israele. Tutte meno una. Ecco perché un libro come La fine di Israele - pur con tutti i limiti stilistici che presenta, dovuti alla forma del pamphlet - è un libro indispensabile, da far leggere a chi vuole essere di sinistra, per bonificare l'endemico pregiudizio che vi alberga nei confronti dell'unica democrazia del Medio Oriente, e per dimostrare che non solo si può, ma si deve comprendere le ragioni di Israele, e difenderlo. (Del resto - aggiungo io - questa non è una novità, se si considera per esempio che uno dei più strenui sostenitori di Israele negli Stati Uniti è Alan Dershowitz, che è un liberal nell'accezione americana del termine). La strada sarà lunga e difficile, ma va percorsa.
Se questi sono gli argomenti di Furio Colombo, la sua è una difesa tendenziosa.
Posted by: Monsieur Poltron | 15/08/2007 at 12:05
Oh, ma non sei mai contento :D !
Tendenziosa in che senso? E' ovvio che, rivolgendosi a sinistra, Colombo rinfaccia alla sinistra le sue contraddizioni riguardo a Israele, mettendole a nudo.
Posted by: stefano | 15/08/2007 at 15:47
Ottima recensione. Davvero dovrebbe essere distribuito gratis con i giornali e nelle scuole. Non voterò mai più né prodi né D'Alema, per quello che hanno detto e fatto in proposito.
Posted by: Hari Seldon | 15/08/2007 at 18:53
Tendenziosa, ovviamente, non nel senso che Israele non abbia le sue, buonissime, ragioni; a scanso di equivoci, Israele ha senz'altro diritto di esistere entro confinsi sicuri e riconosciuti. Solo che Furio Colombo non rende sempre un buon servizio alla verità.
Prendiamo quest'affermazione:
"Sostenere che l'intero stato israeliano occupa una terra altrui è come sostenere, per esempio, che lo stato italiano - o parte di esso - è illegittimo perché dalla sua fondazione ha "occupato" territori che erano dello Stato Vaticano."
Non è proprio la stessa cosa. Il sionismo ha pianificato l'insediamento di una nazione in un territorio abitato da un'altra popolazione al fine di costituirvi un'entità statale. In linea teorica una pretesa del genere, nel mondo moderno, è inaccettabile.
PS Beh, in effetti non sono mai contento. :D
Posted by: Monsieur Poltron | 16/08/2007 at 01:11
non so, non ho letto il libro e quindi evito di entrare nel merito della questione (a proposito delle affermazioni di prodi mi limiterò a citare rabin: "la pace si fa con i nemici"). mi sembra però che gli italiani, quelli di destra e quelli di sinistra, se ne freghino di quello che succede fuori dai confini patri (validamente supportati dal peggior giornalismo che io conosca) e fingano di occuparsene solo quando la cosa torna utile per la polemica del giorno. in questo peraltro la destra è più furba della sinistra: la destra le polemiche le fa con la sinistra, la sinistra invece pure.
Posted by: fabio | 16/08/2007 at 03:33